Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 15-06-2011) 19-07-2011, n. 28790

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Pordenone, con sentenza ex art. 444 c.p.p.; resa in data 20.9.2010 applicava nei confronti di B.P. la pena concordata dalle parti in ordine al reato di guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 C.d.S., e disponeva la sospensione della patente di guida dell’imputato per anni due; il giudice chiariva che la durata della sospensione era stata raddoppiata, ai sensi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. c), terzo periodo.

Il Tribunale sostituiva la pena detentiva nella corrispondente sanzione del lavoro di pubblica utilità, stabilendo lo svolgimento di 48 sabati di lavoro di pubblica utilità (40 sabati in sostituzione di 4 mesi di arresto, in ragione di tre ore di lavoro per sabato; e ulteriori otto sabati in sostituzione di Euro 2.000 di ammenda).

2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, limitatamente alla statuizione relativa alla sospensione della patente di guida. Il ricorrente deduce la violazione dell’art. 25 Cost., comma 2 e dell’art. 2 c.p., atteso che alla data di commissione del fatto – (OMISSIS) – la previsione relativa al raddoppio della durata della sospensione della patente di guida, per il caso in cui il veicolo appartenga a terzi, non era ancora vigente;

ciò in quanto detto inciso è stato inserito nel testo dell’art. 186 C.d.S., dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, entrata in vigore dopo il fatto per cui è processo.

3. Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale di Trieste, deducendo la violazione di legge;

osserva la parte che in luogo della pena detentiva da scontare, l’imputato doveva svolgere lavori di pubblica utilità per 240 ore (in ragione di due ore, per 120 giorni di arresto); e che erroneamente il giudice ha effettuato il conguaglio in ragione di 40 giorni, computando tre ore di lavoro per ogni sabato.

Motivi della decisione

4. Il ricorso proposto da B.P. è inammissibile.

4.1 Osserva il Collegio – nel procedere alla verifica del rispetto dei termini stabiliti a pena di decadenza per l’impugnazione, ex art. 585 c.p.p., u.c., – che l’orientamento espresso da questa Suprema Corte che è venuto consolidandosi, muovendo dalle indicazioni offerte dalle Sezioni Unite sulla natura della sentenza resa ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, considera che la sentenza con cui si applica la pena su richiesta dalle parti deve ritenersi emessa senza che sia proceduto a dibattimento. Ed invero, le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno da tempo chiarito che, a parte il caso in cui all’applicazione della pena si addivenga all’esito del dibattimento, previa valutazione della mancanza di giustificazione del dissenso del pubblico ministero alla richiesta tempestivamente presentata dall’imputato, la sentenza di patteggiamento non può essere assimilata alla sentenza dibattimentale (Cass. Sez. U, Sentenza n. 295 del 12.10.1993, dep. 17.01.1994, Rv. 195617).

4.2 Ciò posto, si osserva – altresì – che con riferimento alla individuazione degli specifici termini per l’impugnazione dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento camerale, sia che essi abbiano natura di sentenza o di ordinanza o decreto, il prevalente orientamento espresso dalla Corte regolatrice è nel senso di ritenere che deve, in ogni caso, trovare applicazione la previsione di cui all’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), di talchè il termine per impugnare risulta pari a quindici giorni (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5496 del 3.02.2010, dep. 11.02.2010, Rv. 246125).

Orbene, le considerazioni sin qui svolte inducono a ritenere che il termine per l’impugnazione delle sentenze rese ai sensi dell’art. 444 c.p.p., comma 2, – a parte il caso di sentenza emessa all’esito del dibattimento, qualora il pubblico ministero non abbia aderito alla richiesta di applicazione della pena formulata dalla parte, come sopra chiarito – sia unico e pari a giorni quindici, ai sensi dell’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), atteso che la sentenza di patteggiamento non può essere altrimenti assimilata alla sentenza dibattimentale. La considerazione assorbente del predetto rilievo, che muove dalla natura camerale del provvedimento, induce poi a ritenere che il termine per l’impugnazione non muti anche nel caso in cui il giudice depositi la motivazione nel quindicennio giorno; e che in tal caso il termine decorra dalla scadenza del termine stabilito dalla legge per il deposito della sentenza e non dalla lettura del provvedimento.

E’ poi appena il caso di rilevare che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha pure chiarito che nel caso in cui l’imputato abbia rilasciato procura speciale al difensore per procedere alla richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., non deve farsi luogo alla declaratoria di contumacia, di talchè la lettura della sentenza equivale a notificazione (cfr. Cass. Sez. 1, sentenza n. 14015 del 7.3.2008, dep. 3.04.2008, Rv. 240140).

4.3 Applicando le coordinate interpretative alla fattispecie di giudizio, si osserva che il ricorso in esame risulta tardivamente proposto. Invero, il termine (di quindici giorni) per il deposito della sentenza oggetto di impugnazione veniva a scadenza il 5 ottobre 2010; e l’ulteriore termine di quindici giorni, decorrente da tale data per la proposizione dell’impugnazione, è perciò spirato il 21 ottobre 2010. Il ricorso che occupa, depositato il 12 novembre 2010, risulta pertanto tardivamente proposto. A medesime conclusioni si perviene anche computando il termine per l’impugnazione dalla data della notifica dell’estratto della sentenza contumaciale, pur trattandosi di notifica non dovuta, per le ragioni sopra evidenziate, atteso che nel caso che occupa la richiesta di applicazione della pena è stata formulata dal difensore munito di procura speciale;

infatti, la notifica dell’estratto contumaciale porta la data del 15.10.2010, di talchè il ricorso depositato il 12 novembre 2010 risulta parimentì non rispettoso del termine di quindici giorni, applicabile per le impugnazioni dei provvedimenti emessi in seguito a procedimento camerale, come chiarito.

4.4 Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del B. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della Casa delle Ammende.

5. Del pari inammissibile risulta il ricorso proposto dal Procuratore Generale territoriale.

Invero, la comunicazione al Procuratore Generale presso la Corte di Appello dell’avviso di deposito della sentenza risulta effettuata il 9 ottobre 2010, mentre il ricorso della parte pubblica è stato depositato il 29 ottobre 2010, cioè a dire oltre la scadenza del termine di quindici giorni – decorrente da tale comunicazione, a mente del disposto di cui all’art. 585 c.p.p., comma 2, lett. d) – che risulta applicabile per l’impugnazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa dal Tribunale di Pordenone, per le ragioni sopra evidenziate.

Si impone, pertanto, la declaratoria di inammissibilità anche del ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica di Trieste.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna B.P. al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 300,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *