T.A.R. Lazio Latina Sez. I, Sent., 25-07-2011, n. 629

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La vicenda all’esame si riferisce a una gara indetta dal comune di Formia per l’assegnazione in concessione di 7 aree demaniali marittime.

La gara, indetta con delibera G.M. n. 141 del 19 maggio 2007, si concluse con l’approvazione delle graduatorie formate dalla commissione e l’aggiudicazione definitiva dei 7 lotti (determinazione dirigenziale n. 17 del 12 febbraio 2008 e successiva determinazione dirigenziale n. 54 del 9 aprile 2008).

Tuttavia, relativamente ad alcuni dei lotti, furono proposti dei ricorsi giurisdizionali da parte di concorrenti non vincitori; tre di questi ricorsi – precisamente quelli relativi ai lotti 13C e 11C – sono stati accolti da questa sezione, rispettivamente con sentenza n. 1476 del 3 novembre 2008 e nn. 264 e 265 del 1° aprile 2009 (la sezione, in particolare, ha ritenuto che illegittimamente la commissione di gara aveva integrato i criteri di valutazione delle offerte dopo l’apertura delle buste in cui esse erano contenute, con conseguente violazione del principio di trasparenza, e che la composizione della commissione di gara non fosse conforme alla normativa del regolamento comunale per l’attività contrattuale).

Relativamente agli altri lotti, invece, non sono stati presentati ricorsi, salvo che per quanto concerne il lotto C Vindicio, il ricorso riferibile al quale è stato definito in rito con sentenza di improcedibilità (sentenza n. 1474 del 3 novembre 2008). E’ tuttora pendente il ricorso n. 647 del 2008 relativo al lotto 10C.

2. Il presente ricorso è stato proposto dal concorrente che si era aggiudicato il lotto 14C.

E infatti il comune – a fronte degli annullamenti degli esiti della gara per i lotti 13C e 11C (e della reiezione dell’istanza di sospensione della sentenza n. 1476 del 2008 da parte della VI sezione del Consiglio di Stato; cfr. ordinanza n. 639 del 4 febbraio 2009) – si determinava ad avviare un procedimento per l’annullamento in autotutela degli esiti della gara relativamente anche ai lotti non interessati all’annullamento disposto in sede giurisdizionale.

Ciò avveniva a mezzo della determinazione dirigenziale n. 94 del 7 settembre 2009 con cui il comune addiveniva all’annullamento nel presupposto che: a) i vizi rilevati in sede giurisdizionale (in particolare quello consistente nella specificazione a buste aperte dei criteri di valutazione) erano riferibili a tutti i lotti messi in gara; b) la possibilità di disporre l’annullamento non era preclusa né dall’affidamento in capo ai vincitori, dovendosi escludere quest’ultimo non essendo mai stato adottato il formale provvedimento di concessione, né dal decorso del termine ragionevole, avendo il comune atteso l’esito del contenzioso in sede giurisdizionale per operare le sue scelte.

3. Con il ricorso parte ricorrente denuncia l’illegittimità del provvedimento di annullamento deducendo: a) la violazione dei principi in materia di limiti soggettivi del giudicato e di estensione ai terzi degli effetti del giudicato amministrativo; b) la violazione dei principi in materia di procedimenti di riesame e, in particolare, degli articoli 3 e 21 nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Essa pertanto chiede che, previo annullamento del provvedimento impugnato, il comune di Formia sia condannato al risarcimento dei danni in forma specifica, cioè condannato al rilascio in suo favore della concessione demaniale marittima; in caso d’impossibilità di reintegrazione in forma specifica parte ricorrente chiede il risarcimento dei danni per equivalente che quantifica (si veda la memoria depositata il 24 giugno 2010) in complessivi euro 181.572,00 (di cui 27.075 per danno emergente e 154.497 per lucro cessante); in via subordinata parte ricorrente chiede che l’amministrazione sia condannata al risarcimento dei danni da responsabilità precontrattuale che quantifica (si veda sempre la medesima memoria) in euro 27.075; in via ulteriormente gradata parte ricorrente chiede che le venga riconosciuto l’indennizzo previsto dagli articoli 21quinquies e 21 nonies della legge n. 241 citata che pure quantifica nella somma di euro 27.075, cioè nella somma corrispondente al danno emergente che ella assume di aver subito quale conseguenza del mancato perfezionamento della concessione.

4. Il comune di Formia si è costituito in giudizio e resiste al ricorso.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato.

2. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia la violazione dei principi generali in materia di efficacia soggettiva del giudicato amministrativo e di estensione dei suoi effetti ai soggetti rimasti estranei al giudizio; in sostanza si deduce che il comune di Formia avrebbe illegittimamente esteso gli effetti delle sentenze della sezione che hanno annullato la gara relativamente ad alcuni lotti a lotti – tra cui quello aggiudicato a parte ricorrente – che erano rimasti esclusi dalla controversia.

Il motivo è infondato.

Il problema dell’efficacia soggettiva del giudicato è estraneo alla controversia.

Il provvedimento impugnato infatti non è volto a dare attuazione alle sentenze della sezione (attuazione di cui in realtà non vi sarebbe stata alcuna necessità in quanto, trattandosi di sentenze di annullamento di un’aggiudicazione definitiva, esse sono autoesecutive); il comune di Formia ha invece compiuto un’operazione diversa; esso, cioè, nella consapevolezza che i vizi riscontrati dalle sentenze della sezione (soprattutto quello consistente nella violazione del principio di imparzialità e trasparenza riconosciuto sussistente, sia pure solo in sede cautelare, anche dal Consiglio di Stato) fossero riferibili non solo ai lotti cui si riferivano i ricorsi accolti ma a tutti i lotti in gara, ha deciso, pur nella consapevolezza della inoppugnabilità delle "altre" aggiudicazioni, di procedere a "riesame" verificando la sussistenza della condizioni per un loro annullamento d’ufficio; si tratta di un’operazione che non si pone in alcun modo in contrasto coi generali principi in materia di efficacia del giudicato amministrativo, dato che costituisce giurisprudenza amministrativa consolidata che il potere di riesame dell’amministrazione non è precluso dalla inoppugnabilità degli atti che ne costituiscono oggetto; del resto la disciplina dell’articolo 21- nonies invocata dal ricorrente – nel richiedere che l’annullamento intervenga in un "termine ragionevole" – chiaramente ammette che il riesame possa avere a oggetto atti ormai inoppugnabili. Anzi di regola, stante la brevità del termine per l’impugnazione dei provvedimenti amministrativi, è del tutto normale – salvo il caso di riesame di provvedimenti per i quali penda ricorso amministrativo o giurisdizionale – che il riesame e l’annullamento abbiano a oggetto atti ormai divenuti inoppugnabili.

3. Il problema è quindi quello di stabilire se sussistessero o meno i presupposti per l’annullamento. A questo problema si riferisce il secondo motivo.

Al riguardo parte ricorrente denuncia la violazione degli articoli 3 e 21nonies della legge n. 241 e l’eccesso per difetto di presupposti.

Essa sostiene che: a) l’annullamento d’ufficio presuppone un interesse pubblico concreto e attuale alla rimozione dell’atto e la comparazione, al fine di dimostrarne la prevalenza, di tale interesse con quello del privato al mantenimento degli effetti dell’atto; b) in più, a garanzia dell’affidamento del destinatario dell’atto, la potestà di annullamento presuppone che non sia decorso un termine ragionevole.

Nella fattispecie ad avviso di parte ricorrente non sussiste alcuno di questi presupposti.

Anzitutto è evidenziato che, a differenza di quanto sostenuto nel provvedimento al fine di escludere in radice l’esistenza di un affidamento dei concorrenti vincitori, l’aggiudicazione definitiva non può essere considerata un atto endoprocedimentale, costituendo essa l’atto terminale del procedimento di scelta del contraente con cui si realizza l’incontro tra la volontà del privato e quella dell’amministrazione di concludere il contratto; insomma per effetto dell’aggiudicazione definitiva, i vincitori avevano ormai il legittimo affidamento al rilascio della concessione demaniale.

In secondo luogo viene negato che la motivazione del provvedimento dia puntualmente conto dell’interesse pubblico alla rimozione dell’atto e delle ragioni della sua prevalenza sull’interesse dei privati; in realtà l’annullamento è giustificato in base a una mera esigenza di ripristino della legalità violata, che non è ragione sufficiente a giustificarlo (tanto più che l’atto era ormai inoppugnabile e non esisteva pertanto alcun controinteressato da tutelare), e comunque di tale interesse è in realtà omessa la comparazione con il contrapposto interesse dei vincitori delle gare, il cui affidamento viene per giunta negato (sulla base di una qualificazione dell’aggiudicazione definitiva che è parimenti, come già visto, contestata).

A ciò si aggiunge infine la violazione della disposizione che ammette l’annullamento entro un "termine ragionevole", dato che l’annullamento è intervenuto a distanza di circa un anno e mezzo dalla data dell’aggiudicazione definitiva.

