T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, Sent., 22-07-2011, n. 804 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. I ricorrenti espongono di essere proprietari di immobili siti in San Mauro Torinese prospicienti su di un ampio spazio di proprietà comunale destinato a verde pubblico; di aver ceduto il predetto spazio al Comune nell’ambito di un intervento edilizio recentemente attuato mediante Piano Esecutivo Convenzionato di libera iniziativa (P.E.C.L.I.) approvato dal consiglio comunale con deliberazione n. 34 del 29 maggio 2003; che, in particolare, nel contesto del predetto piano, a fronte dell’autorizzazione ad edificare un complesso residenziale, essi hanno ceduto gratuitamente al Comune le aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e secondaria, e, tra queste, l’area V.C.12 di mq 6.360 destinata a sport e verde pubblico; che, successivamente, dopo che gli interventi oggetto di P.E.C. erano stati ultimati, il Comune ha adottato la delibera n. 35 del 28 maggio 2009 con la quale ha approvato il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari, nell’ambito del quale ha incluso anche la predetta area V.C.12 destinata a verde pubblico, ritenendola non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali; che con la stessa delibera, il Comune ha altresì approvato la Variante n. 9 del P.R.G.C. modificando la destinazione della predetta area V.C.12 da "verde pubblico" ad area RI.C.1A "di riordino e di completamento residenziale", con l’attribuzione di specifici indici edificatori; che, su ricorso dei ricorrenti, la predetta delibera è stata annullata da questo Tribunale con sentenza n. 3187 del 5 novembre 2009, per violazione dell’art. 17 comma 4 della L.R. n. 56/77 e per difetto di istruttoria; che, successivamente, il consiglio comunale di San Mauro Torinese, con due contestuali deliberazioni del 18 febbraio 2010, ha riconfermato i contenuti della precedente deliberazione n. 35/2009 annullata da questo TAR; in particolare, con la delibera n. 15/2010 il consiglio comunale ha riapprovato il piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari includendovi nuovamente la predetta area V.C.12, mentre con la delibera n. 16/2010 ha adottato la Variante n. 10 del P.R.G.C. con la quale ha classificato la predetta area come "ambito RI.C.1A" e le ha impresso destinazione residenziale con specifici indici edificatori; che la variante è stata quindi approvata con delibera consiliare n. 61 del 12 ottobre 2010; che, successivamente, con bando del 24 settembre 2010, il Comune ha indetto la gara per la vendita, tra l’altro, del suddetto fondo; che in esito alla procedura di gara, con determinazione n. 712 del 02 novembre 2010, è stata dichiarata aggiudicataria definitiva dell’area in questione la società M. s.a.s..

2. Ciò premesso, con il ricorso qui in esame – notificato il 16.12 / 21-12.2010 al Comune di San Mauro Torinese e il 16.12.2010 alla Regione Piemonte, alla Provincia di Torino e alla società M. s.a.s., e depositato il 12.01.2011 – i ricorrenti hanno impugnato gli atti indicati in epigrafe e ne hanno chiesto l’annullamento, previa sospensione, sulla base di cinque motivi, i primi quattro riferiti alla delibera n. 61/2010 di approvazione della Variante n. 10 del P.R.G.C., il quinto riferito agli atti dell’asta pubblica di vendita dell’area di via M., lamentando vizi di violazione di legge e di eccesso di potere nei termini che saranno diffusamente esposti in seguito.

3. Si è costituito il Comune di San Mauro Torinese, contestando con articolate deduzioni il fondamento del ricorso ed invocandone il rigetto.

4. Si è costituita la controinteressata società M. s.a.s. eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione attiva e di interesse a ricorrere nonché la tardività del primo motivo di gravame; in subordine, nel merito, contestando la fondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.

5. In occasione della camera di consiglio del 27 gennaio 2011, su concorde richiesta delle parti, la trattazione dell’istanza cautelare è stata rinviata al merito.

6. In prossimità dell’udienza di merito, la difesa di parte ricorrente ha integrato la propria produzione documentale; tutte le parti hanno depositato memorie conclusive, la ricorrente e la controinteressata anche di replica.

7. All’udienza pubblica del 16 giugno 2011, sentiti l’avv. Ludogoroff per la parte ricorrente, l’avv. Giulietta Redi su delega dell’avv. Santilli per il Comune resistente e l’avv. Carlo Merani per la controinteressata, il collegio ha trattenuto la causa per la decisione.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente, va respinta l’eccezione processuale formulata dalla difesa del controinteressato secondo cui i ricorrenti non sarebbero legittimati a ricorrere dal momento che la variante impugnata non inciderebbe sul godimento o sul valore di mercato dei loro beni.

In realtà non si può negare che i ricorrenti, in qualità di soggetti proprietari di beni confinanti con l’area interessata dalla variante urbanistica, subiscano un pregiudizio per effetto dei provvedimenti impugnati, i quali, trasformando un’area destinata a verde pubblico in area residenziale, comportano una significativa variazione del carico urbanistico della zona e sono quindi potenzialmente idonei ad incidere sulle preesistenti condizioni di vivibilità (TAR Liguria Genova, sez. I, 9 dicembre 2009, n. 3559; TAR Basilicata Potenza, 10 settembre 2001, n. 705).

Va dunque affermata la legittimazione e l’interesse ad agire dei ricorrenti.

2. Nel merito, si osserva quanto segue.

2.1. Con il primo motivo, i ricorrenti hanno dedotto vizi di eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento, errore essenziale, contraddittorietà ed illogicità manifeste, nonché vizi di violazione di legge sotto plurimi profili: secondo i ricorrenti, la variante n. 10 del P.R.G.C. approvata dal consiglio comunale il 12.10.2010 sarebbe illegittima nella parte in cui ha modificato la destinazione urbanistica dell’area di via M. da "verde pubblico" a "residenziale"; ciò in quanto la predetta variante sarebbe stata redatta al solo fine di declassare l’area a bene non strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente, consentendone in tal modo l’inclusione nel piano di dismissione; senonchè, osservano i ricorrenti, l’area in questione non poteva subire tale declassamento dal momento che essa costituisce un’opera di urbanizzazione primaria la quale, per sua natura, è necessariamente strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente comunale, tra le quali vanno ricomprese quelle di programmazione e di governo del territorio e, in particolare, quelle volte a garantire che l’edificazione avvenga di pari passo con la posa delle necessarie infrastrutture; pertanto, le opere di urbanizzazione non sono suscettibili di essere incluse nei piani di alienazione di cui all’art. 58 della L. n. 133/08, in quanto beni necessariamente strumentali all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente civico.

La difesa del controinteressato – e, da ultimo, anche quella del Comune – hanno eccepito la tardività della predetta censura in quanto diretta a contestare l’inclusione dell’area di via M. nel piano comunale di alienazioni e valorizzazioni immobiliari: inclusione già decisa dal Comune con la delibera consiliare n. 15 del 18 febbraio 2010, non impugnata dai ricorrenti nel termine di legge.

Osserva il collegio che l’eccezione non può essere condivisa, dal momento che la lesione della posizione giuridica soggettiva dei ricorrenti è divenuta attuale solo in conseguenza dell’approvazione della variante n. 10 del P.R.G.C., per effetto della quale l’area in questione, già destinata a verde pubblico, è stata resa edificabile: la semplice inclusione dell’area nel piano comunale di dismissioni immobiliari e la stessa vendita del bene a terzi (benchè illegittimi, secondo la prospettazione dei ricorrenti, perché aventi ad oggetto un bene insuscettibile di dismissione in quanto strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente civico), non avrebbero comunque arrecato ai ricorrenti alcun pregiudizio concreto fintantoché il bene avesse conservato la propria destinazione a verde pubblico; è soltanto il mutamento di destinazione urbanistica ad aver reso attuale e concreto il pregiudizio per i ricorrenti, rendendo differenziata la loro posizione giuridica e facendo sorgere negli stessi la legittimazione e l’interesse a ricorrere.

Nel merito, peraltro, il motivo di gravame è infondato e va respinto.

I ricorrenti muovono dal presupposto che un’area di proprietà pubblica destinata a "verde pubblico" secondo le previsioni del piano regolatore generale o di uno strumento urbanistico di secondo livello, costituisca, per ciò stesso, un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, con la conseguenza che quest’ultimo non potrebbe far cessare la predetta destinazione nè includere il bene in un piano di dismissioni immobiliari, avuto riguardo al fatto che la normativa di settore prevede che gli enti pubblici possono includere nei propri piani di alienazione soltanto beni "non strumentali all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali".

Osserva il collegio che tale presupposto è infondato.

Un’area di proprietà pubblica destinata a "verde pubblico" non costituisce un’opera di urbanizzazione primaria né un bene strumentale all’esercizio delle funzioni istituzionali dell’ente proprietario, fino a quando su di essa non siano state realizzate concrete opere di trasformazione volte a rendere fruibile il verde pubblico da parte della collettività, imprimendo al bene una destinazione di fatto conforme a quella astrattamente prevista dal piano: solo in presenza di tali opere il bene acquista carattere strumentale rispetto ai fini dell’ente e rientra a far parte del patrimonio indisponibile dello stesso, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma c.c., in quanto bene di proprietà pubblica concretamente destinato ad un pubblico servizio.

In altre parole, affinchè un bene di proprietà pubblica possa definirsi strumentale al perseguimento degli scopi istituzionali dell’ente proprietario, con conseguente inclusione nel patrimonio indisponibile dell’ente medesimo, non è sufficiente la mera manifestazione di volontà dell’ente pubblico di destinarlo ad un pubblico servizio, ma è altresì necessario che a quella manifestazione di volontà abbiano fatto seguito concrete opere di trasformazione dirette ad imprimere al bene un’effettiva funzionalizzazione ad un pubblico servizio. E’ stato affermato, a questo riguardo, che l’appartenenza di un bene al patrimonio indisponibile dello Stato, dei comuni o delle province, a meno che non si tratti di beni riservati, per loro natura, a tale patrimonio, dipende soprattutto dalle caratteristiche oggettive e funzionali del bene e presuppone, quindi, oltre che l’acquisto in proprietà del bene da parte dell’ente pubblico (cosiddetto requisito soggettivo), una concreta destinazione dello stesso ad un pubblico servizio (cosiddetto, requisito oggettivo) che, proprio per l’esigenza di un reale legame con le oggettive caratteristiche del bene, non può dipendere da un mero progetto di utilizzazione della p.a. o da una risoluzione che, ancorché espressa in un atto amministrativo, non incide, di per sè, sulle oggettive caratteristiche funzionali del bene. Pertanto, nei casi in cui il bene sia privo dei caratteri strutturali necessari per il servizio, occorre almeno che il provvedimento di destinazione sia seguito dalle opere di trasformazione che in qualche modo possano stabilire un reale collegamento di fatto, e non meramente intenzionale, del bene alla funzione pubblica (Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1997, n. 8743; in senso analogo, Cass. Civ. SS.UU. 28 giugno 2006, n. 14865).

Sulla scorta di tali principi, è stato affermato che i terreni destinati a verde pubblico dal piano regolatore acquistano la condizione di beni del patrimonio indisponibile dell’ente pubblico (e, quindi, di beni strumentali al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente stesso) solo dal momento in cui, essendo stati acquistati da questo in proprietà, sono trasformati ed in concreto utilizzati secondo la propria destinazione, non essendo all’uopo sufficiente nè il piano regolatore generale, che ha solo funzione programmatoria e l’effetto di attribuire alla zona, o anche ai terreni in esso eventualmente indicati, una vocazione da realizzare attraverso gli strumenti urbanistici di secondo livello o ad essi equiparati, e la successiva attività di esecuzione di questi strumenti, nè il provvedimento di approvazione del piano di lottizzazione, che individua solo il terreno specificamente interessato dal progetto di destinazione pubblica, nè la convenzione di lottizzazione, che si inserisce nella fase organizzativa del processo di realizzazione del programma urbanistico e non nella fase della sua materiale esecuzione (Cassazione civile, sez. II, 09 settembre 1997, n. 8743).

Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che l’area di via M., benchè destinata dal piano regolatore generale a verde pubblico, non ha mai ricevuto, in concreto, tale destinazione: a tutt’oggi, si tratta di un’area allo stato di gerbido.

In mancanza di una concreta destinazione a pubblico servizio, l’area di cui si discute ha continuato a far parte del patrimonio disponibile del Comune di San Mauro Torinese, che proprio in ragione di tale natura l’ha potuta includere nel proprio piano di dismissioni in quanto bene non strumentale all’esercizio delle proprie funzioni istituzionali.

Peraltro, va altresì osservato che anche nel caso in cui l’area fosse stata in concreto trasformata in senso conforme alle previsioni di piano, il Comune avrebbe comunque conservato il potere di modificare tale destinazione, sia con un provvedimento amministrativo di carattere pianificatorio destinato ad incidere sulla destinazione urbanistica del bene, sia anche sulla base di atti o comportamenti concludenti incompatibili con la destinazione del bene a pubblico servizio (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 05 novembre 2004, n. 7245), con il duplice limite rappresentato dalla necessità di rispettare i limiti minimi inderogabili in materia di standards urbanistici di cui al d.m. n. 1444 del 1968 e dall’impossibilità giuridica di incidere sulla destinazione pubblica dei beni facenti parte del demanio c.d. necessario dell’ente pubblico, di cui all’art. 822, 1° comma c.c..

