T.A.R. Campania Napoli Sez. I, Sent., 25-07-2011, n. 3987 Pensioni, stipendi e salari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La ricorrente, magistrato ordinario in servizio presso il Tribunale di Nola, usufruiva, negli anni 20072009, di sei mesi di congedo parentale ex art. 32 del d.lgs. n. 151/2001 e di ulteriori 24 mesi di congedo per gravi motivi familiari ai sensi dell’art. 4 della legge n. 53/2000, continuando nel periodo di astensione dal lavoro a percepire l’intera retribuzione.

La Direzione Territoriale dell’Economia e delle Finanze di Napoli (d’ora in seguito anche "DTEF"), accortasi che per il periodo di congedo parentale spettava la retribuzione decurtata del 70% e che per il successivo periodo di congedo per gravi motivi familiari non doveva essere corrisposto alcun emolumento, si determinava ad attivare il procedimento di recupero dell’indebito, comunicando alla ricorrente il relativo avvio con nota prot. n. 1555/2010 del 15 aprile 2010 dopo aver sospeso nei suoi confronti il pagamento dello stipendio nei mesi da dicembre 2009 ad aprile 2010.

Il procedimento si concludeva con la nota indicata in epigrafe al punto a), alla quale era allegato un prospetto di calcolo recante la quantificazione del debito totale della ricorrente, pari ad Euro 202.774,86 e comprensivo anche di alcuni recuperi per assegni indebitamente erogati nel 2010, nonché la liquidazione del residuo debito complessivo al netto delle somme già recuperate, ammontante ad Euro 154.081,17.

Successivamente l’amministrazione finanziaria, con ordinanza ingiunzione del 20 luglio 2010, avviava la procedura di riscossione coattiva del credito erariale vantato.

Parte ricorrente impugna innanzi a questo giudice amministrativo l’atto di avvio del procedimento e quello con cui è stato disposto il recupero dell’indebito retributivo, mentre ha provveduto a gravare innanzi al giudice ordinario l’ordinanza ingiunzione finalizzata alla riscossione.

Le censure prospettate in questa sede, rivolte anche nei confronti di un ipotetico atto di recupero della somma di Euro 48.694,69 (indicato al punto b) dell’epigrafe), involgono i profili della violazione dell’art. 2033 c.c. e del principio di buona fede, della violazione della legge sul procedimento amministrativo, della violazione del d.lgs. n. 151/2001 e della legge n. 53/2000, nonché dell’eccesso di potere sotto svariate angolature.

Resistono le intimate amministrazioni statali, depositando relazioni esplicative dei rispettivi uffici.

Dopo l’espletamento di incombenti istruttori, l’istanza cautelare è stata respinta da questo giudice con ordinanza n. 2096 del 21 ottobre 2010.

La ricorrente ha prodotto, in data 9 marzo e 28 maggio 2011, ulteriori memorie difensive, nelle quali, oltre ad insistere nelle sue ragioni, formula in via subordinata domanda di accertamento negativo della spettanza, in favore dell’amministrazione finanziaria, della somma di Euro 104.672,00 a titolo di recupero dell’indebito.

La causa, infine, è stata trattenuta per la decisione all’udienza pubblica del 22 giugno 2011.

2. Nell’odierna evenienza processuale è contestata la legittimità di atti inerenti al recupero di indebiti retributivi percepiti da magistrato ordinario.

Il Collegio deve, innanzitutto, circoscrivere la sua cognizione ai soli atti di recupero effettivamente emanati, ossia a quelli individuati ai punti a) e c) dell’epigrafe, non potendo pronunciarsi in ordine all’atto di cui al punto b) dell’epigrafe stessa a causa della sua non dimostrata esistenza.

2.1 Così perimetrato l’oggetto del giudizio, deve essere scrutinata l’eccezione di sopravvenuta carenza di interesse all’impugnativa, adombrata nella relazione esplicativa della DTEF depositata il 2 settembre 2010. Questa argomenta che l’atto notificato alla ricorrente il 31 maggio 2010 avrebbe carattere endoprocedimentale e sarebbe stato assorbito dal provvedimento finale di ingiunzione impugnato innanzi al giudice ordinario.

