T.A.R. Calabria Reggio Calabria Sez. I, Sent., 25-07-2011, n. 630 Ricorso per l’esecuzione del giudicato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Ricorre il sig. S.F., titolare dell’impresa individuale "P. di S.F.", per ottenere l’ottemperanza alle sentenze di questo TAR meglio indicate in epigrafe, con le quali è stato annullato il provvedimento di esclusione dalla procedura di evidenza pubblica finalizzata all’erogazione di provvidenze economiche a sostegno di progettualità nel campo del management aziendale e dell’utilizzo di nuove tecnologie riferite alla comunicazione grafica e pubblicitaria ed il precedente e presupposto provvedimento costituito dalla certificazione antimafia rilasciata dalla Prefettura ed in forza del quale il primo è stato adottato.

Espone, in fatto, che con deliberazione nr. 852 del 30.11.2006, la Giunta comunale del Comune di Reggio Calabria approvava la scheda progettuale dell’intervento denominata "il Comunicativo", nell’ambito dell’intervento nr. 24 denominato "Promozione delle Nuove Tecnologie dell’Informazione" del PSU 20002006 (asse V del POR Calabria, misura 5.1) e per un importo di euro 300.000,00 da finanziarsi a valere sul capitolo 20124 del Bilancio 2005; il bando di gara veniva approvato con atto del Dirigente competente del Settore nr. 4561 del 12.12.2006, nel quale, in forza del visto di regolarità contabile già espresso ed apposto sulla deliberazione nr. 852/2006, si decideva di rinviare l’impegno di spesa vero e proprio all’esito della procedura di evidenza pubblica da esperirsi; all’esito di quest’ultima, la Commissione di valutazione procedeva all’aggiudicazione provvisoria in favore dell’odierna ricorrente (verbale del 12.12.2007); veniva quindi richiesta l’informativa antimafia alla Prefettura e, nelle more del rilascio, veniva disposta l’aggiudicazione definitiva, confermando l’impegno di spesa di euro 300.000 sul capitolo 201824 del Bilancio, Residui Passivi 2006, somme riservate come da deliberazione nr. 852/2006; interveniva l’informativa prefettizia nr. 39225 del 9.07.2007 emessa ai sensi dell’art. 10 comma 2 del DPR 252/1998, ed il Comune, con determina nr. 2765 del 27.07.2007, sospendeva gli atti relativi all’aggiudicazione definitiva senza stipulare il contratto; veniva proposto il ricorso nr. 786/2007 di fronte a questo TAR che, con ordinanza nr. 457/2007, in accoglimento della domanda cautelare, sospendeva i provvedimenti annullati; seguiva diffida del 7.11.2007 con la quale il sig. Frascati chiedeva di provvedere alla stipula del contratto; la Prefettura emetteva nuova informativa in data 10 marzo 2008, impugnata con motivi aggiunti; venivano anche impugnati gli ulteriori atti culminati nella revoca dell’aggiudicazione disposta con determina nr. 64 del 16 aprile 2008, motivata non solo dalla certificazione antimafia nel frattempo ribadita, ma anche dalla mancata conferma, da parte della Regione Calabria, della finanziabilità dell’opera (a suo tempo richiesta con nota del 69771 del 15.04.2008). Tali atti e provvedimenti venivano annullati dal TAR con le sentenze nn. 267/2009 e 275/2009 depositate il 22.04.2009 in accoglimento dei rispettivi gravami.

Il 30 aprile ed il 7 luglio 2010 il sig. Frascati notificava appositi atti stragiudiziali al Comune per ottenere la conformazione alle sentenze, passate in giudicato, ed ottenere così la stipula del contratto relativo al servizio di formazione professionale denominato "il Comunicativo"; chiedeva inoltre che gli fosse corrisposta, ex art. 13 comma 6 bis del DPR 115/2002, la somma di euro 4.000 a titolo di contributo unificato complessivamente versato all’atto di iscrizione a ruolo dei giudizi, oltre interessi al tasso legale decorrenti dalla data di deposito delle sentenze.

Nonostante tali diffide il Comune di Reggio Calabria restava inerte; da qui la proposizione dell’odierno ricorso.

Si sono costituiti il Comune di Reggio Calabria, la Regione Calabria e la Prefettura di Reggio Calabria, che resistono al ricorso di cui chiedono il rigetto per inammissibilità ed infondatezza.

