T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-07-2011, n. 6558 Banca d’Italia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con l’impugnato provvedimento del 26 novembre 2007, l’Ufficio Italiano dei Cambi, ha proceduto al ritiro del provvedimento di iscrizione ex art. 155, co. 4, T.U.B., specificando che, con effetto dalla data di notificazione del provvedimento, la Consorzio di Garanzia Collettiva di Fidi Euro Italia Soc. Coop. è cancellata dall’apposita sezione dell’elenco generale degli intermediari finanziari.

Di talché, la Società cooperativa ricorrente ha proposto il presente ricorso nei confronti della Banca d’Italia, quale successore ex d.lgs. 231/2007 in tutti i rapporti giuridici di cui era titolare l’UIC, articolando i seguenti motivi di impugnativa:

Incompetenza assoluta. Eccesso di potere per difetto assoluto di potere, sviamento e straripamento.

I poteri di autotutela si sostanziano in provvedimenti di secondo grado con cui è rimosso altro provvedimento, adottato in prime cure, ritenuto illegittimo o inopportuno laddove sussista un interesse concreto ed attuale, mentre non potrebbe in alcun modo rientrare nell’esercizio dell’autotutela l’attività che si concretizzi in una esplicazione del tutto nuova del potere pubblico. In sostanza, il ritiro potrebbe riguardare solo la mancanza dei presupposti che possono dar luogo all’emanazione del provvedimento di primo grado, vale a dire che, nel caso di specie, il ritiro della iscrizione potrebbe essere disposta solo ove non sussistesse o venisse meno uno dei requisiti di cui all’art. 106 TUB, mentre la determinazione impugnata è stata fondata sul difetto dei presupposti di cui all’art. 13 d.l. 269/2003.

Il provvedimento impugnato sarebbe un provvedimento diretto e di primo grado, con cui viene svolto un potere del tutto diverso da quello inerente all’iscrizione ed il potere esercitato dall’UIC non apparterebbe alle fattispecie di cancellazione ipotizzabili in materia in quanto, da un lato, non è contestata alla ricorrente la perdita di alcuno dei presupposti indicati per l’iscrizione dall’art. 106 del TUB, dall’altro, nessuna norma prevederebbe che per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 12, 13 e 14 dell’art. 13 d.l. 19/2003 risulti applicabile la sanzione della cancellazione e che l’irrogazione di tale sanzione spetti all’UIC.

Violazione e falsa applicazione dell’art. 13 d.l. 269/2003.

Una società Confidi non ottemperante alle prescrizioni di cui all’art. 13 d.l. 269/2003 non potrebbe operare e sarebbe passibile di operazioni coatte sul capitale e sullo scopo sociale o anche di scioglimento, senza che ciò abbia alcuna attinenza con le vicende proprie del controllo pubblico in tema di società finanziarie.

Il provvedimento, pur essendo manifestato quale espressione di autotutela, rappresenterebbe in concreto esercizio di potestà sanzionatoria, sicché la relativa attribuzione spetterebbe al Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Violazione e falsa applicazione del provvedimento UIC del 17.8.2006. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7 e 10 l. 241/1990. Violazione dell’obbligo di previa contestazione degli addebiti.

Nell’atto di contestazione mancherebbe ogni riferimento al procedimento di accertamento, alla documentazione dalla quale è emersa l’irregolarità nonché alle norme sanzionatorie.

Eccesso di potere. Violazione del principio di proporzionalità. Carenza di motivazione. Violazione di legge.

Non sarebbe dimostrato che le irregolarità siano così gravi da giustificare la cancellazione.

Violazione dell’art. 106 TUB in relazione all’art. 13 d.l. 269/2003. Eccesso di potere per difetto dei presupposti.

Il Consorzio ricorrente si troverebbe attualmente in possesso dei requisiti prescritti, oltre che dall’art. 106 TUB, anche dall’art. 13 d.l. 269/2003.

Eccesso di potere per difetto del presupposto, di istruttoria e di motivazione.

Il provvedimento impugnato sarebbe carente di istruttoria e di motivazione e non darebbe conto della sussistenza dei presupposti per l’esercizio del potere di autotutela.

L’Avvocatura Generale dello Stato si è costituita in giudizio per resistere al ricorso.

La Banca d’Italia, con ampia ed articolata memoria, ha contestato la fondatezza delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso.

All’udienza pubblica del 22 giugno 2011, il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va di conseguenza respinto.

Il provvedimento impugnato è stato adottato dall’Ufficio Italiano dei Cambi – cui è succeduto in tutti i diritti e rapporti giuridici la Banca d’Italia, alla quale sono stati trasferiti le competenze ed i poteri, ai sensi dell’art. 62 d.lgs. 231/2007 – in quanto:

l’avvio del procedimento è stato determinato dall’impossibilità di verificare l’attuale sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 13 d.l. 269/2003, convertito in legge dall’art. 1 l. 326/2003, per lo svolgimento dell’attività di garanzia collettiva dei fidi, atteso che la ricorrente non ha a suo tempo ottemperato alla richiesta di certificare a mezzo di apposita dichiarazione l’avvenuto adeguamento alla nuova disciplina;

il ricorrente non ha provveduto successivamente, entro il termine assegnato, a fornire chiarimenti e ad attestare, a mezzo del mod. UICFidi o con apposita certificazione, il possesso dei requisiti patrimoniali o organizzativi prescritti dall’art. 13 del richiamato decreto;

la documentazione presentata in data 26 settembre 2007, consistente esclusivamente in copia dello statuto sociale come modificato dall’assemblea straordinaria il 31 luglio 2007, è stata ritenuta inconferente rispetto alle esigenze procedimentali.

L’amministrazione procedente, a margine, ha altresì segnalato che le informazioni riportate sulla carta intestata sono idonee a trarre in inganno il pubblico circa la effettiva legittimazione ad operare della cooperativa e che il riferimento all’art. 38 bis del d.P.R. 633/1972 (fideiussioni a margine di rimborsi fiscali, inibite ai confidi in mancanza delle necessarie disposizioni relative a modalità e criteri di solvibilità da parte del Ministero delle Finanze) contenuto nei documenti prodotti fornisce ulteriore consistenza all’ipotesi di "esercizio abusivo di attività riservata", già formulata sulla base di esposti di privati e autorità estere e debitamente segnalata ai competenti organi di polizia.

L’art. 155, co. 4, d.lgs. 385/1993, testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, ratione temporis vigente, stabilisce che i confidi (soggetti che svolgono l’attività di garanzia collettiva dei fidi) sono iscritti in un’apposita sezione dell’elenco previsto dall’art. 106, primo comma (albo degli intermediari finanziari autorizzati).

L’art. 13 d.l. 209/2003, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 l. 326/2003, prevede, al comma 12, che il fondo consortile o il capitale sociale di un confidi non può essere inferiore a 100 mila euro, fermo restando per le società consortili l’ammontare minimo previsto dal codice civile per la società per azioni, al comma 13, che la quota di partecipazione di ciascuna impresa non può essere superiore al 20% del fondo consortile o del capitale sociale, né inferiore a 250 euro e, al comma 14, che il patrimonio netto dei confidi, comprensivo dei fondi rischi indisponibili, non può essere inferiore a 250 mila euro, con la specificazione che dell’ammontare minimo del patrimonio netto almeno un quinto è costituito da apporti dei consorziati o dei soci o da avanzi di gestione.

L’art. 13, co. 52, prevede poi che i confidi già costituiti alla data di entrata in vigore del decreto hanno tempo due anni decorrenti da tale data per adeguarsi ai requisiti disposti dai commi 12, 13, 14, 15, 16 e 17; anche decorso tale termine, peraltro, i confidi in forma cooperativa già costituiti alla data di entrata in vigore del decreto non sono tenuti ad adeguarsi al limite minimo della quota di partecipazione determinato ai sensi del comma 13.

L’Ufficio Italiano dei Cambi, con nota del 19 ottobre 2006, nel richiamare le principali novità introdotte dall’art. 13 d.l. 269/2003 in materia di garanzia collettiva dei fidi, ha richiesto a ciascun confidi iscritto di certificare a mezzo di apposito modulo l’avvenuto adeguamento ai requisiti anche patrimoniali previsti dalla nuova disciplina.

Con successiva nota del 12 luglio 2007, indirizzata al Consorzio di garanzia collettiva Fidi Euro Italia Soc. Coop. – non risultando che detta cooperativa avesse fornito riscontro alla richiesta o avesse attestato in altro modo il possesso dei requisiti prescritti dalla normativa vigente ed avendo inoltre l’amministrazione ricevuto notizie in merito all’operatività svolta dal confidi che integrerebbe gli estremi della fattispecie di "abusiva attività finanziaria" ex art. 132 TUB – l’UIC ha comunicato l’avvio del procedimento di ritiro dell’iscrizione per l’insussistenza dei requisiti di legge prescritti per lo svolgimento dell’operatività tipica nonché per l’impossibilità di effettuare le opportune verifiche.

Di talché, con l’impugnato provvedimento del 26 novembre 2007 – ritenuta inconferente rispetto alle esigenze procedimentali la documentazione presentata il 26 settembre 2007, consistente esclusivamente in copia dello statuto sociale come modificato dall’assemblea straordinaria il 31 luglio 2007, e rilevato che le informazioni riportate sulla carta intestata sono idonee a trarre in inganno il pubblico circa la effettiva legittimazione ad operare della cooperativa – l’Ufficio, nell’ambito degli ordinari poteri di autotutela, ha proceduto al ritiro del provvedimento di iscrizione ex art. 155, co. 4, TUB, specificando che, dalla data di notificazione del provvedimento, la Società è cancellata dall’apposita sezione dell’elenco generale degli intermediari finanziari.

Con una prima serie di censure, la ricorrente ha contestato che l’amministrazione procedente abbia agito nell’esercizio del potere di autotutela, deducendo che il provvedimento impugnato sarebbe un provvedimento diretto e di primo grado, con cui viene svolto un potere del tutto diverso da quello inerente all’iscrizione, esulante dalla competenza dell’UIC.

Le censure non possono essere condivise.

Il potere di autotutela è ontologicamente connesso all’esercizio dell’attività amministrativa e costituisce espressione del suo principio di continuità, sicché è nella fattispecie senz’altro esercitabile dalla stessa amministrazione che provvede alla tenuta della apposita sezione, relativa ai confidi, dell’elenco generale degli intermediari finanziari.

Pertanto, l’Ufficio Italiano dei Cambi, in qualità di amministrazione competente a verificare i presupposti per l’iscrizione, è ugualmente competente al ritiro dell’iscrizione ed alla conseguente cancellazione nell’ipotesi di mancanza, originaria o sopravvenuta, dei presupposti stessi.

Nel caso di specie, quindi, il potere di autotutela è stato correttamente esercitato, a far tempo dalla scadenza del periodo transitorio di cui all’art. 13, co. 52, d.l. 269/2003, in quanto la ricorrente non ha dimostrato, pur sollecitata dall’UIC, la sussistenza dei presupposti patrimoniali introdotti dallo stesso art. 13, co. 12, 13 e 14, d.l. 269/2003, i quali, a seguito dell’entrata in vigore di tale legge, devono ritenersi requisiti indispensabili non solo per l’iscrizione, ma anche per il suo mantenimento.

Né può ritenersi che, avendo l’atto impugnato disposto la cancellazione del Consorzio di garanzia collettiva dall’apposita sezione dell’elenco, l’amministrazione procedente abbia esercitato il potere di cancellazione e non quello di autotutela.

Il provvedimento, infatti, indica chiaramente che l’amministrazione ha inteso procedere al ritiro del provvedimento di iscrizione, ritiro che ha come inevitabile conseguenza la cancellazione dall’elenco.

In conclusione, con l’entrata in vigore dell’art. 13 d.l. 269/2003, l’amministrazione non solo era legittimata, ma era addirittura vincolata a verificare la sussistenza dei nuovi requisiti e a ritirare l’iscrizione dei soggetti che non avessero dimostrato il possesso degli stessi.

Va da sé, quindi, che la mancata dimostrazione del rispetto delle prescrizioni di cui ai commi 12, 13 e 14 dell’art. 13 d.l. 19/2003, per l’appunto rubricato disciplina dell’attività di garanzia collettiva dei fidi, determina l’insussistenza dei presupposti per l’iscrizione ed il mantenimento dell’iscrizione nell’apposita sezione dell’elenco e legittima da parte dell’amministrazione competente alla tenuta del registro l’esercizio del potere di autotutela, cui segue come diretta ed inevitabile conseguenza la cancellazione dall’elenco.

Parimenti infondata è la censura con cui la cooperativa ricorrente ha fatto presente che nell’atto di contestazione mancherebbe ogni riferimento al procedimento di accertamento, alla documentazione dalla quale è emersa l’irregolarità nonché alle norme sanzionatorie.

L’atto di comunicazione di avvio del procedimento di ritiro dell’iscrizione per insussistenza dei requisiti di legge del 12 luglio 2007, infatti, ha espressamente fatto riferimento alla precedente comunicazione del 19 ottobre 2006, con cui è stato richiesto a ciascun confidi iscritto di certificare l’avvenuto adeguamento ai requisiti anche patrimoniali previsti dalla nuova disciplina contenuta nell’art. 13 d.l. 269/2003, nonché alla circostanza che la Società ricorrente non ha fornito riscontro a tale richiesta ed alla ulteriore circostanza che, invece, il confidi avrebbe un’operatività integrante gli estremi della "abusiva attività finanziaria" ex art. 132 TUB.

Ne consegue che, in modo esplicito, l’UIC ha avviato il procedimento di autotutela non già perché sarebbero emerse irregolarità dalla documentazione, ma perché la documentazione richiesta, inerente ai nuovi requisiti patrimoniali ed organizzativi di cui all’art. 13 d.l. 269/2003, non è stata prodotta.

L’argomentazione secondo cui le irregolarità non sarebbero state così gravi da giustificare la cancellazione, peraltro, non può essere condivisa in quanto la omessa dimostrazione del possesso dei nuovi requisiti di legge così come precluderebbe la nuova iscrizione nell’elenco, giustifica senz’altro e, anzi, impone, il ritiro dell’iscrizione presente.

Per tutto quanto sopra esposto, si rivela altresì infondata la doglianza di carenza di motivazione e di istruttoria in quanto dal complessivo svolgimento del procedimento emergono puntualmente sia l’attività istruttoria compiuta sia le ragioni di fatto e di diritto a base della determinazione adottata.

Per quanto attiene alla censura secondo cui il Consorzio ricorrente si troverebbe attualmente in possesso dei requisiti prescritti, oltre che dall’art. 106 TUB, anche dall’art. 13 d.l. 269/2003, è sufficiente rilevare che, al momento dell’emanazione del provvedimento conclusivo del procedimento, tali circostanze non potevano ritenersi comprovate e l’UIC ha espressamente evidenziato che, rispetto alle esigenze procedimentali, è stata ritenuta inconferente la documentazione presentata il 26 settembre 2007, consistente esclusivamente in copia dello statuto sociale come modificato dall’assemblea straordinaria il 31 luglio 2007.

D’altra parte, ove la ricorrente fosse stata o fosse attualmente in possesso dei requisiti previsti dalla legge avrebbe potuto a suo tempo richiedere o potrebbe ora richiedere una nuova iscrizione, senza che ciò possa però incidere sulla legittimità del provvedimento impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila,00), sono poste a carico della ricorrente ed a favore della Banca d’Italia, mentre sono compensate con riferimento al Ministero dell’Economia e delle Finanze in quanto costituitosi in giudizio con memoria di mero stile.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

respinge il ricorso in epigrafe.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate complessivamente in Euro 3.000,00 (tremila,00), nei confronti della Banca d’Italia; compensa le spese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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