Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 18-07-2011, n. 28210 Intercettazioni telefoniche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Reggio Calabria, con sentenza dell’11.2.2010, in parziale riforma della sentenza 11.1.2001 del G.I.P. del Tribunale di Palmi, pronunziata in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato:

a) ribadiva (tra l’altro) l’affermazione della responsabilità penale di A.R. e L.A. in ordine a fattispecie di reati di cui:

– all’art. 81 cpv. cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per avere illecitamente detenuto a fini di spaccio nonchè ceduto a terzi sostanza stupefacente del tipo marijuana ed il L. anche hashish (in (OMISSIS));

b) riconosceva ad entrambi la circostanza attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, e rideterminava le pene, per l’ A., in mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa e, per il L., in anni uno di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa.

Avverso tale sentenza hanno proposto separati ricorsi il difensore dell’ A. e personalmente il L..

Per A. è stato eccepito, sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione:

a) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche disposte ed effettuate durante la fase delle indagini preliminari, e poi utilizzate a base della condanna, per omessa giustificazione, nei decreti autorizzativi, della necessità di effettuare le intercettazioni medesime attraverso impianti e strumenti diversi da quelli in dotazione della Procura della Repubblica;

b) la carenza di prove in merito alla responsabilità dell’imputato.

Il L., a sua volta, ha prospettato illogicità della motivazione per la incongrua valutazione del significato delle conversazioni intercettate, che, per la loro oggettiva ambiguità, rendono "plausibili" interpretazioni alternative.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto per A. deve essere rigettato, perchè le doglianze in esso svolte sono infondate.

1.1 L’art. 268 c.p.p., comma 3, ultima parte, prevede che le intercettazioni vengano effettuate "esclusivamente per mezzo degli impianti installati presso la Procura della Repubblica. Tuttavia quando tali impianti risultano insufficienti o inidonei ed esistono eccezionali ragioni di urgenza, il pubblico ministero può disporre, con provvedimento motivato, il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria".

In relazione a tale disposizione normativa, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato – con la sentenza 19.1.2004, n. 919 – che, ai fini della legittimità del decreto del pubblico ministero che dispone il compimento delle operazioni mediante impianti di pubblico servizio o in dotazione alla polizia giudiziaria, la motivazione relativa alla insufficienza o alla inidoneità degli impianti della Procura della Repubblica non può limitarsi a dare atto dell’esistenza di tale situazione, ma deve anche specificare la ragione della insufficienza o della inidoneità, sia pure mediante una indicazione sintetica, purchè questa non si traduca nella mera riproduzione del testo di legge, ma dia conto del fatto storico, ricadente nell’ambito dei poteri di cognizione del P.M., che ha dato causa ad essa.

Con la sentenza 26.7.2007, n. 30347, le Sezioni Unite hanno poi ribadito che l’obbligo di motivazione del decreto del pubblico ministero che dispone l’utilizzazione di impianti diversi da quelli in dotazione all’ufficio di Procura non è assolto col semplice riferimento alla "insufficienza o inidoneità" degli impianti stessi (che ripete il conclusivo giudizio racchiuso nella formula di legge), ma richiede la specificazione delle ragioni di tale carenza che in concreto depongono per la ritenuta "insufficienza o inidoneità". In proposito è stato precisato che l’adempimento dell’obbligo di motivazione implica, per il caso di inidoneità funzionale degli impianti della Procura, che sia data contezza, seppure senza particolari locuzioni o approfondimenti, delle ragioni che li rendono concretamente inadeguati al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed al tipo di indagini necessarie.

La giurisprudenza delle Sezioni semplici ha altresì specificato che, nel provvedimento del P.M. con il quale si dispone ad un tempo l’intercettazione e la sua esecuzione mediante impianti in dotazione della polizia giudiziaria, la motivazione circa la sussistenza della "urgenza" ex art. 267 c.p.p., comma 2, può assorbire quella circa la sussistenza delle "eccezionali ragioni di urgenza" ex art. 268 c.p.p., comma 3, ove le ragioni addotte ai fini dell’esigenza di attivare immediatamente le operazioni di intercettazione appaiano incompatibili sia con la normale procedura stabilita per l’autorizzazione dall’art. 267 c.p.p., sia con l’attesa del realizzarsi di una situazione di sufficienza ed idoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica (vedi Cass., sez. 6, 27.1.2005, n. 2563).

Nella fattispecie in esame l’onere di motivazione del provvedimento del P.M. risulta correttamente adempiuto, in quanto in esso è stato disposto "che le operazioni stesse siano compiute per mezzo degli impianti installati presso la sala ascolto della Compagnia Carabinieri di Taurianova, dotata di apparecchiature idonee a consentire l’attivazione delle intercettazioni in tempi brevi per i quali non è possibile ricorrere agli interventi tecnici presso le centrali Telecom. In particolare, le operazioni di ascolto e registrazioni potranno essere effettuate tramite l’avanzato sistema SRF installato presso la sala ascolto della predetta Compagnia, che permette l’attivazione del servizio in tempi brevissimi e che non necessita di interventi esterni particolari per l’attivazione".

Una tale motivazione evidenzia, con adeguata specificazione, la inidoneità degli impianti installati presso la Procura della Repubblica rispetto allo scopo perseguito, dando conto che i lunghi tempi di allaccio connessi all’utilizzazione degli stessi non avrebbe consentito di soddisfare l’urgenza delle intercettazioni.

1.2 Alla luce della formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nel testo novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere rivolto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (da indicarsi specificamente dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

E’ necessario, invece, che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Allo stesso giudice resta preclusa, invece, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte di Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione, assegnatale dal legislatore, di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Esaminata in quest’ottica, la motivazione della sentenza impugnata in ordine all’affermazione della responsabilità dell’ A. si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè essa appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce, in particolare, risposte coerenti alle obiezioni riferite dalla difesa all’interpretazione delle conversazioni intercettate; mentre il ricorrente sollecita sostanzialmente la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

2. Le considerazioni appena svolte valgono anche quanto al ricorso proposto personalmente dal L., che deve essere dichiarato inammissibile, perchè non richiama atti del processo autonomamente dotati di una forza dimostrativa idonea a disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e a determinare al suo interno radicali incompatibilità, ma si limita a prospettare genericamente "la plausibilità di interpretazioni alternative" con riferimento ad un’intercettazione utilizzata dai giudici del merito ai fini dell’affermazione di responsabilità. 3. Segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente alle spese del procedimento e del solo L., altresì, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata nella misura di Euro 1.000,00 in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso di A.R. e dichiara inammissibile quello di L.A.. Condanna singolarmente i ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed il L.A., altresì, al versamento di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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