Alla camera di consiglio del 22 giugno 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

I) Preliminarmente va accolta, in quanto fondata, l’eccezione dell’Avvocatura, secondo la quale la Prefettura non sarebbe tenuta all’esecuzione del giudicato di cui alla sentenza nr. 267/09 non essendo stata parte in quel giudizio. L’eccezione è fondata, così come è anche da rilevarsi come, per la parte che le compete, la Prefettura ha puntualmente dato esecuzione al giudicato formatosi sulla sentenza nr. 275/09, avendo riesaminato la posizione della ricorrente, dopo l’avvenuto annullamento dell’originaria informativa antimafia (con esito positivo per la ricorrente).

Ai fini dell’odierno giudizio, quindi, la Prefettura ha interesse a contraddire solo in relazione alla questione del rimborso del contributo unificato, per la quale si veda oltre sub III.

Quanto all’eccezione di carenza di legittimazione passiva della Regione Calabria, essa è infondata e va respinta. Sotto un profilo formale, la Regione Calabria non è stata estromessa nel giudizio conclusosi con la sentenza nr. 267/09 (ricorso avverso gli atti con i quali il Comune aveva revocato l’aggiudicazione sulla base di una ipotizzata indisponibilità del finanziamento); da un punto di vista sostanziale, come si vedrà meglio nel corso dell’esposizione che segue, sarebbe spettato anche alla Regione verificare l’esistenza e la disponibilità del finanziamento del progetto, con le conseguenze che si esamineranno oltre in ordine alla sussistenza dell’obbligo a contrarre scaturente dall’aggiudicazione e dal bando; con il che va respinta l’eccezione di estraneità al rapporto controverso che la difesa della Regione ha opposto all’odierno ricorso.

II) Nell’odierno giudizio, parte ricorrente chiede che sia data esecuzione al giudicato formatosi nella fattispecie descritta prima, esercitando quindi un’azione che è assimilabile all’art. 2932 cod.civ., con i contemperamenti ed i connotati processuali che sono tipici di una fattispecie amministrativa e nell’ambito di un giudizio di ottemperanza. In subordine, chiede il risarcimento del lucro cessante e del danno curriculare con articolate deduzioni.

La prima azione è fondata e, come tale, va accolta con l’obbligo del Comune di stipulare il contratto; avendo trovato ingresso tale domanda, la subordinata domanda di risarcimento del danno diviene, allo stato, improcedibile.

IIa) In fatto, si osserva che l’Ente resistente ha posto in essere una procedura di evidenza pubblica conclusasi con l’aggiudicazione del servizio alla odierna ricorrente; gli atti che ne avevano originato l’annullamento e/o la revoca in sede amministrativa dell’aggiudicazione sono stati annullati dal TAR con le sentenze sulle quali si è formato il giudicato; la Prefettura ha, dal canto suo, riesaminato la posizione dell’impresa ricorrente, attestando l’inesistenza a suo carico di cause ostative alla stipula del contratto.

Con particolare riferimento al contenuto della pronuncia nr. 267/2009 il TAR ha statuito (per quanto qui di maggiore interesse) circa l’accoglimento del ricorso in forza dei motivi di censura con i quali si lamentava la violazione dell’obbligo a contrarre in capo al Comune. Più precisamente, si legge che: "Con riferimento al ricorso principale deve, infatti, osservarsi che:…. b) non possono, invero, integrare il requisito delle "gravi ragioni" le semplici perplessità espresse dalla Regione con la nota prot. n. 69494 del 15 aprile 2008 circa la la finanziabilità dell’opera, specie in presenza di un puntuale impegno contabile già adottato dal Comune con delibera di Giunta n. 852 del 30 novembre 2006, con cui l’Amministrazione Municipale aveva già deliberato che il finanziamento sarebbe avvenuto sul capitolo 201824 del bilancio 2005, dando mandato al competente Dirigente di predisporre gli adempimenti relativi al successivo impegno di spesa (impegno confermato, per Euro 300.000,00 sul capitolo 201824 del bilancio 2006);….d) la disposta sospensione risulta in contrasto con la determina del Comune n. 4545 del 3 dicembre 2007, con cui è stato approvato il bando "laboratori informatici", pubblicato in data 12 dicembre 2007, finalizzato alla selezione per la partecipazione a dei percorsi informativi sperimentali di sensibilizzazione alla nuove tecnologie dell’informazione (attività riconducibile nell’alveo dell’intervento n. 24 del PSU); e) in difetto dei presupposti legittimanti la sospensione, il Comune, ai sensi dell’art. 11, ottavo e nono comma, del decreto legislativo n. 163/2006, era tenuto a stipulare il contratto con l’impresa aggiudicataria" Sempre nella medesima pronuncia si legge, altresì che: "Con riferimento al ricorso per motivi aggiunti, deve, invece, osservarsi che:….il Comune aveva già precostituito le risorse finanziarie per sostenere le spese derivanti dalla stipula del contratto; b) in difetto dei presupposti legittimanti la revoca dell’aggiudicazione e l’annullamento del progetto, il Comune, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo n. 163/2006, aveva l’obbligo di stipulare il contratto con l’impresa aggiudicataria; c) l’Amministrazione Municipale, nell’adottare il provvedimento impugnato, non aveva in alcun modo considerato la consolidata posizione soggettiva dell’aggiudicataria (sul punto, per tutte, Consiglio di Stato, VI, n. 4671 del 19 agosto 2003)….d) in contrasto con la presunta non finanziabilità delle attività di cui si tratta, il Comune, con determina n. 4545 del 3 dicembre 2007, aveva approvato il bando "laboratori informatici", pubblicato in data 12 dicembre 2007…".

Ancora in fatto, per quanto qui di rilievo, si deve rilevare che il bando di gara contiene "clausole di salvaguardia" che così recitano: "il presente avviso non costituisce offerta al pubblico ai sensi dell’art. 1336 del Codice civile, non è impegnativo per l’amministrazione comunale e non è impegnativo per i Soggetti che dovessero aderire all’invito. Nulla è dovuto dall’Amministrazione comunale, anche a titolo di rimborso delle spese sostenute, ai soggetti proponenti le cui proposte non dovessero risultare coerenti all’iniziativa, o per le quali non si dovesse dar corso alla procedura di approvazione o la stessa procedura di approvazione non si dovesse concludere in senso positivo…".

Si osserva ancora che, in sede contenziosa, né nel giudizio di merito, né nel corso dell’odierno giudizio di esecuzione, parte pubblica ha dedotto, o dedotto fondatamente, alcuna ragione effettiva che le imponga di revocare l’attività procedimentale, la quale, a sua volta, si è quindi dispiegata pienamente ed ha manifestato i propri effetti; non ha comprovato (né, peraltro, neppure allegato) ragioni di merito o di opportunità tali da giustificare una eventuale decisione di non stipulare il contratto; non ha, infine, posto in essere con successo nessun provvedimento ulteriore e distinto tendente a revocare quello specifico autovincolo che è da riconoscersi nel bando e nella successiva procedura di gara, il cui svolgimento fino al termine della tipica sequenza procedimentale, ha, di fatto, esaurito l’esercizio del potere.

Già da quanto riportato testualmente in precedenza, appare evidente che il giudicato in esame contiene espressamente, tra le proprie motivazioni, l’accertamento dell’obbligo per l’Ente di concludere il contratto ex art. 11 del codice dei contratti.

Dunque, lo stato attuale della fattispecie è caratterizzato dal concorso tra un giudicato di annullamento della revoca dell’aggiudicazione definitiva e l’autovincolo procedimentale scaturente dal bando, che sanciscono l’avvenuta consumazione di qualsiasi sfera di discrezionalità residua.

Ad attento esame, tale fattispecie complessa è titolo idoneo a radicare l’obbligo di concludere il contratto, analogamente a quanto accade in relazione ad un preliminare ex art. 2932 cod.civ., in quanto sono certi e definiti tutti gli elementi del negozio (prestazioni, finalità, elemento economico, termini e così via); per mero scrupolo di esaustività della pronuncia, non vale ad escludere il vincolo la sussistenza della clausola di salvaguardia all’interno del bando, che è condizione nulla e che si ha come non apposta.

IIb) Il Collegio ritiene, per fugare qualsiasi dubbio, di esaminare tale ultima questione anche se non è stata oggetto di eccezione difensiva da parte del Comune, avendo comunque un possibile rilievo ai fini dell’apprezzamento della sussistenza dell’obbligo a contrarre in relazione al suo titolo.

La clausola di salvaguardia contenuta in un bando pubblico, atto che determina l’inizio di una procedura di selezione per evidenza pubblica di un contraente dell’Amministrazione, che riservi all’insindacabile giudizio dell’Ente la decisione, una volta conclusa l’aggiudicazione, di stipulare o meno il contratto, senza l’indicazione di un qualsivoglia genere di parametro cui subordinare tale decisione (specie sotto il profilo dell’interesse pubblico) è sostanzialmente una condizione risolutiva meramente potestativa del procedimento di gara, ai sensi dell’art. 1355 cod.civ. determinando, all’evidenza, la sottoposizione della conclusione del procedimento alla mera volontà della parte che dovrà obbligarsi. Ad attento esame, la clausola in esame è dunque l’espressione di una generale ed inammissibile pretesa di assoluta non vincolatività del bando che si spinge fino ad affermare la non configurabilità del bando stesso quale offerta al pubblico, pur possedendone, invece, tutti i requisiti (su tale aspetto, si veda infra).

Tale clausola, complessivamente intesa, contrasta sia con il principio civilistico di buona fede, consentendo in pratica il recesso ingiustificato dalle trattative, sia la violazione dei principi pubblicistici di imparzialità e di buona amministrazione, di cui all’articolo 97 Costituzione.

Pertanto, conformemente alla giurisprudenza, va ritenuto che tale clausola è nulla è improduttiva di effetti, anche in ragione del suo radicale contrasto con gli obblighi di correttezza e buona fede della p.a. e di tutela dell’affidamento ingenerato ad esigenze di ordine e di interesse pubblico, che trovano fondamento nei principi costituzionali predicati dall’art. 97 cost. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 7/10/2004, n. 10952; Consiglio Stato, sez. V, 06 ottobre 2010, n. 7334; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 18 marzo 2011, n. 1500; Cassazione civile, sez. un., 16 aprile 2007, n. 8951; in particolare, con quest’ultima pronuncia si è affermato che "Il potere di approvare la graduatoria di un concorso pubblico è conferito all’amministrazione esclusivamente in funzione del controllo della regolarità e della verifica dell’esito della procedura. Di conseguenza, la clausola con la quale l’amministrazione si riservi la facoltà di non procedere all’assunzione è nulla sia per difetto assoluto del potere di eliminare sostanzialmente gli effetti tipici del bando, sia perché, sotto il profilo della natura negoziale dell’atto di approvazione della graduatoria, integra una condizione meramente potestativa, siccome subordina l’obbligo di assunzione alla mera volontà dell’amministrazione medesima"; si veda anche Tribunale Salerno, sez. I, 18 marzo 2011, secondo cui "La clausola contrattuale con cui è esclusa la responsabilità della p.a. in caso di mancato perfezionamento o approvazione del contratto (tale, in pratica, da subordinare la conclusione del contratto ad una condizione meramente potestativa), contrasta con l’art. 1229 c.c., senz’altro applicabile ai contratti della p.a.. Ne deriva la nullità non soltanto con riferimento all’esonero da responsabilità per dolo o colpa grave (art. 1229 comma 1), bensì anche con riferimento all’esonero da responsabilità per colpa lieve (art. 1229 comma 2), in virtù degli obblighi di correttezza e buona fede della p.a. e di tutela dell’affidamento ingenerato ad esigenze di ordine e di interesse pubblico, che trovano fondamento nei principi costituzionali predicati dall’art. 97 cost.").

Anche qualora si volesse qualificare la clausola in esame come espressione di un generale potere autoritativo di revoca degli atti di gara da esercitarsi nelle forme ed alle condizioni tipiche del procedimento amministrativo (si veda, a tal proposito, da ultimo, T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 18 marzo 2011, n. 1500), la conclusione dell’irrilevanza di tale condizione ai fini dell’odierna lite non mutano. Infatti, come si vedrà meglio nel prosieguo, il Comune ha già posto in essere attività provvedimentale di revoca, ma senza successo, essendo stati annullati i relativi atti con la sentenza nr. 267/2009 che è una delle due pronunce del cui giudicato di cui in questa sede si tratta e per effetto del quale, non è più possibile per l’Ente provvedere con diverse motivazioni ad una ulteriore revoca dell’aggiudicazione. Di conseguenza, sotto tutti i possibili angoli visuali, il potere del Comune si è consumato e come tale non consente il ricorso alla clausola di salvaguardia appena esaminata che, quindi, non è ostativa all’accoglimento del ricorso.

IIc) A quest’ultimo proposito, va ulteriormente osservato quanto segue, anche ai fini dell’ulteriore trattazione delle motivazioni del gravame.