4. Le argomentazioni di parte ricorrente non sono fondate.

Il provvedimento impugnato, benché assistito da una motivazione i cui enunciati formali sono decisamente sintetici e in parte espressi in modo scarsamente perspicuo, è in realtà immune da vizi.

Al riguardo può osservarsi quanto segue.

Anzitutto non è contestato che il provvedimento oggetto di annullamento fosse inficiato da illegittimità e che, in particolare, una di esse, vale a dire l’avvenuta integrazione dei criteri di valutazione delle offerte in un momento successivo all’apertura delle buste, si sia tradotta in una violazione dei principi di parità di trattamento, di trasparenza e d’imparzialità. Si tratta di violazione che si riferisce a principi generali, di rilevanza anche costituzionale, e che può senz’altro ritenersi estremamente grave e in grado di produrre grave nocumento all’immagine dell’amministrazione sia per la rilevanza della fattispecie sia perché è nozione di comune esperienza che in una procedura di tipo concorsuale o paraconcorsuale, una volta aperte le buste contenenti gli oggetti da valutare, la modifica o l’integrazione o la specificazione dei criteri di valutazione viola le regole basilari del regolare confronto concorrenziale e fatalmente apre la via quantomeno a sospetti in ordine alla correttezza della procedura.

Non può pertanto dirsi che l’annullamento sia stato basato sulla mera esigenza di ripristino della legalità, dato che il sintetico riferimento da parte dell’atto al "ripristino della legalità e al corretto esercizio dei poteri pubblici proprio in riferimento alla gestione di un bene quale il demanio marittimo, che è un bene collettivo…" sottintende chiaramente il riferimento alla esigenza di garantire che l’assegnazione dei beni pubblici avvenga in un contesto che non lasci residuare alcun dubbio in ordine alla correttezza dell’amministrazione e la preoccupazione, a fronte della necessità di rinnovare la gara per i lotti cui si riferiva l’annullamento giurisdizionale, di evitare, anche in relazione alla rilevanza delle attività economiche connesse al turismo, che residuasse il sospetto di parzialità nell’assegnazione dei lotti per i quali o non fossero stati presentati ricorsi ovvero i ricorsi proposti non fossero stati definiti in senso favorevole ai ricorrenti (cosa che è pure avvenuta, come si è visto); in questo quadro l’inoppugnabilità del provvedimento e la mancanza di soggetti privati interessati all’annullamento – su cui molto insiste parte ricorrente – non solo non costituiva un limite all’azione dell’amministrazione ma, anzi e paradossalmente, poteva rafforzare l’interesse pubblico all’annullamento a garanzia della parità di trattamento e dell’esigenza di evitare che, a fronte di illegittimità che avevano inficiato l’intera procedura, vi potesse essere chi – per ragioni contingenti (si pensi al lotto per il quale il ricorso è stato dichiarato improcedibile per l’omessa integrazione del contraddittorio nei termini) – continuasse a beneficiarne.

Quanto al profilo della mancata comparazione con gli interessi dei destinatari, benché la qualificazione dell’aggiudicazione definitiva come atto endoprocedimentale non appaia corretta (si tratta infatti di atto che definisce il procedimento di selezione del contraente anche se, effettivamente, a esso residua ancora il rilascio del titolo concessorio), deve tuttavia ritenersi che la valutazione compiuta dall’amministrazione sia sostanzialmente immune da vizi.

La comparazione tra l’interesse pubblico e quello privato è operazione che va fatta caso per caso tenendo presenti le peculiarità del caso concreto, anche e soprattutto in relazione al grado di consolidamento degli effetti dell’atto; nella fattispecie l’aggiudicazione definitiva della procedura non ha prodotto in realtà alcun effetto in quanto il comune, a seguito della proposizione dei ricorsi, non ha fatto seguito al rilascio dei titoli concessori e delle ragioni di siffatto comportamento tutti i vincitori erano ben consapevoli dato che – questa circostanza costituisce fatto notorio – la proposizione dei ricorsi ha avuto ampia risonanza locale; di conseguenza effettivamente nessuno dei vincitori, alla luce di quanto era avvenuto, poteva ritenere che l’aggiudicazione, ancorchè definitiva, gli attribuisse la ragionevole certezza dell’esito favorevole della procedura e l’avviso del procedimento di riesame certo non è stato per loro un fatto imprevedibile.

In questa prospettiva, dunque, non può né ritenersi che l’annullamento sia stato fondato su una mera esigenza di ripristino della legalità né che non sia stato operato un raffronto tra interesse pubblico e interesse privato.

Residua a questo punto il profilo relativo al termine ragionevole. Anche sotto questo profilo il Collegio ritiene infondate le argomentazioni di parte ricorrente.

La ragionevolezza del termine, infatti, non può esser valutata in astratto ma deve necessariamente essere verificata tenendo presenti le peculiarità del caso concreto; nella fattispecie è evidente che il comune di Formia ha atteso gli esiti del contenzioso e, una volta acclarato che esso verosimilmente l’avrebbe visto soccombente (a seguito non semplicemente delle sentenze della sezione ma anche del pronunciamento in sede di istanza di sospensione della sentenza n. 1474 del 2008 del Consiglio di Stato), si è determinato al riesame; e infatti il procedimento è stato avviato nel gennaio 2009 (quindi dopo la sentenza della sezione e qualche giorno prima dell’ordinanza del Consiglio di Stato); nei mesi di gennaio e marzo sono stati acquisiti gli apporti partecipativi di alcuni dei soggetti interessati; nel mese di aprile il comune si è orientato verso la soluzione dell’annullamento e, infine, il 7 settembre 2009 è stato adottato il provvedimento di annullamento da parte del Dirigente; se quindi ritardo vi è stato esso è riferibile all’intervallo di tempo intercorrente tra il mese di aprile e quello di settembre ma esso non appare irragionevole in relazione alla mancanza di consolidamento degli effetti dell’atto annullato.

5. L’impugnazione del provvedimento di annullamento è quindi infondata. Di conseguenza deve essere respinta, stante l’assenza dell’elemento della "ingiustizia", la domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’annullamento d’ufficio.

6. Deve ora esaminarsi la domanda di risarcimento del danno derivante da responsabilità "precontrattuale".

Questa domanda deve essere respinta.

Deve anzitutto premettersi che il Collegio è consapevole che la giurisprudenza amministrativa ormai consolidata ammette senz’altro che l’amministrazione possa incorrere in una responsabilità precontrattuale allorchè, nel corso delle trattative con il privato, non abbia rispettato i principi della buona fede e della correttezza, ex articoli 1337 e 1338 c.c..

Tale responsabilità postula un’attività rivolta alla preparazione della positiva conclusione del contratto, la dimostrazione del requisito psicologico, ossia del dolo o della colpa dell’Amministrazione, quale apparato burocratico cui incombeva la responsabilità delle trattative e della loro necessaria conclusione e la positiva verifica da parte del giudice che il comportamento dell’Amministrazione abbia ingenerato nei privati un ragionevole affidamento in ordine alla conclusione del contratto ovvero in ordine alla sua efficacia. Il danno risarcibile è rappresentato dal cd. interesse negativo, cioè dalle spese inutilmente sostenute (danno emergente) e dalle favorevoli occasioni di lucro perse a causa del coinvolgimento nella contrattazione rivelatasi inutile (lucro cessante).

Nella fattispecie, tuttavia, non è possibile riconoscere una responsabilità da recesso ingiustificato dalle trattative (o meglio da violazione dei doveri di correttezza e buona fede che abbia impedito il rilascio della concessione), in quanto la decisione dell’amministrazione di annullare l’aggiudicazione definitiva è, come si è visto, legittima; né tantomeno può parlarsi di una responsabilità dell’amministrazione per avere parte ricorrente fatto affidamento senza colpa nella validità o efficacia del contratto, dato che, da un lato, in realtà all’aggiudicazione definitiva non ha mai fatto seguito il rilascio della concessione demaniale (cui sarebbero conseguiti gli effetti per così dire "finali" della procedura) e dall’altro pare al Collegio che difetti in radice la possibilità di riconoscere un affidamento meritevole di tutela, in quanto l’affidamento nella conclusione del contratto (o, come avviene in questo caso, nel rilascio del titolo concessorio) per essere meritevole di tutela non può essere fondato su un’attività oggettivamente illegittima e agevolmente riconoscibile come tale stante la evidente, per non dire macroscopica, illegittimità dell’aggiudicazione, di cui, comunque, tutti i partecipanti al procedimento erano divenuti consapevoli in tempi rapidissimi a seguito della proposizione dei vari ricorsi avverso l’aggiudicazione definitiva.

7. In ulteriore subordine parte ricorrente chiede la condanna del comune di Formia al pagamento dell’indennizzo previsto in caso di revoca dall’articolo 21quinquies della legge n. 241 citata.

Questa domanda è parimenti infondata in quanto la fattispecie all’esame non è riconducibile all’articolo sopra citato, facendo quello riferimento alla revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero per mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, mentre nella fattispecie viene in rilievo un caso di annullamento d’ufficio di un provvedimento illegittimo.

8. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. La complessità e peculiarità della vicenda giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione staccata di Latina, definitivamente pronunciandosi sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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