La stessa previsione di cui all’art. 58, comma 2 L. 133/2008, nella parte in cui stabilisce che "l’inserimento degli immobili nel piano ne determina la conseguente classificazione come patrimonio disponibile", è chiaramente sintomatica del potere dell’ente pubblico di far cessare la destinazione a pubblico servizio di beni del proprio patrimonio, e, unitamente ad essa, il rapporto di strumentalità di quei beni rispetto ai propri fini istituzionali.

Alla stregua di tali considerazioni, il primo motivo di ricorso è infondato e va disatteso.

2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti hanno dedotto la violazione e l’errata applicazione degli artt. 39, 43 e 45 della L.R. n. 56/77, nonché vizi di eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta e difetto di motivazione: hanno lamentato, in particolare, la contraddittorietà del comportamento dell’amministrazione comunale, la quale, mentre al momento dell’approvazione del P.E.C. del 2003 ha ritenuto che la realizzazione delle opere di urbanizzazione indicate nei progetti e in convenzione fosse assolutamente necessaria, ai sensi dell’art. 43 della L.R. n. 56/77, per far fronte all’aumento del carico urbanistico derivante dalla collocazione sul sito di nuovi edifici residenziali, adesso, a distanza di diversi anni, ha adottato provvedimenti di senso contrario che, da un lato comporteranno l’aumento del carico antropico dell’area e dall’altro ridurranno in maniera consistente le aree a verde; né rileva, secondo i ricorrenti, la circostanza che le aree a verde presenti sull’intero territorio comunale siano eventualmente sovrabbondanti rispetto alla standard minimo di cui all’art. 21 della L.R. n. 56/77, dal momento che la previsione contenuta nel P.E.C. del 2003 era volta ad assolvere ad esigenze proprie dell’area circostante alla via M., esigenze che negli anni successivi non sono certo venute meno.

La censura è infondata e va disattesa.

La giurisprudenza ha avuto più volte occasione di affermare che il Comune rimane libero di dare una diversa destinazione urbanistica alle aree acquisite in sede di convenzioni urbanistiche al fine della realizzazione di opere di urbanizzazione (Cassazione civile, sez. II, 14 agosto 2007, n. 17698; Cassazione civile, sez. II, 28 agosto 2000, n.11208; Cassazione civile, sez. II, 9 marzo 1990 n. 1917; Cassazione civile, sez. II, 25 luglio 1980 n. 4833; T.A.R. Abruzzo L’Aquila, 16 luglio 2004, n. 835).

Più in generale, la facoltà del Comune di modificare il regime delle aree a servizi è previsto dalla legge urbanistica regionale piemontese n. 56/77 la quale, all’art. 17 comma 4 lett. b), attribuisce al Comune il potere di ridurre, mediante varianti strutturali, la quantità globale delle aree a servizi per più di 0,5 metri quadrati per abitante; l’unico limite è rappresentato dalla necessità di rispettare i cd. standards urbanistici che, nella pianificazione generale, attengono ai rapporti massimi tra spazi edificabili e spazi riservati all’utilizzazione per scopi pubblici e sociali: standards che, dovendo essere previsti in un limite minimo inderogabile dal d.m. 2 aprile 1968, assolvono ad una funzione di equilibrio dell’assetto territoriale e di salvaguardia dell’ambiente e della qualità della vita.

Nel caso di specie, non solo i ricorrenti non hanno contestato il mancato rispetto degli standards, ma è altresì documentato che il Comune, prima di adottare la variante n. 10 del PRGC, ha svolto una specifica istruttoria per accertare il rispetto di tali parametri inderogabili; detta verifica ha consentito al Comune di accertare che la dotazione complessiva di aree a verde nel distretto urbanistico "Centro – S. Anna – Pescatori", in cui si colloca l’area di via M., avrebbe conservato, dopo l’attuazione della variante, un saldo attivo di 2.539 mq (doc. 3 e 4.1. fascicolo Comune).

La censura in esame è quindi infondata e va respinta.

2.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti hanno dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione: secondo i ricorrenti, la decisione dell’amministrazione di modificare la destinazione urbanistica dell’area avrebbe imposto alla stessa di motivare adeguatamente le ragioni di tale scelta, evidenziando, in particolare, da quali preminenti interessi pubblici essa fosse giustificata; e ciò in quanto la disciplina attuale dell’area era stata dettata nella convenzione edilizia del 2003, la quale aveva ingenerato nei privati una aspettativa qualificata al rispetto della destinazione pattuita; tale motivazione, tuttavia, è mancata del tutto, il che integra il vizio di illegittimità dedotto in rubrica.

La censura è infondata e va disattesa.