Di norma, il giudicato di annullamento di un atto di revoca dell’aggiudicazione definitiva di un appalto, è direttamente autoesecutivo, perché reintegra la parte ricorrente vittoriosa nel giudizio, in quella posizione di pretesa che si fonda sull’avvenuta partecipazione utile al procedimento di gara. Tuttavia, dal medesimo giudicato promana altresì un effetto conformativo mediato ed ulteriore che obbliga l’Amministrazione a dare esecuzione a quel programma che si è manifestato al pubblico con il bando e con la successiva procedura. Infatti, nel giudizio in ordine all’annullamento del provvedimento di revoca o di annullamento dell’aggiudicazione definitiva di una gara, ciò che la parte ricorrente e vittoriosa ha effettivamente avuto di mira (e che fonda il suo interesse processuale a ricorrere), è l’ottenimento dell’appalto, cui la stipula del contratto è necessariamente funzionale e preordinata. Peraltro, recente giurisprudenza è nel senso che, nel giudizio in tema di appalti pubblici, spetta all’Amministrazione resistente opporre in giudizio, alla pretesa del ricorrente, l’esistenza di ulteriori ragioni, ancorchè non manifestate nel procedimento e nel provvedimento impugnato, che trovino titolo nel procedimento e che siano ostative al conseguimento del bene della vita (TAR Reggio Calabria, sent. nn. 1700/2010 e 1731/2010; cfr. anche ord. nr. 153/2011 punto II), perché tali ragioni – ove sussistenti – incidono sull’interesse processuale della parte ricorrente, facendolo venire meno. Queste ultime sono infatti "deducibili" e quindi, in mancanza di effettiva deduzione, il giudicato coprirà tutte le motivazioni amministrative eventuali ed ulteriori che trovino titolo nel procedimento di gara, con la conseguenza che, in forza del principio della esaustività della motivazione, all’Amministrazione è interdetto rinnovare l’azione amministrativa con il medesimo effetto di negazione della pretesa della ditta concorrente, ancorchè fondato su nuove motivazioni che avrebbero già potuto trovare ingresso nel processo.

In altri termini, il meccanismo processuale in tema di appalti e procedure di evidenza pubblica che si basa sulla perdurante presenza di un interesse effettivo alla pronuncia finalizzata all’aggiudicazione, obbliga e responsabilizza l’Amministrazione, per evidenti ragioni di effettività della tutela processuale e di imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa (che si traducono nel richiamato principio di esaustività della motivazione), a verificare ed apprezzare tutte le possibili ragioni ostative all’accoglimento dell’istanza del privato che trovino titolo nel procedimento che forma oggetto del contenzioso, perché queste incidono sull’interesse di parte ricorrente ad ottenere la pronuncia giudiziale e dunque sono destinate ad essere assorbite nel giudicato.

Tale orientamento aderisce, portandone le conclusioni a più mature conseguenze, a quanto elaborato dalla più autorevole dottrina processuale amministrativa in tema di effetto preclusivo del giudicato, che è regola secondo la quale, se l’atto amministrativo è annullato per un vizio inerente al modo in cui sono avvenute la ponderazione e la comparazione degli interessi, è avvenuta cioè l’identificazione dell’interesse pubblico concreto, l’annullamento praticamente comporta l’obbligo dell’Amministrazione di accogliere la domanda del privato o la impossibilità di riesaminare l’atto che ne sacrifica l’interesse.

Nell’odierna fattispecie, cui i principi appena esposti sono applicabili, attesa la modalità procedimentale prescelta per l’erogazione del contributo, risulta agli atti che l’Amministrazione aveva richiesto all’Ente finanziatore (la Regione Calabria) che è pure parte del giudizio, una "conferma" dell’attuale esistenza del finanziamento che aveva garantito la copertura finanziaria dell’intervento oggetto della gara. Non avendo ricevuto tale conferma, l’Ente comunale provvedeva a revocare l’aggiudicazione; in sede contenziosa, ove si faceva questione della legittimità di tale ultimo atto, non è stata fornita alcuna prova della mancanza sopravvenuta del finanziamento, circostanza che, peraltro, non era neppure prospettata dalla Regione, che era parte in causa, o dal Comune, il quale si era limitato a "dubitare" della fruibilità attuale del finanziamento, atteso il lasso di tempo intercorso tra il bando, l’aggiudicazione e le vicende successive; in ogni caso, il giudicato ha chiaramente statuito circa l’insufficienza di tale ragione ai fini della revoca di un procedimento di gara. Peraltro, la Regione Calabria, ente finanziatore, è parte sia del giudizio di merito che dell’odierno giudizio e continua a non aver eccepito, né dedotto, neppure nell’odierna sede contenziosa eventuali cessazioni del finanziamento, per ragioni tecniche o giuridiche, o comunque sue indisponibilità per qualsiasi altra motivazione. Ne va quindi tratto un ulteriore e distinto argomento di prova a favore di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 64 c.p.a.

Da quanto sopra, deriva, sul piano amministrativo, che non sussiste a tutt’oggi alcuna ragione, né tecnica, né di opportunità, che osti alla sottoscrizione del contratto, e quindi al completamento della fattispecie che il Comune ha posto in essere.

