Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-06-2011) 19-07-2011, n. 28791 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza in data 26 marzo 2010, in riforma della sentenza del Tribunale di Salerno del 19 ottobre 1990 resa all’esito di giudizio abbreviato, dichiarava M.C. colpevole del reato di cui al capo A) della rubrica e, ritenuta la continuazione con i reati di cui ai capi B), C) e D) della rubrica, applicata la diminuente di rito, lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione ed Euro 6.000 di multa.

La Corte territoriale evidenziava che il processo aveva subito numerose sospensioni, stante l’incapacità dell’imputato di partecipare al processo.

Ritenuto che M. risultasse ad oggi pienamente capace di stare in giudizio, la Corte di Appello, rilevava che meritava accoglimento il gravame proposto dalla Procura Generale. La Corte distrettuale considerava primieramente che il ricorso era stato tempestivamente proposto; nel merito, evidenziava che il primo giudice non aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie, mandando assolto l’imputato dal reato di cui al capo A).

2. Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Salerno ha proposto ricorso per cassazione M.C., a mezzo del difensore, deducendo: – il vizio motivazionale della sentenza, in relazione alla affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato di detenzione di sostanze stupefacenti; – l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese da M. in assenza delle garanzie difensive; – l’inammissibilità dell’appello proposto dal Procuratore Generale, per tardività.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile, per le ragioni di seguito esposte.

3.1 Con il primo motivo di ricorso la parte prospetta una mera rilettura del compendio probatorio, alternativa rispetto alle valutazioni effettuate dai giudici di merito. Come noto, si è chiarito che "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv.

207945, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa vaiutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel caso di specie, la Corte di Appello ha richiamato, secondo un conferente percorso logico-argomentativo, gli esiti della perquisizione domiciliare eseguita il 10 ottobre 1989 presso la abitazione dei coniugi F., i quali ospitavano da alcuni giorni l’imputato, unitamente alla moglie ed alla figlia della coppia. La Corte territoriale ha in particolare osservato che gli agenti avevano rinvenuto: una pistola a tamburo con matricola abrasa, occultata nel sottofondo di un comodino della camera da letto occupata dai coniugi M.; una pistola semiautomatica calibro 9, all’interno di una pentola riposta in un mobile del vano cucina; un sacchetto contenente gr, 100 di cocaina, posizionato sotto il cuscino del divano posto nella camera da pranzo. La Corte di Appello ha confermato l’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, relativamente al possesso delle armi, richiamando le dichiarazioni confessorie rese da M., in sede garantita, nel corso dell’interrogatorio reso avanti al pubblico ministero in data 12 ottobre 1989. La Corte territoriale ha considerato che il primo giudice aveva erroneamente censito il compendio indiziario, giungendo ad assolvere il prevenuto dal reato di cui al capo A). Il Collegio, diversamente opinando, ha rilevato che la nozione di detenzione di sostanza stupefacente deve essere intesa come disponibilità di fatto della sostanza, attraverso l’attrazione della stessa nell’ambito della propria sfera di custodia. Ed ha considerato che, nel caso di specie, M. aveva accesso a tutti gli ambienti dell’appartamento ove si trovavano sia le armi che lo stupefacente; che il sacchetto contenente la droga era stato frettolosamente occultato sotto il cuscino del divano, nel momento in cui gli agenti si erano presentati per la perquisizione.

Oltre a ciò, il Collegio ha pure, del tutto legittimamente, richiamato il fatto che M., nel corso della perquisizione, aveva dimostrato di conoscere il contenuto del sacchetto prima ancora della apertura dello stesso. E la Corte di Appello ha rilevato la inverosimiglianza della tesi difensiva, in base alla quale la droga sarebbe stata lasciata nella casa dalla persona che aveva procurato a M. le armi. Al riguardo, il Collegio ha considerato che la prospettata ricostruzione dei fatti risulta contraddetta dalle dichiarazioni rese da F.G., il quale aveva escluso che nei giorni in cui aveva dato ospitalità ai M. altre persone avessero frequentato la casa, a parte il genitore di M.C.. La Corte di Appello ha, inoltre, rilevato che ulteriore elemento indiziario che concorre a riferire al prevenuto la disponibilità della droga è dato dal rinvenimento, nella tasca della giacca del M., di un assegno dell’importo di dieci milioni di lire. Il Collegio ha osservato che un importo così rilevante mal si concilia con le lacune di memoria accampate dall’imputato in ordine alla provenienza del titolo; e che l’assegno va ricollegato al commercio di sostanze stupefacenti realizzato dal M.. La decisione della Corte di Appello, laddove è stata affermata la penale responsabilità dell’imputato anche in ordine al reato di cui al capo A) della rubrica, risulta pertanto immune dalle dedotte censure.

3.2 Le considerazioni ora svolte evidenziano del pari la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso. Invero, la motivazione posta a fondamento della decisione assunta dalla Corte di Appello poggia sul vaglio critico dell’intero compendio indiziario; e la Corte territoriale ha valorizzato, come sopra considerato, gli elementi di fatto emersi nel corso della effettuata perquisizione domiciliare, concernenti la dislocazione e le modalità di occultamento delle armi e della droga all’interno della abitazione;

il rinvenimento dell’assegno dell’importo di lire 10.000.000: si tratta di elementi che risultano pienamente utilizzabili a fini probatori. Come si vede, il ragionamento probatorio compiuto dai giudici di merito prescinde dalle dichiarazioni rese dal M. nel corso della perquisizione. E’ poi appena il caso di rilevare che le dichiarazioni pure rese nell’immediatezza del fatto dal M., circa l’esistenza di un concerto calunnioso ordito da terzi ai suoi danni, sono state sostanzialmente ribadite nel corso dell’interrogatorio reso in data 12 ottobre 1989, di talchè la dedotta inutilizzabilità delle richiamate dichiarazioni risulta superata in considerazione del contenuto delle dichiarazioni rese dal medesimo prevenuto nella sede garantita.

3.3 Il terzo motivo di ricorso risulta manifestamente infondato.

Come già evidenziato dalla Corte di Appello, dagli atti acquisiti al fascicolo risulta evidente l’infondatezza della eccezione processuale, concernente la dedotta tardività dell’appello proposto dal Procuratore Generale, avverso la sentenza di primo grado. Il termine per l’impugnazione, pari a quindici giorni, applicabile al caso di specie ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), trattandosi di sentenza con motivazione contestuale, risulta osservato: la comunicazione al Procuratore Generale presso la Corte di Appello, prevista dall’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. d), è stata invero effettuata in data 7 gennaio 1991; e l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Salerno è stato depositato il 14 gennaio 1991. Come si vede, l’impugnazione è stata proposta entro il termine di quindici, decorrente dalla predetta comunicazione al PG territoriale.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1.000,00 a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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