E’ noto che le scelte urbanistiche, che di norma non comportano la necessità di specifica giustificazione oltre quella desumibile dai criteri generali di impostazione del piano o della sua variante, necessitano di congrua motivazione quando incidono su aspettative dei privati particolarmente qualificate, come quelle ingenerate da impegni già assunti dall’amministrazione mediante approvazione di piani attuativi o stipula di convenzioni; in tali evenienze, la completezza della motivazione costituisce infatti lo strumento dal quale deve emergere l’avvenuta comparazione tra il pubblico interesse cui si finalizza la nuova scelta e quello del privato, assistito appunto da una aspettativa giuridicamente tutelata (Consiglio Stato, sez. IV, 09 giugno 2008, n. 2837).

Se ciò è vero, è anche vero, però, che nel caso di specie l’unica aspettativa tutelata sorta in capo ai ricorrenti con la sottoscrizione dalla convenzione Musso del 23.07.2003 attuativa del PEC, è stata quella avente ad oggetto la realizzazione dell’intervento edificatorio: ma tale aspettativa, allo stato, è già stata integralmente soddisfatta, dal momento che il PEC è stato attuato e gli edifici sono stati ultimati (rispettivamente il 16.05.2006 e il 09.07.2007, come si evince dai relativi certificati di agibilità: cfr. doc. 7 fascicolo Comune). Per contro, dalla predetta convenzione non è sorta anche un’aspettativa qualificata dei ricorrenti a che il Comune realizzasse le opere di urbanizzazione primaria a fronte della cessione gratuita delle relative aree, dal momento che, come giustamente osservato dalla difesa comunale, nel contesto di quella convenzione edilizia la cessione gratuita delle aree non trovava il suo corrispettivo e la sua causa nella realizzazione delle opere di urbanizzazione, ma nel rilascio delle concessioni edilizie, fermo restando il potere del Comune, nell’esercizio dei propri insindacabili poteri di pianificazione e di gestione del territorio, di imprimere eventualmente a quelle aree una diversa destinazione urbanistica sulla base di una rinnovata o di una sopravvenuta diversa valutazione dell’interesse pubblico.

Pertanto, non incidendo la variante di piano su aspettative giuridicamente qualificate dei ricorrenti, non si imponeva la necessità di una specifica giustificazione, oltre quella desumibile dai criteri generali di impostazione della variante medesima.

2.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti hanno dedotto il vizio di eccesso di potere per difetto dei presupposti e sviamento: secondo i ricorrenti, la variante del Piano Regolatore è uno strumento tipico che l’amministrazione comunale può utilizzare soltanto per perseguire finalità di carattere urbanistico; nel caso di specie, invece, esso sarebbe stato utilizzato al solo fine di alienare il bene, e quindi per perseguire finalità ("di cassa") del tutto estranee a quelle tipiche in funzione delle quali la legge ha attribuito al Comune il relativo potere: la variante approvata sarebbe dunque viziata da sviamento di potere.

Anche tale censura è infondata. E’ la legge ad imporre ai Comuni di adottare una specifica variante dello strumento urbanistico generale per stabilire la destinazione urbanistica dei beni inclusi nel proprio piano delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari: ciò si evince dall’art. art. 58 comma 2 della L. 133/2008, nel testo risultante dopo la sentenza della Corte Costituzionale 16 dicembre 2009, n. 340; quest’ultima ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma citata nella parte in cui originariamente prevedeva che l’approvazione del piano delle alienazioni e valorizzazioni costituiva essa stessa variante allo strumento urbanistico generale; per effetto della predetta decisione del giudice delle leggi, è venuto meno l’effetto di variante automatica originariamente associato alla delibera di approvazione del piano delle alienazioni, sicchè, allo stato, i Comuni che approvino un piano di dismissione immobiliare, hanno l’onere di attivare un separato procedimento di variante del proprio strumento urbanistico (che salvaguardi, in tal modo, le competenze della Regione, pretermesse nella formulazione originaria della norma).

Alla luce di tali considerazioni, nessuno sviamento di potere può essere attribuito nel caso in esame al Comune di San Mauro Torinese, avendo esso utilizzato il procedimento di variante urbanistica in doverosa attuazione di una norma di legge e per il perseguimento di finalità previste dalla legge.

2.5. Infine, con il quinto motivo i ricorrenti hanno dedotto l’illegittimità derivata degli atti relativi alla gara per la vendita dell’area, in quanto atti connessi e consequenziali alla delibera consiliare n. 61/10 di approvazione della Variante n. 10.

La censura è infondata attesa la legittimità dell’atto presupposto, alla luce di quanto esposto in relazione ai precedenti motivi di gravame.

3. Conclusivamente, alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso va respinto perché infondato sotto tutti i profili dedotti.

Le spese di lite possono essere integralmente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi per la peculiarità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge e compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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