Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 19-07-2011, n. 28736 Applicazione della pena

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con la impugnata sentenza il G.U.P. del Tribunale di Nocera Inferiore ha applicato, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., a C.F., M.G., B.L., a F.C. e F. R. la pena stabilita dall’accordo delle parti, oltre alla confisca delle somme e delle aziende in sequestro, quali imputati di numerose ipotesi di reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8 e del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 per avere emesso e utilizzato fatture per operazioni inesistenti, nonchè il M. anche del reato di cui al R.D. n. 267 del 1942, art. 216 per avere distratto beni della società AXIA M. & M. S.r.l. per sottrarli ai creditori.

Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi i difensori dei predetti imputati, i quali denunciano violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., sostenendo che le condotte accertate non avevano determinato danni erariali, ed il M. anche la insussistenza del reato di bancarotta ascrittogli. Sulla base delle stesse argomentazioni i ricorrenti M. e B. censurano la disposta confisca.

Con memoria depositata il 18.5.2011 la difesa delle ricorrenti F. e di B.L. ha ribadito le precedenti censure in ordine alla disposta confisca, deducendo, in particolare, che nel caso di patteggiamento il giudice non può disporla in mancanza di un accordo delle parti sul punto, nonchè l’erronea individuazione del profitto derivante dai reati 1 ricorsi sono infondati.

Osserva il Collegio che secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, nell’ipotesi di pronuncia ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per soddisfare l’obbligo di motivazione, con riferimento alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., è sufficiente l’enunciazione – anche implicita – che è stata effettuata la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata (sez. 1, 27.1.1999 n. 752, Forte, RV 212742; sez. un. 27.9.1995 n. 10372, Serafino, RV 202270).

Inoltre, la verifica demandata al giudice può condurre al proscioglimento dell’imputato solo se le risultanze processuali siano tali da rendere evidente l’esistenza di una delle cause di non punibilità previste dalla norma, senza la necessità di alcun approfondimento probatorio (sez. un. 22.2.1999 n. 3, Messina, RV 212437).

Infine, la sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. può formare oggetto di controllo in sede di legittimità, in relazione alla mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., solo se dal testo della stessa sentenza appaia evidente la sussistenza di una delle condizioni previste dalla disposizione citata (sez. 1, 17.6.1991 n. 2742, Scupola, RV 188377; sez. 3, 18.6.1999 n. 2309, Bonacchi, RV 215071), mentre le parti non sono legittimate a mettere in discussione mediante il ricorso i fatti su cui si fonda l’accordo (sez. 1, 14.3.1995 n. 1549, Sinfisi, RV 201160).

Nella specie il giudice di merito ha dato atto nella sentenza di avere effettuato la richiesta verifica della inesistenza di cause di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. mediante il riferimento alle fonti probatorie, costituite dalle informative del Nucleo di Polizia Tributaria di Salerno, dalle risultanze delle perquisizioni e sequestri, dai controlli incrociati e dalle verifiche contabili, mentre la doglianza dei ricorrenti è del tutto generica ed appare comunque sprovvista della necessaria concretezza per una declaratoria immediata di non punibilità.

Si osserva, in ogni caso, che il danno erariale non è elemento costitutivo dei reati di cui alle imputazioni.

Quanto già rilevato rende evidente l’infondatezza del secondo motivo di doglianza formulato nei ricorsi dalla difesa delle M. e del B. in ordine alla disposta confisca, in quanto fondato sul presupposto, non dimostrato nella sede di merito, della insussistenza delle condotte illecite e, peraltro, anche sul punto la sentenza risulta correttamente motivata, sia sul piano giuridico che fattuale, in ordine alle ragioni giustificatrici del provvedimento ablatorio.

Sono, infine, infondate anche le ulteriori deduzioni contenute nella memoria difensiva sul punto della confisca.

Osserva la Corte che ai sensi dell’art. 322 ter c.p., comma 2 deve essere sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono il profitto del reato ovvero dei beni di cui il condannato ha la disponibilità per un valore corrispondente non solo nell’ipotesi di sentenza di condanna, ma anche di applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p..

