T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 1429 Vincoli storici, archeologici, artistici e ambientali

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ricorso notificato l’11 giugno 1997, e depositato il successivo 26 giugno, la signora C.F. ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità per i seguenti motivi:

"Violazione e falsa applicazione dell’art. 18 L. 1089/1939 ed eccesso di potere per avere la Soprintendenza inibito totalmente la costruzione del fabbricato senza che sul terreno sia stato effettuato alcun accertamento".

"Eccesso di potere per difetto di motivazione e violazione e falsa applicazione dell’art. 21 L. 1089/1939".

"Eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento e contraddittorietà con precedenti atti".

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’amministrazione regionale intimata, depositando memoria e documenti.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 7 giugno 2011.

La ricorrente impugna il diniego di nulla osta per la realizzazione di un edificio in area sottoposto a vincolo archeologico, ed il successivo provvedimento di rigetto del ricorso gerarchico proposto contro l’originario diniego.

Con il primo motivo si censura il diniego in relazione al fatto che il vincolo archeologico non precluderebbe l’edificabilità, e che i ritrovamenti archeologici non hanno interessato direttamente il fondo della ricorrente.

La censura è infondata.

Per costante giurisprudenza, "il vincolo di inedificabilità connesso alla presenza di testimonianze archeologiche non è astrattamente qualificabile come assoluto, non potendosi teoricamente escludere un’attività edificatoria che non snaturi né pregiudichi la conservazione ed integrità dei reperti archeologici, a meno che, secondo l’apprezzamento del giudice di merito, non debba ritenersi che in concreto l’interesse archeologico non rimane circoscritto ad alcuni resti presenti nell’area, ma si correla al luogo nel suo complesso, quale sede di una pluralità di reperti testimonianti uno specifico assetto storico di insediamento" (così, ex multis, T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 8 maggio 2009, n. 2466).

La Soprintendenza, nell’esercizio del potere tecnicodiscrezionale attribuitole dalla legge, ha ritenuto che l’attività edificatoria pregiudicasse il complessivo pregio archeologico dell’area, senza incorrere, in tale valutazione, nel vizio denunciato (peraltro estraneo all’ambito tipologico delle censure prospettabili nel contesto del – contenuto – sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica), dal momento che la funzione di tutela dell’insieme non è estranea alle ragioni che consentono di ritenere recessiva l’attività edificatoria privata (pur se astrattamente assentibile).

Con il secondo motivo si contesta la mancata indicazione, da parte dell’amministrazione, di prescrizioni tali da rendere compatibile il progetto con il bene tutelato.

Anche questa censura è infondata.

Essa muove dall’erroneo presupposto per cui il potere dell’amministrazione dovrebbe comunque essere orientato nella direzione della ricerca – non solo in astratto, ma in concreto – di una compatibilità con l’esercizio delle facoltà edificatorie private.

Ora, se – come già accennato – non si dubita dell’astratta compatibilità dell’intervento edilizio con il vincolo archeologico in quanto tale, tuttavia laddove con riferimento allo specifico sito l’amministrazione ritenga – con valutazione immune da profili di irrazionalità, contraddittorietà ed irragionevolezza – che tale compatibilità non sussista, non possono ravvisarsi profili di illegittimità nella mancata indicazione di modalità alternative, attesa l’accertata inconciliabilità fra valori tutelati e pretese private.

Infine, con il terzo motivo si deduce disparità di trattamento con riferimento a nulla osta rilasciati per lavori su altre particelle.

Per un verso la parte ricorrente si limita ad allegare – senza fornire un principio di prova in proposito – la pretesa omogeneità fra le situazioni rispetto alle quali si sarebbe verificata la disparità di trattamento; per altro verso la difesa regionale correttamente richiama la nota prot. 3762 del 26 ottobre 1981 (versata in atti), dalla quale risulta, al contrario, la disomogeneità della situazione dedotta rispetto a quelle invocate a parametro.

Ne consegue il rigetto del ricorso, in quanto manifestamente infondato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in complessivi euro 2.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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