Quanto all’aspetto civilistico della controversia, sotto diverso angolo visuale, si deve anche considerare che il bando di gara, sul piano negoziale, nonostante la pretesa qualificazione unilaterale contenuta nella clausola di salvaguardia la cui validità è già stata esclusa sub II b), avendone tutti i requisiti sostanziali vale come offerta al pubblico, e la relativa proposta del concorrente, selezionata nella procedura di evidenza pubblica, è considerata accettazione vera e propria, con la conseguenza che la fattispecie negoziale è compiuta, e quella, ulteriore, che il successivo atto formale, ossia il contratto vero e proprio è un mero atto vincolato riproduttivo di elementi già interamente presenti nella scansione procedurale precedente. A tale stipulazione il Comune è dunque impegnato (assumendo una obbligazione vera e propria), in forza dell’art. 1336 cod.civ. che fonda una obbligazione revocabile solo finché non sia intervenuta l’accettazione da parte degli interessati (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 28 luglio 2008, n. 1827; Tribunale Trapani, sez. lav., 20 maggio 2008; Cassazione civile, sez. lav., 06 giugno 2007, n. 13273; Cassazione civile, sez. lav., 08 marzo 2007, n. 5295; cfr. in particolare Cassazione civile, sez. lav., 15 dicembre 2006, n. 268921).

Conclusivamente, non v’è alcuna ragione per negare che, stante l’identità strutturale della fattispecie, anche alla odierna fattispecie debba trovare applicazione l’analogo principio elaborato dalla giurisprudenza in ordine al caso del bando di concorso per l’assunzione di personale, stauendosi che ove la PA abbia manifestato la volontà di provvedere alla stipula di un contratto di erogazione di provvidenze economiche attraverso una procedura di evidenza pubblica iniziata con la pubblicazione di un bando non condizionato (quale va ritenuto quello pubblicato nella fattispecie all’odierno esame del Collegio, stante la nullità della condizione meramente potestativa apposta), che contenga tutti gli elementi essenziali del negozio da stipulare, sono rinvenibili in un comportamento siffatto gli estremi propri di un’offerta al pubblico, che impegna la PA non solo al rispetto delle norme con le quali essa stessa ha autodisciplinato la propria discrezionalità, ma anche ad adempiere a tale obbligazione secondo i principi di correttezza e buona fede, con piena possibilità di controllo giurisdizionale, che intervenendo su scelte di gestione autonomamente compiute, non limita in alcun modo la libertà d’iniziativa economica o l’autonomia di giudizio dell’Amministrazione e soltanto verifica l’osservanza di impegni legittimamente assunti (cfr. Cassazione civile, sez. lav., 15 dicembre 2006, n. 26892 già richiamata);

Il ricorso, in questa parte, è dunque fondato e come tale merita accoglimento conseguendone la statuizione dell’obbligo per il Comune di Reggio Calabria di stipulare il contratto per cui è causa con la parte ricorrente.

III) Quanto alla domanda inerente il rimborso del contributo unificato, si osserva quanto segue.

Parte ricorrente ha ottenuto, con le sentenze in epigrafe, la condanna delle parti resistenti al rimborso del contributo unificato, senza specificazione in ordine alla ripartizione del relativo importo tra di esse.

La natura tributaria del contributo unificato, la cui disciplina speciale è contenuta nel DPR 115/2002, non rende certamente inapplicabile alla fattispecie appena descritta la generale previsione di cui all’art. 97, II comma, cpc (ai sensi del quale "se la sentenza non statuisce sulla ripartizione delle spese e dei danni, questa si fa per quote uguali") che regola la ripartizione di tutte le spese processuali di qualunque natura esse siano (onorari dei difensori, importi delle notifiche, eventuali compensi di ausiliari), ivi compreso, dunque, anche il contributo unificato che è uno degli oneri che scaturisce dal processo. Di conseguenza, per effetto della sentenza nr. 275/09 sono tenute al rimborso del contributo unificato, in parti eguali tra loro l’Amministrazione comunale e l’Amministrazione dell’Interno; per effetto della sentenza nr. 267/09 sono tenute l’Amministrazione comunale e quella Regionale, in parti eguali tra loro.

Conseguentemente, in accoglimento della domanda, va ordinato alle parti soccombenti in parti eguali tra loro, ciascuna secondo la sentenza in cui è parte di rifondere quanto erogato da parte ricorrente a titolo di contributo unificato per l’iscrizione a ruolo dei ricorsi conclusisi con le sentenze in epigrafe, oltre interessi al tasso legale sulle somme dovute a far data dal deposito delle sentenze entro il termine più avanti prescritto per l’esecuzione del giudicato..

IV) Per tutte queste ragioni, dunque, il ricorso è fondato e come tale va interamente accolto.

