Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 24-05-2011) 19-07-2011, n. 28829

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza del 10 aprile 2008 con cui il Tribunale di Alba aveva ritenuto A.E. responsabile del reato di cui all’art. 322 c.p., comma 4 (istigazione alla corruzione), condannandolo a otto mesi di reclusione, con pena sospesa e non menzione della condanna, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in complessivi Euro 2.000,00 (successivamente la parte civile ha revocato la costituzione).

2. – L’avvocato Lillo Fiorello ha presentato ricorso per cassazione nell’interesse dell’imputato.

Con il primo motivo ha dedotto l’illogicità della motivazione in ordine alla pretesa attendibilità della persona offesa, rilevando che i giudici hanno omesso ogni indagine sulla credibilità soggettiva e oggettiva della D., evitando di trarre le debite conclusioni in ordine ad alcune contraddizioni emerse nelle sue dichiarazioni accusatorie, come quelle relative al numero di telefonate ricevute il 2.11.2004. Il ricorrente evidenzia come la sentenza abbia ricostruito tre distinti e contraddittori atteggiamenti della persona offesa avendo i giudici prima ritenuto che questa fosse consapevole che l’imputato era sessualmente attratto da lei e ne temeva le avances, per poi sostenere che la D. non fosse sicura delle cattive intenzioni dell’ A. e infine per ammettere la possibilità che la donna fosse determinata a trovare qualsiasi espediente che le consentisse di avere un rinvio dello sfratto: tali evidenti contraddizioni della motivazione influiscono sul giudizio di credibilità della persona offesa.

Peraltro, la Corte d’appello non avrebbe preso in alcuna considerazione il comportamento della D. che registra l’incontro con l’ A., circostanza questa che, secondo il ricorrente, getterebbe significative ombre sulla sua buona fede.

Con un secondo motivo il ricorrente ha denunciato l’erronea applicazione dell’art. 322 c.p., sotto il profilo soggettivo e oggettivo, nonchè l’illogicità della motivazione sul punto. In particolare, si sostiene che dall’esame del contenuto della conversazione registrata i giudici avrebbe dovuto escludere la sussistenza del reato di istigazione alla corruzione, in quanto emerge che la D. non sarebbe stata vittima di alcuna subdola pressione psicologica finalizzata all’istigazione verso il pubblico ufficiale perchè commetta atti contrari ai doveri d’ufficio. Il ricorrente mette in rilievo che i due si erano sentiti per telefono parecchie volte e che tra loro era nata una forma di amicizia, inoltre sottolinea che all’incontro del (OMISSIS) la D. si era presentata in abbigliamento e con un atteggiamento certamente seduttivo: in altri termini la persona offesa avrebbe, da un lato, cercato di catturare l’attenzione ed il favore del pubblico ufficiale nel tentativo di ottenere un rinvio della procedura, dall’altro, avrebbe predisposto le prove dell’incontro, sia avvisando il fratello e il fidanzato che avrebbero dovuto testimoniare dell’avvenuto incontro, sia registrando le conversazioni con l’ A. per influenzare, successivamente, la libera determinazione del pubblico ufficiale. In questa situazione l’imputato non poteva sollecitare alcunchè, in quanto era la D. che aveva predisposto un contesto seduttivo finalizzato ad ottenere il rallentamento dell’esecuzione dello sfratto, sicchè le espressioni utilizzate dall’ A., su cui insiste la sentenza per sostenere la sussistenza del reato di istigazione, se valutate in questo contesto assumono i caratteri di semplici battute scherzose con cui l’imputato "reagisce alla situazione artificiosamente creata dalla D.". In altri termini, si sostiene che sia stata la persona offesa a cercare un espediente seduttivo per ottenere il rinvio dello sfratto; l’imputato non avrebbe, del resto, fatto alcuna richiesta di pagamento sotto forma di favori sessuali e in tali conversazioni non ha mai ammesso la possibilità di porre in essere un atto contrario ai suoi doveri d’ufficio in cambio di qualche favore sessuale.

3. – Con i motivi proposti il ricorrente tenta di offrire una lettura alternativa rispetto ai fatti così come ricostruiti dalla sentenza, operazione che non è consentita in sede di legittimità.

Occorre ribadire che il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la ricostruzione dei fatti nè l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile, cioè l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Peraltro, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciarle, deve essere evidente ("manifesta illogicità"), cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando inlnfluenti le minime incongruenze.

In altri termini, l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.

Inoltre, va precisato, che il vizio della "manifesta illogicità" della motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica "rispetto a se stessa", cioè rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal giudice di merito, che si presta a censura soltanto se, appunto, manifestamente contrastante e incompatibile con i principi della logica. I limiti del sindacato della Corte non sono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), intervenuta a seguito della L. 20 febbraio 2006, n. 46, là dove si prevede che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia sia "effettiva" e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; non sia internamente "contraddittoria", ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per Cassazione: c.d. autosufficienza) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico. Alla Corte di Cassazione, infatti, non è tuttora consentito di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti magari finalizzata, nella prospettiva del ricorrente, ad una ricostruzione dei medesimi in termini diversi da quelli fatti propri dal giudice del merito. Così come non sembra affatto consentito che, attraverso il richiamo agli "atti del processo", possa esservi spazio per una rivalutazione dell’apprezzamento del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamento riservato in via esclusiva al giudice del merito. In altri termini, al giudice di legittimità resta preclusa – in sede di controllo della motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa: un tale modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Cassazione nell’ennesimo giudice del fatto.

4. – Nella specie, la sentenza non presenta deficit di motivazione, anzi questa appare logica e del tutto coerente rispetto agli evidenti elementi di prova che sono stati acquisiti e su cui la decisione si è basata.

Infatti, è stato accertato che l’imputato, ufficiale giudiziario incaricato della procedura esecutiva di sfratto nei confronti della Team s.n.c. di Silvana Destefanis, conduttrice di un locale sito in (OMISSIS), ha istigato alla corruzione la stessa D., sollecitandola alla prestazione di favori sessuali al fine di ritardare la procedura esecutiva. La sentenza impugnata ha ritenuto provate le accuse sulla base del tenore delle conversazioni tra l’ A. e la D., registrate da quest’ultima nel corso dell’incontro del (OMISSIS). Secondo i giudici la registrazione dimostra in maniera inconfutabile l’intenzione di sollecitare la donna a promettergli favori sessuali in cambio di un rinvio o di un rallentamento della procedura esecutiva di sfratto e le censure rivolte al senso che i giudici hanno dato a tali conversazioni devono ritenersi del tutto inconferenti in presenza di una motivazione che non presenta aspetti di illogicità o di incoerenza. Peraltro, le accuse sono state confermate dalle prime dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di denuncia e ribadite nell’udienza preliminare e in dibattimento. Infine, ininfluente ai fini della sussistenza del reato è il comportamento della persona offesa, che ha provveduto a registrare l’incontro avuto con l’imputato.

Infine, genetiche sono le critiche con cui il ricorrente assume l’erronea applicazione dell’art. 322 c.p., comma 4. 5. – Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento della spese processuali e a versare una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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