Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-03-2011) 18-07-2011, n. 28209 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Brescia, con sentenza del 24.3.2010, in parziale riforma della sentenza 2.3.2007 del GIP del Tribunale di quella città, pronunziata in esito a giudizio celebrato con il rito abbreviato:

a) ribadiva (tra l’altro) l’affermazione della responsabilità penale di P.C. in ordine ai reati di cui:

– all’art. 81 cpv. c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, illecitamente ceduto a C.C. grammi 417,7 lordi di sostanza stupefacente del tipo cocaina (in (OMISSIS)) ed a P.S.S. modici quantitativi di hashish (in (OMISSIS));

– agli artt. 110 e 81 cpv. cod. pen. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (per avere, in più occasioni, acquistato da R.D. sostanza stupefacente del tipo cocaina ed in particolare per averne acquistato 0,6 grammi il 25.5.2004, concorrendo nella detenzione della droga con A.M., da lui incaricato di ritirarla e trasportarla materialmente);

b) riduceva la pena principale inflitta al P. ad anni tre, mesi dieci di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del P., il quale – sotto il profilo del vizio di motivazione – ha eccepito la carenza di prove in punto di affermazione della responsabilità circa la cessione di cocaina a C.C. e la incongrua valutazione degli elementi posti a fondamento della stessa.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato, perchè le doglianze in esso svolte sono infondate.

1. Va anzitutto rilevato che nessuna eccezione viene riferita nell’atto di gravame.

– alla cessione di modiche quantità di hashish a P.S. S., cugino dell’imputato, il quale risulta avere ammesso di avere ricevuto più volte tale sostanza dal congiunto a titolo gratuito;

– al concorso nella detenzione dei quantitativi di cocaina per il ritiro ed il trasporto dei quali l’imputato aveva incaricato A. M..

2. Le eccezioni svolte in ricorso si riferiscono, dunque, soltanto all’affermazione della responsabilità circa la cessione di cocaina a C.C..

In proposito deve evidenziarsi che l’imputato è stato condannato essendosi ritenuto che lo stupefacente sequestrato al C. provenisse da lui e ciò è stato dedotto dal fatto che la cocaina venne rinvenuta occultata in una cantina (a seguito di perquisizione effettuata con l’ausilio di cani appositamente addestrati) in un sacchetto per la biancheria che portava la stampigliatura "Hotel Atlantic Riccione" nonchè la scritta a pennarello "130 P. 20.03.2004" ed il P., con la propria convivente e la figlia, aveva appunto alloggiato presso quell’albergo nel periodo corrispondente alla data anzidetta.

Secondo le dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive da Co.Cl., convivente del P., il sacchetto in questione sarebbe stato da lei utilizzato per restituire un maglione a suo tempo dimenticato dalla convivente del C. in occasione di una visita fattale nella casa locata in Pinzolo per la stagione sciistica invernale 2003/2004.

I giudici del merito, però, non hanno dato credito a tale tesi difensiva, evidenziando essenzialmente le discordanze della stessa con le dichiarazioni rese dall’imputato in sede di convalida del provvedimento restrittivo. Hanno ritenuta decisiva, poi, la circostanza (emersa da intercettazione telefonica) che, allorquando il P. apprese la notizia dell’arresto del C. e del sequestro della cocaina, ebbe ad esclamare testualmente "sono rovinato": espressione che razionalmente hanno correlato allo svanire dello sperato guadagno derivante dalla cointeressenza netta commercializzazione della droga, considerando indimostrata e pretestuosa la tesi difensiva rivolta a connettere la disperazione dell’imputato al timore di non potere recuperare un credito vantato ormai da troppo tempo nei confronti del C..

3. Alla luce della formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), nel testo novellato dalla L. n. 46 del 2006, art. 8, il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo dei provvedimento impugnato deve essere rivolto a verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (da indicarsi specificamente dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

E’ necessario, invece, che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere resistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Allo stesso giudice resta preclusa, invece, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte di Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione, assegnatale dal legislatore, di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Esaminata in quest’ottica la motivazione della sentenza impugnata si sottrae alle censure che le sono state mosse, perchè essa appare esauriente e corrispondente alle premesse fattuali acquisite in atti, esamina tutti gli elementi decisivi a disposizione e fornisce risposte coerenti alle obiezioni della difesa; mentre il ricorrente sollecita sostanzialmente la rilettura del quadro probatorio e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

4. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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