Il Collegio reputa non inutile precisare sin d’ora che la responsabilità dell’esecuzione del giudicato, quanto alla sottoscrizione del contratto, è del Comune di Reggio Calabria. La Regione Calabria, che è parte dell’odierno giudizio relativamente al giudicato formatosi sulla sentenza nr. 267/09, deve comunque concorrere ad assicurare la copertura finanziaria dell’intervento, provvedendo con risorse proprie ove quelle di origine comunitaria a valere sui fondi POR dovessero essere indisponibili e salva rivalsa sull’Ente comunale laddove si dovesse accertare la responsabilità di quest’ultimo nella perdita dei finanziamenti.

Ne deriva che va ordinato al Comune di Reggio Calabria di stipulare il contratto per cui è causa entro 60 giorni dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte; in mancanza provvederà la Regione Calabria, in via sussidiaria, salvo regresso sull’Ente comunale ove ne sussistano le condizioni entro i successivi sessanta giorni; in mancanza di completo adempimento entro il termine complessivo di centoventi giorni dalla comunicazione della presente sentenza o sua notifica a cura di parte, provvederà il commissario ad acta, con oneri a carico dell’Amministrazione comunale e regionale, in solido tra loro, che sin d’ora si nomina nella persona del dott. Antonio Quattrone, Segretario Generale in atto in servizio presso la sede del Comune di Taurianova (RC), il quale, decorso il termine di cui sopra infruttuosamente, si insedierà senza indugio, sostituendosi all’Amministrazione comunale e, ove necessario ai fini del finanziamento dell’iniziativa, anche all’Amministrazione regionale, provvedendo a stipulare il contratto nei successivi 180 giorni ed altresì a produrre apposita relazione a questo Tribunale, nonchè alla Procura regionale della Corte dei Conti per la Calabria in ordine ai fatti di causa affinchè si accerti l’eventuale sussistenza di responsabilità di amministratori o funzionari degli Enti soccombenti.

Nei medesimi termini ed alle medesime condizioni, le parti soccombenti nei giudizi conclusisi con le sentenze del cui giudicato si tratta, corrisponderanno ciascuno secondo la propria quota, l’importo del contributo unificato alla parte ricorrente.

In mancanza di esatto adempimento entro i termini indicati, provvederà anche a tal fine il Commissario ad acta già nominato.

Il Collegio reputa opportuno evidenziare quanto segue.

a) – Per giurisprudenza assolutamente pacifica, (Cfr. Cons. Stato A.P. 9 marzo 1973, n. 1; idem, A.P. 14 luglio 1978, n. 23; idem, VI, 9 giugno 1986, n. 412; idem, V, 27 settembre 1990, n. 702; idem, V, 5 maggio 1993, n. 543; C.G.A. 25 febbraio 1981, n. 1; Tar Salerno, 19 febbraio 1982, n. 76; Tar Napoli, Sez. 3^, 30 ottobre 1990, n. 375; Tar Catania, Sezione Terza, 30 ottobre 1995, n. 2399; idem, 30 gennaio 1996, n. 45) il commissario ad acta è organo del Giudice dell’ottemperanza e le sue determinazioni vanno adottate esclusivamente in funzione dell’esecuzione del giudicato, e non in funzione degli interessi pubblici il cui perseguimento costituisce il normale canone di comportamento dell’Amministrazione sostituita. Da ciò consegue che i suoi provvedimenti sono immediatamente esecutivi e non sono assoggettati all’ordinario regime dei controlli (interni ed esterni) degli atti dell’Amministrazione presso la quale lo stesso si insedia, ma vanno sottoposti unicamente all’immanente controllo dello stesso Giudice, al quale le parti interessate possono rivolgersi, ai sensi dell’art. 114 del Decreto Leg.vo 2 luglio 2010 n. 114, affinché venga verificata la loro rispondenza alle disposizioni impartite in sede di ottemperanza, nonché ai principi vigenti in materia.

b) Per le sentenze di condanna al pagamento di una somma di denaro, così come ai fini del finanziamento dell’iniziativa in esame nell’odierna fattispecie, il Commissario ad acta è legittimato ad eseguire tutti gli atti e gli adempimenti necessari per dare concreto soddisfacimento al diritto di credito, mediante l’esercizio di un’attività compiuta quale "longa manus" del Giudice dell’ottemperanza nell’ambito della "procedimentalizzazione dell’erogazione della spesa", a conclusione della quale sarà emesso il relativo mandato di pagamento. A tale fine l’organo straordinario deve provvedere sia all’allocazione della somma in bilancio, ove manchi un apposito stanziamento, nonché all’espletamento delle fasi di impegno, liquidazione, ordinazione e pagamento della spesa, sia al reperimento materiale della somma, con la precisazione che l’esaurimento dei fondi di bilancio o la mancanza di disponibilità di cassa non costituiscono legittima causa di impedimento all’esecuzione del giudicato, dovendo il predetto organo straordinario porre in essere tutte le iniziative necessarie per rendere possibile il pagamento. (Cfr. Cons. Stato, A. P., n. 1/1973 e n. 23/1978; Tar Salerno, n. 76/1982; Tar Catania, Sezione Terza, n. 45/1996 citate); quanto alla sottoscrizione del contratto per cui è causa, il Commissario ad acta potrà reperire ogni risorsa utile alla copertura economica dell’operazione, laddove il finanziamento originario sia comunque venuto meno, sia a carico del Comune, che a carico della Regione.

c) Il commissario è titolare del potere di emanare i necessari provvedimenti amministrativi anche in deroga alle norme che disciplinano la competenza alla loro emanazione (cfr. Cons. Stato, IV, 18 settembre 1991 n. 720; Cons. Stato, IV, 3 maggio 1986 n. 323) e la stessa attività sostanziale, salvi i casi in cui una norma di legge vincoli espressamente il suo operato, come nel caso del comma 5 dell’art. 159 del D.Lgs. 267/2000, ai sensi del quale nei confronti degli enti locali (anche) "i provvedimenti adottati dai commissari nominati a seguito dell’esperimento delle procedure di cui all’articolo 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, e di cui all’articolo 27, comma 1, numero 4, del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, emanato con regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, devono essere muniti dell’attestazione di copertura finanziaria".

d) Gli organi della Pubblica Amministrazione hanno l’obbligo di prestare la doverosa collaborazione al commissario ad acta, rimanendo ad essi preclusa ogni possibilità di interferire con i poteri deliberativi del commissario stesso.

In particolare gli organi predetti non possono opporre alcun ostacolo alle variazioni di bilancio, all’effettuazione di eventuali storni ed a tutte le altre incombenze ritenute necessarie dal commissario per l’esatta esecuzione del giudicato, potendo tale opposizione assumere la rilevanza di un illecito penale.

Nella particolare fattispecie all’odierno esame del Collegio, il Commissario ad acta prenderà parte al contratto da stipulare nelle apposite forme pubbliche amministrative in quanto parte stipulante: è obbligo del Segretario Generale dell’Ente procedere al rogito dell’atto, non appena richiesto del Commissario.

Nei casi più gravi di mancato adempimento dell’Amministrazione all’obbligo di rendere possibile l’attività del commissario, il Giudice amministrativo potrà disporre l’intervento della forza pubblica (Cfr. Tar Catania, Sezione Terza, n. 2399/1995 citata).

e) L’Istituto tesoriere, nel caso di mancanza di liquidità (cassa), dovrà trattenere i mandati di pagamento, e provvedere al pagamento con priorità via via che dovessero pervenire incassi a favore dell’Amministrazione, fino al totale soddisfo.

Dal punto di vista degli obblighi gravanti sull’Istituto tesoriere, agli effetti penali il servizio di tesoreria gestito da un’azienda di credito è da considerare pubblico (cfr. Cass. Pen. Sez. VI, 12 aprile 1991), e i soggetti che gestiscono il servizio sono da ritenere a tutti gli effetti incaricati di pubblico servizio (anche ai sensi di quanto previsto dall’art. 328 c.p. – "rifiuto di atti d’ufficio. Omissione"), con la conseguenza che essi sono tenuti a consentire al commissario ad acta – nominato dal TAR per l’ottemperanza ad una sentenza rimasta ineseguita proprio dall’Ente per conto del quale il servizio viene svolto – di svolgere tempestivamente il proprio compito, senza frapporre inerzia o ostacoli di sorta.

Infatti, in sede di ottemperanza la priorità assoluta è l’esecuzione del giudicato, che non può essere ostacolata dai normali "itinera" burocratici, che avrebbero dovuto essere messi in atto a tempo debito.

V) Le spese del presente giudizio sono poste a carico del Comune di Reggio Calabria e della Regione Calabria, in solido tra essi, e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, ordina alle Amministrazioni in epigrafe di dare completa esecuzione al giudicato formatosi sulle sentenze indicate nei termini e con le modalità disposte in parte motiva.

Dichiara, allo stato, improcedibile la subordinata domanda di risarcimento del danno.

Condanna il Comune di Reggio Calabria e la Regione Calabria, in solido tra loro, al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.500,00, oltre IVA, CPA, importo del contributo unificato, spese di notifica e spese generali nella misura di legge del 12,5%.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa e manda alla Segreteria Giurisdizionale di comunicarne copia alle parti ed al Commissario ad acta nominato in sentenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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