L’eccezione è priva di pregio.

Il Collegio si limita ad osservare che l’atto notificato il 31 maggio 2010 è conclusivo del procedimento di recupero dell’indebito avviato in via amministrativa dalla DTEF, contenendo la liquidazione e la richiesta di pagamento della somma pretesa a tale titolo. Ne consegue che lo stesso non ha carattere endoprocedimentale ed è immediatamente lesivo della sfera giuridica della ricorrente, atteggiandosi la successiva ordinanza ingiunzione ad atto iniziale della separata procedura di riscossione, contestabile in via autonoma innanzi alla competente autorità giudiziaria. Perde, pertanto, consistenza la tesi della relazione meramente procedimentale tra i due citati atti, i quali al contrario appartengono a due distinti procedimenti, volto il primo alla liquidazione del credito erariale ed il secondo alla sua riscossione.

3. Esaurite le questioni di rito, può passarsi al vaglio delle censure articolate in gravame, non senza precisare che parte ricorrente non pone in contestazione l’assunto dell’amministrazione della non remunerabilità (totale o parziale) dei periodi di congedo fruiti.

Con una prima censura, la ricorrente deduce l’illegittimità dei gravati atti di recupero in quanto, avendo percepito in buona fede le somme pretese dall’amministrazione, queste sarebbero connotate dal carattere dell’irripetibilità.

Con altro corredo di doglianze, lamenta essenzialmente la genericità e l’intempestività dell’atto di avvio del procedimento, il quale sarebbe privo degli elementi indicativi del procedimento intrapreso e sarebbe intervenuto quando ormai era stato attivato il recupero delle somme dovute mediante le trattenute delle intere mensilità di stipendio (da dicembre 2009 ad aprile 2010).

Le censure non meritano condivisione.

La tesi della buona fede nella percezione degli indebiti retributivi non riesce ad essere convincente, se solo si pone mente alla circostanza che nelle delibere del Consiglio Superiore della Magistratura che disponevano il collocamento in congedo – delibere che, in base a quanto riferito dalla stessa ricorrente, le furono opportunamente trasmesse – si faceva espressa menzione del trattamento economico spettante per i periodi di astensione lavorativa, totalmente o parzialmente ridotto in ragione della normativa applicata in concreto.

Analogamente, non hanno forza invalidante le denunciate irregolarità della fase di avvio del procedimento, avendo la ricorrente, tramite il proprio legale (cfr. nota del 18 maggio 2010), partecipato utilmente alla procedura prima dell’emanazione dell’atto finale di recupero.

3.1 Ad ogni modo, quand’anche si ritenesse sussistente lo stato soggettivo di buona fede della percipiente ed integrata la violazione delle garanzie partecipative in fase di avvio del procedimento, le argomentazioni attoree dovrebbero comunque essere disattese alla luce del consolidato indirizzo giurisprudenziale, condiviso dal Collegio, che di seguito si riporta: "E’ infondato il primo motivo di censura (violazione del dovere di comunicazione dell’avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 L. 241 del 1990) sulla omessa comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, in quanto l’emissione dell’atto, vincolato e non autoritativo, di recupero di somme erroneamente corrisposte dall’amministrazione, non costituisce causa di illegittimità dell’atto stesso, ferma restando la possibilità per l’interessato di contestare errori di conteggio e la sussistenza dell’indebito, nonché di chiedere, nel termine di prescrizione, la restituzione di quanto trattenuto. Ciò rende superfluo accertare l’espletamento del suddetto obbligo di comunicazione, la cui mancanza non influisce sulla debenza o meno delle somme né sulla possibilità di difesa del destinatario, che nell’ambito del rapporto obbligatorio di reciproco dareavere paritetico, può infatti fare valere le sue eccezioni contrarie alla esistenza del credito nell’ordinario termine di prescrizione (in tal senso, Consiglio di Stato, VI, 24 giugno 2006, n.4053; VI, 9 giugno 2006, n.3444). Né vale il richiamo allo stato soggettivo di buona fede del percipiente a mutare la doverosità del comportamento dell’amministrazione nel recupero dell’indebito. Il recupero delle somme indebitamente erogate dalla p.a. costituisce un comportamento doveroso, in quanto discende direttamente dalla disposizione dell’art. 2033, c.c., e l’eventuale buona fede del soggetto percipiente non costituisce ostacolo alla ripetizione dell’emolumento erroneamente corrisposto (in tal senso, ex p1urimis, Cons. Stato, V, 23 marzo 2004, n.1535). Nel caso di indebita erogazione di denaro ad un pubblico dipendente deve escludersi che la buona fede del percipiente, il suo affidamento nell’operato della p.a., il carattere non chiaramente provvisorio della attribuzione, siano di ostacolo all’esercizio, da parte della p.a., del dirittodovere di ripetere le relative somme ai sensi dell’art. 2033 c.c., essendo il recupero un atto dovuto (salve le modalità, che non devono essere eccessivamente onerose), privo di valenza provvedimentale. Conseguentemente, da un lato si esclude che l’amministrazione sia tenuta a fornire una specifica motivazione delle ragioni del recupero (soprattutto se non è contestato il carattere indebito degli emolumenti corrisposti in eccesso); dall’altro lato, che l’obbligo ex lege di recupero, nonostante la maturata prescrizione, precluda la facoltà di rinunciare agli effetti favorevoli del decorso del tempo (Cons. Stato, IV, 11 dicembre 2001, n.6197).".

4. Con altra censura, la ricorrente evidenzia l’erroneità della misura del recupero operato, sostenendo che le somme richieste dall’amministrazione eccederebbero quanto complessivamente percepito a titolo di retribuzione netta nei periodi di astensione lavorativa.

Orbene, essendo pacifico che il recupero in questione ha avuto ad oggetto la retribuzione lorda e non quella netta, il Collegio è chiamato a valutare se l’amministrazione, nel procedere al recupero di somme indebitamente erogate al pubblico dipendente, debba effettuare detto recupero al lordo o al netto delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali.

La doglianza attorea è meritevole di accoglimento in considerazione del recente e condivisibile orientamento della giurisprudenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 marzo 2009 n. 1164), che ha chiarito che il recupero di emolumenti retributivi indebitamente corrisposti deve incentrarsi sulle somme al netto delle ritenute di cui sopra, essendo il rapporto tra amministrazione e dipendente per legge improntato al principio che la prima versa al secondo la retribuzione al netto delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali. Ne consegue che la ripetizione dell’indebito nei confronti del dipendente non può che concernere le somme da quest’ultimo percepite in eccesso, vale a dire solo gli emolumenti che siano effettivamente entrati nella sua sfera patrimoniale; per converso, l’amministrazione non può pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali, dal momento che le stesse non sono mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. In ordine, poi, alle ritenute ed ai versamenti erroneamente disposti quale sostituto d’imposta dall’amministrazione, quest’ultima può provvedere alla richiesta di rimborso direttamente nei confronti degli enti preposti, sussistendone le condizioni di legge.

In applicazione del superiore insegnamento, deve ritenersi che la DTEF, avendo calcolato l’indebito al lordo delle ritenute fiscali, previdenziali ed assistenziali, abbia erroneamente quantificato la somma complessiva da recuperare, imponendo alla ricorrente (anche) la restituzione di emolumenti mai effettivamente percepiti perché devoluti alle casse dell’erario e degli enti del sistema previdenziale.

Pertanto, deve essere rilevata l’illegittimità dei gravati atti di recupero dell’indebito, meglio indicati ai punti a) e c) dell’epigrafe, che meritano di essere annullati con assorbimento di ogni altra censura, ben potendo l’amministrazione rideterminarsi in merito secondo il criterio della quantificazione dell’indebito al netto delle citate ritenute di legge.

5. Si osserva, infine, che la domanda di accertamento negativo articolata nelle memorie della ricorrente deve essere dichiarata inammissibile, essendo contenuta in atti difensivi non notificati alle controparti, in dispregio delle regole del contraddittorio.

In conclusione, il ricorso deve essere accolto nei limiti sopra precisati.

Sussistono giusti e particolari motivi, in virtù della peculiarità della vicenda contenziosa, per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese e degli onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti precisati in motivazione e, per l’effetto, annulla i gravati atti di recupero dell’indebito.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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