Si tratta, pertanto, di una conseguenza obbligatoria della pronuncia che prescinde dall’accordo delle parti e lo rende invalido solo nell’ipotesi in cui l’accordo stesso avesse espressamente escluso la confisca.

Sicchè, il giudice deve disporla anche se l’accordo delle parti nulla preveda sul punto e, peraltro, l’imputato, che formula la richiesta di definizione concordata della pena, non può non essere consapevole della citata conseguenza necessaria della pronuncia, come delle altre previste dall’art. 445 c.p.p., comma 1 per l’ipotesi di applicazione di una pena superiore al limite dei due anni.

Tale principio di diritto è stato già affermato da questa Corte con specifico riferimento ad altra ipotesi di confisca obbligatoria, che si è ritenuta applicabile direttamente in sede di legittimità (sez. 6, 21.5.2008 n. 26579, P.G. in proc. Gala, RV 241051).

Lo stesso principio di diritto della obbligatorietà della disposizione, pur in assenza di un accordo delle parti, è stato, inoltre, reiteratamente affermato con riferimento alle sanzioni amministrative accessorie da applicarsi obbligatoriamente, quali la sospensione della patente di guida (sez. 6 20.11.2008 n. 45687, P.G. in proc. Cuomo, RV 241622; sez. 6 29.5.2008 n. 40591, P.G. in proc. Mesiti, RV 241359) o la demolizione di manufatti abusivi, nonchè l’ordine di rimessione in pristino nel caso di violazioni paesaggistiche, che devono essere disposti pur in difetto dell’accordo della parti (sez. 3, 7.3.2008 n. 24087, Caccioppoli, RV 240539; sez. 6, 10.6.2002 n. 2880, Gobbi, RV 223716; sez. 3, 14.1.1998 n. 64, P.M. in proc. Corrado F, RV 210128).

Per completezza di esame si deve rilevare che la pronuncia contraria citata nella memoria difensiva dei ricorrenti (sez. 6, 11.3.2010 n. 12508, Valente, RV 246731) in effetti si riferisce ad ipotesi in cui la disposta confisca risultava totalmente carente di qualsiasi argomentazione che ne giustificasse l’applicazione e soprattutto della individuazione dei beni oggetto del provvedimento di confisca per equivalente e del profitto ad esso relativo.

Tornando all’esame della fattispecie di cui ci si occupa va ancora osservato che la confisca obbligatoria prevista dall’art. 322 ter c.p. trova applicazione, ai sensi della L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, con riferimento ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2 e 8 che hanno formato oggetto del patteggiamento, commessi successivamente alla data di entrata in vigore della citata legge finanziaria n. 244/2007 (sez. 5, 26.1.2010 n. 11288, Natali, RV 246361 ed altre conformi).

Inoltre, riferendosi il rinvio dell’art. 1, comma 143, all’intero testo dell’art. 322 ter c.p., la confisca per equivalente risulta applicabile anche in relazione al profitto del reato (sez. 3, 7.7.2010 n. 35807, Bellonzi e altri, RV 248618).

Orbene, il giudice di merito ha puntualmente applicato gli enunciati principi di diritto, individuando i reati, sia di emissione di fatture per operazioni inesistenti che di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso delle false fatturazioni, in relazione al loro diverso momento di consumazione (al momento dell’emissione i primi e della presentazione della dichiarazione i secondi), commessi successivamente all’entrata in vigore della L. n. 244 del 2007.

Ha inoltre correttamente identificato il profitto dei reati con l’importo corrispondente all’imposta sui redditi evasa, ottenuta mediante l’abbassamento della base imponibile, ovvero a quello dell’IVA non versata, quantificandolo analiticamente in relazione alla posizione di ciascun imputato e disponendo la confisca di beni o dell’equivalente in danaro fino alla concorrenza degli importi precisati.

Anche con riferimento alla confisca delle aziende, infine, la motivazione della sentenza si palesa giuridicamente corretta, dovendo riferirsi la confisca anche alla applicazione del disposto di cui all’art. 240 c.p., stante il collegamento dei complessi aziendali con la commissione dei reati per essere state tali aziende "create appositamente per la produzione di fatturazioni per operazioni inesistenti" o comunque per avere svolto in via prevalente tale tipo di attività.

Il ricorsi, pertanto, devono essere rigettati con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *