Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-05-2011) 19-07-2011, n. 28724

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A seguito della richiesta del pubblico ministero in data 18 giugno 2010, il g.i.p. presso il Tribunale di Bergamo, adottava il provvedimento di sequestro preventivo per equivalente, depositato in data 12 luglio 2010, assoggettando a sequestro beni e disponibilità di valore complessivo fino alla concorrenza di Euro 2.413.829,64 riconducibili agli indagati T.D., W.P. e A.R.. Il provvedimento veniva adottato nell’ambito di un’indagine a carico degli indagati suddetti in relazione ai delitti di cui all’art. 110 c.p., e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 5, 10 ter e 11, (rispettivamente omessa dichiarazione IVA, omesso versamento di IVA, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte) su beni mobili e immobili in vista della confisca per equivalente L. n. 244 del 2007, ex art. 1, comma 143. 2. Con richiesta del 23 luglio 2010, proponevano richiesta di riesame del provvedimento di sequestro preventivo T.D. (nella qualità di indagato), nonchè M.M. e L. C., quest’ultimo quale legale rappresentante di Mataneg Establishment, Moglia Establishment e Establishment Windhill, nella qualità di terzi.

In data 28 luglio 2010 il Pubblico Ministero produceva documentazione assoggettata a sequestro in occasione delle operazioni di esecuzione del decreto del 12 luglio 2010, unitamente ad una memoria illustrativa ex art. 121 c.p.p..

All’udienza camerale fissata del 29 luglio 2010 il tribunale riuniva i procedimenti e il difensore istante depositava ed illustrava motivi di impugnazione.

Il P.M. si riportava alla memoria depositata.

3. Il difensore, in particolare, domandava che il decreto di sequestro preventivo fosse annullato, revocato o comunque dichiarato inefficace e che i beni fossero dissequestrati e restituiti alla società intestatane e nel merito dei motivi di riesame, esponeva che: a) l’elicottero HB-21V era di proprietà del soggetto estero Mataneg Establishment e non poteva essere ricondotto alla proprietà dell’indagato T.D.; b) l’immobile ubicato in (OMISSIS) ed intestato alla società Moglia Establishment era stato concesso in locazione a M.M., coniuge dell’indagato T.D.; c) l’immobile ubicato in (OMISSIS) apparteneva alla società Windhill Establishment e non era riconducibile alla disponibilità T.D.; d) il valore dei beni sequestrati ammontava di fatto ad Euro 4.262.897,59 ed era del tutto sproporzionato rispetto al profitto del reato ipotizzato in Euro 2.413.829,64; e) i documenti soggetto di apprensione da parte dell’autorità giudiziaria nel corso delle operazioni di esecuzione del sequestro preventivo del 16 luglio 2010 non potevano essere posti a sostegno del sequestro medesimo, che doveva invece trovare fondamento negli atti delle indagini preliminari antecedenti; f) il decreto di sequestro preventivo doveva considerarsi illegittimo in quanto le violazioni fiscali non erano state fatte oggetto di processo verbale di constatazione; g) non era configurabile il requisito del "periculum"; h) non era configurabile il capo 6 dell’incolpazione, riconducibile al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, in quanto non era in corso alcuna procedura esecutiva esattoriale; i) non si doveva procedere al sequestro preventivo per equivalente in quanto l’indagato T.D. risultava detenere una somma liquida di denaro ben superiore all’importo di Euro 2.413.829,64; l) non era sequestrabile il profitto del reato, ma solo il prezzo.

3. Con ordinanza del 30 luglio 2010 il tribunale di Bergamo, in parziale accoglimento dei ricorsi come riuniti, annullava l’impugnato provvedimento di sequestro preventivo, emesso in data 12 luglio 2010 dal g.i.p. del Tribunale di Bergamo, limitatamente all’elicottero HB- ZIV registrato nella Confederazione Elvetica, intestato alla Mataneg Establishment, conseguentemente disponendo il dissequestro dello stesso e la sua restituzione a favore dell’avente diritto, come per legge. Confermava nel resto l’impugnato provvedimento. Condannava i ricorrenti al pagamento delle spese dei presenti procedimenti riuniti.

4. Avverso questa pronuncia gli originari istanti propongono ricorso per cassazione con plurimi motivi.

Motivi della decisione

1. Avverso l’ordinanza del 30 luglio 2010 il tribunale di Bergamo sono stati proposti due ricorsi.

2. Il ricorso per proposto da T. e M. è articolato in dodici motivi.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la inosservanza o l’erronea applicazione dell’ari 324 del codice di procedura penale sostenendo l’inammissibilità, in quanto tardiva, della produzione documentale operata dal pubblico ministero in sede di udienza camerale.

Con il secondo e il terzo motivo i ricorrenti denunciano l’omessa motivazione in ordine alla supposta configurazione dei reati contestati e alla sussistenza del fumus commessi delitti. Da una parte contestano la possibilità di una motivazione per relationem che l’ordinanza del tribunale fa all’ordinanza del giudice per le indagini preliminari. D’altra parte sostengono che è solo in via induttiva, e quindi con una procedura assai approssimativa, che è stato determinato il volume di affari di alcune società di diritto straniero che avrebbero operato commercialmente in Italia omettendo la dichiarazione quindi il versamento dell’Iva.

Con il quarto motivo i ricorrenti richiamano la disciplina del c.d. scudo fiscale per dedurre la non punibilità delle condotte di omessa dichiarazione e omesso versamento dell’Iva.

Con il quinto motivo i ricorrenti sostengono che la confisca e quindi il sequestro per equivalente è ammissibile solo allorquando non sia possibile eseguire la confisca e quindi il sequestro del p rofitto o del prezzo del danaro dall’indagato. Nell’ordinanza impugnata nulla si argomenta in proposito non indicando per quale motivo non era stato possibile eseguire il sequestro del profitto o del prezzo del reato.

Col sesto motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 322 ter c.p., sostenendo che il richiamo operato dalla L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, a tale disposizione deve essere interpretato in modo restrittivo nel senso che farebbe riferimento soltanto alla prezzo e non anche al profitto del reato.

Con il settimo motivo i ricorrenti deducono che nemmeno in astratto può essere legittimato un sequestro per equivalente eseguito nei confronti di società che nulla hanno a che fare con le indagini in corso, società che risultano essere proprietarie dell’immobile sito in (OMISSIS) e di quello sito in (OMISSIS).

Con l’ottavo motivo i ricorrenti deducono la non confiscabilità dei beni intestati a persone giuridiche estere.

Con il nono motivo i ricorrenti deducono la sproporzione tra il profitto del reato astrattamente ipotizzato, allo stato degli indagini, ed il valore dei beni concretamente oggetto di sequestro per equivalente.

Con il decimo motivo i ricorrenti deducono che in caso di pluralità di indagati il sequestro preventivo per equivalente deve essere proporzionale alla misura della quota di profitto del reato a ciascun indagato attribuita.

Con un undicesimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’ari. 104 disp. att. c.p.p., che ha disciplinato le modalità di attuazione del sequestro.

Con il dodicesimo e ultimo motivo i ricorrenti si dolgono della condanna al pagamento delle spese processuali.

3. Con distinto ricorso articolato in cinque motivi le tre società estere sopra indicate si dolgono della illegittimità della ordinanza impugnata sotto plurimi profili.

Con il primo motivo le ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 322 ter deducendo che il conto corrente dell’indagato aveva una capienza ben maggiore e quindi non c’era necessità di estendere il sequestro per equivalente agli immobili di proprietà delle società alla ricorrenti.

Con il secondo motivo le ricorrenti lamentano la insussistenza di alcun vincolo di pertinenziale con il profitto o il prezzo del reato atteso che gli immobili in questione sono stati acquistati nell’ottobre del 2003 e nel maggio del 2005 mentre i reati si riferiscono alla omessa dichiarazione e all’omesso versamento dell’Iva degli anni d’imposta 2007 – 2008.

Con il terzo motivo le ricorrenti si dolgono della violazione dell’art. 322 ter c.p., sostenendo che la confisca e quindi il sequestro per equivalente sono possibili solo nel caso di prezzo di reato è non già anche di profitto.

Con il quarto motivo le ricorrenti lamentano la mancanza o comunque contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata quanto alla presunta riconducibilità alle indagato dei beni oggetto della misura cautelare reale.

Con il quinto e ultimo motivo le ricorrenti deducono ancora una volta la violazione dell’art. 322 ter, sotto il profilo della insussistenza del fumus e del periculum in mora.

4. Entrambi i ricorsi non sono fondati.

5. Tale è innanzi tutto il ricorso dell’indagato T. D. e di M.M., coniuge di quest’ultimo.

5.1. Il primo motivo è infondato perchè è possibile la produzione documentale anche in sede di udienza camerale quando si tratta di una misura cautelare reale.

Come ha correttamente rilevato il tribunale, il procedimento di riesame disciplinato dall’art. 324 c.p.p., riconosce, attraverso il richiamo all’art. 309, comma 9, la possibilità per le parti di presentare nuovi elementi nel corso dell’udienza, producendo nuovi documenti o altri elementi rappresentativi del fatto oggetto della decisione. Il Tribunale investito del riesame può pertanto tener conto di atti e documenti prodotti dalle parti all’udienza e non facenti parte di quelli depositati in precedenza, formati sia anteriormente che successivamente al deposito de gli atti in cancelleria; nè a seguito della loro produzione deve essere concesso un termine per l’esame degli stessi (così Cass., sez. 3^, 17 gennaio 1996 – 6 febbraio 1996, n. 164). In precedenza cfr. anche Cass., sez. 6^, 6 agosto 1992 – 28 agosto 1992, n. 3025, che ha affermato che gli "elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza" – che legittimamente, ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 9, vengono presi in esame dal Tribunale ai fini della decisione sulla richiesta di riesame dell’ordinanza che dispone una misura cautelare – possono essere rappresentati da nuovi atti e documenti prodotti all’udienza e non facenti parte di quelli presentati dal P.M. al G.I.P. per richiedere l’emissione della misura stessa.

5.2. Il secondo e terzo motivo sono infondati. In caso di misure cautelari reali e non personali c’è innanzi tutto un controllo di legittimità sulla riconducibilità della condotta ipotizzata al reato posto a base della misura cautelare laddove la piena valutazione degli elementi probatori di colpevolezza appartiene alla fase di merito senza che sia invocabile in sede di legittimità un siffatto sindacato di merito per contestare la legittimità del provvedimento cautelare (Cass., sez. un., 17 dicembre 2003 – 19 gennaio 2004, n. 920).

Rimane però pur sempre che nella valutazione del "fumus commissi delicti" quale presupposto del sequestro preventivo di cui all’art. 321 c.p.p., comma 1, il giudice del riesame deve avere riguardo non solo alla astratta configurabilità del reato, ma deve anche tener conto – come ha fatto nella specie il tribunale di Bergamo – delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, anche solo sommariamente, le ragioni che rendono allo stato sostenibile l’impostazione accusatoria (Cass., sez. 3^, 5 maggio 2010-9 luglio 2010, n. 26197). Cfr. anche, proprio con riferimento al sequestro preventivo di beni confiscabili ai sensi del D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. n. 356 del 1992, Cass., sez. 1^, 11 febbraio 2010 – 26 aprile 2010, n. 16207, che ha ribadito che è necessario accertare, quanto al "fumus commissi delieti", l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato, di uno dei reati indicati dalla norma citata, e quanto al "periculum in mora", attesa la coincidenza di quest’ultimo requisito con la confiscabilità del bene, la presenza di seri indizi di esistenza delle condizioni che legittimano la confisca, e cioè da un lato la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, e dall’altro la mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi. Conf, Cass., sez. 5^, 24 marzo 2009 – 18 maggio 2009, n. 20818, che ha ulteriormente precisato che le condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili a norma del D.L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 12 sexies, convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 1992, n. 356, consistono, quanto al "fumus commissi delicti", nell’astratta configurabilità di una delle ipotesi criminose previste, senza che rilevino nè la sussistenza degli indizi di colpevolezza, nè la loro gravità e, quanto al "periculum in mora", nella presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della provenienza lecita degli stessi beni.

5.3. Il quarto motivo è inammissibile per la novità della questione non devoluta al tribunale per il riesame.

La regola della devoluzione, propria del giudizio di gravame nel processo di cognizione ed applicabile anche all’appello nelle misure cautelari (Cass., sez. 1^, 26 febbraio 1998-4 aprile 1998, n. 1219), è viepiù operante nel giudizio di legittimità promosso, come nella specie, con ricorso avverso l’ordinanza emessa dal tribunale in sede di riesame della misura cautelare reale sicchè – in disparte la fattispecie di nullità assoluta rilevabile d’ufficio – è precluso ogni esame di questioni che, per non essere state dibattute in quella sede e per non aver costituito oggetto di tale decisione, sono "nuove".

La censura comunque – nei limiti in cui viene prospettata una radicale non punibilità della condotta, profilo questo che sarebbe rilevabile d’ufficio – è infondata atteso che la non punibilità prevista dalla disciplina del c.d. scudo fiscale riguarda solo condotte afferenti le somme che dall’estero rientrano in Italia e non invece condotte che sono distinte e diverse e che non attengono agli importi oggetto del beneficio fiscale suddetto.

In particolare il D.L. n. 78 del 2009, art. 13, inserito dalla legge di conversione 3 agosto 2009, n. 102, e successivamente modificato dal D.L. 3 agosto 2009, n. 103, art. 1, conv. dalla L. 3 ottobre 2009, n. 141, prevede una misura incentivante il rimpatrio di attività finanziarie e patrimoniali detenute fuori del territorio dello Stato. A fronte del pagamento di un’imposta straordinaria su un rendimento lordo presunto del capitale e con un’aliquota comprensiva di interessi e sanzioni, è previsto, come beneficio fiscale, la sterilizzazione del capitale rimpatriato che non può costituire elemento utilizzabile a sfavore del contribuente (ad es. in quanto rivelatore di capacità contributiva), nonchè l’esonero dall’obbligo di segnalazione di cui al D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, art. 41, ed altri effetti premiali tra cui l’esclusione della punibilità per alcuni reati fiscali.

Tale (sopravvenuta) non punibilità è prevista mediante il richiamo, contenuto nell’art. 1 cit., sia al D.L. 25 settembre 2001, n. 350, art. 14, che esclude appunto la punibilità per i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 5, nonchè per i reati di cui al D.L. n. 429 del 1982 (salvi però quelli previsti dall’art. 4, lettere d) e f), del predetto Decreto n. 429 del 1982, relativamente alla disponibilità delle attività finanziarie dichiarate), sia alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, comma 6, lett. c), che estende la non punibilità anche ai reati tributari di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 3 e 10 (oltre che 4 e 5).

Tale esonero dalla punibilità – che comunque non riguarda anche i reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 10 ter ed 11, in riferimento (anche) ai quali è stata, nella specie, emessa la misura cautelare in esame sicchè in ogni caso permane il fumus commissi delicti a sorreggere la misura – va inteso in termini rigorosamente restrittivi nel senso che si riferisce alle sole condotte afferenti i capitali oggetto della procedura di rimpatrio; ciò per non sconfinare in una sostanziale previsione di amnistia che avrebbe richiesto la maggioranza qualificata di cui all’art. 79 Cost., comma 1.

La ratio di questa previsione speciale (l’art. 13 cit.) che assegna al rimpatrio dei capitali e al pagamento dell’imposta straordinaria anche l’effetto di sopravvenuta causa di non punibilità è quella di evitare che la domanda di regolarizzazione comporti anche l’emersione di una condotta di trasferimento all’estero di capitali per spontanea dichiarazione del suo autore; ciò che potrebbe costituire una remora all’utilizzo della regolarizzazione stessa che il legislatore ha invece inteso promuovere. Si giustifica allora quello che descrittivamente viene indicato come scudo fiscale: la condotta di trasferimento all’estero di quei capitali rimpatriati con la regolarizzazione mediante pagamento di imposta straordinaria e lo stesso possesso all’estero di tali capitali vengono depurati di ogni rilievo penale al fine dei menzionati reati fiscali. Ma non c’è alcun effetto espansivo esterno nel senso di un’immunità soggettiva in relazione a reati fiscali nella cui condotta non rilevino affatto i capitali trasferiti e posseduti all’estero e successivamente oggetto di rimpatrio.

Tale interpretazione restrittiva trova un puntuale riscontro nella espressa previsione dell’art. 13, comma 4, che predica l’applicabilità dell’esonero della responsabilità penale "limitatamente al rimpatrio ed alla regolarizzazione di cui al presente articolo". Nè ciò è contrastato dalla cit. L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 8, comma 6, lett. c), – pure richiamato dall’ari 13 cit. – che riferisce sì tale immunità alle "annualità" oggetto di integrazione, ma ciò fa perchè in quel caso (della L. n. 289/292) la regolarizzazione (o condono) aveva ad oggetto proprio annualità di reddito, mentre la regolarizzazione di cui all’art. 13 cit. (del D.L. n. 78 del 2009) riguarda non già annualità di reddito, ma il trasferimento all’estero di determinati capitali.

Quindi analogamente può dirsi che solo in riferimento ai capitali rimpatriati c’è il c.d. scudo fiscale con la relativa immunità penale per i reati fiscali previsti sia dall’art. 14 cit. sia dall’art. 8 cit.; mentre per il resto rimane l’ordinaria rilevanza penale di condotte che – come nella fattispecie in esame – nulla hanno a che vedere con il trasferimento ed il possesso all’estero di capitali.

5.4. Il quinto ed il sesto motivo sono infondati.

La L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 1, comma 143, (legge finanziaria 2008) consente il sequestro per effetto dell’estensione della misura di sicurezza della confisca ai beni che costituiscono profitto o prezzo dei reati previsti e puniti ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10 bis, 10 ter, 10 quater e 11. In tal modo l’art. 322 ter è richiamato dall’art. 1, comma 143, cit. nella sua interezza (in particolare, commi 1 e 2) e quindi con riferimento sia al prezzo che al profitto e pertanto non può accogliersi la tesi dei ricorrenti secondo cui la confisca per equivalente e il sequestro per equivalente sarebbero possibili solo con riferimento al prezzo del reato.

In proposito questa Corte (Cass., sez. 3^, 7 luglio 2010 – 6 ottobre 2010, n. 35807) ha già affermato – e qui ribadisce – che in tema di reati tributari, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca "per equivalente", può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato;, ciò perchè l’integrale rinvio alle "disposizioni di cui all’art. 322 ter c.p.", contenuto nella L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 143, consente di affermare che, con riferimento ai reati tributari, trova applicazione non solo il comma 1, ma anche il comma 2 della norma codicistica.

5.5.. Il settimo e l’ottavo motivo sono inammissibili.

Da una parte il ricorrente T. non ha interesse a muovere siffatta censura che nella sua prospettazione difensiva fa valere l’intestazione formale della proprietà degli immobili di Bergamo e di Orvieto in capo a società estere; immobili quindi la cui titolarità non sarebbe a lui riferibile.

Questa Corte (Cass., sez. 1, 18 febbraio 2009 – 25 marzo 2009, n. 13037) ha affermato in proposito che, perchè sia configurabile un interesse all’impugnazione in caso di sequestro preventivo, occorre che l’indagato o l’imputato prospetti una relazione con la cosa che sostenga la sua pretesa alla cessazione del vincolo; nel caso in cui invece deduca unicamente che il bene sequestrato era nella proprietà e disponibilità di terzo, e quindi l’unica posizione alla quale era riconducibile l’interesse non faceva capo al ricorrente, il ricorso è inammissibile (cfr. anche Cass., sez. 6^, 15 giugno 1998 – 28 luglio 1998, n. 2158).

Invece per la ricorrente M., che evidentemente fa valere la sua posizione di detentrice qualificata dell’immobile sito in (OMISSIS), la formale proprietà degli immobili in questione in capo a società estere non esclude l’interesse a ricorrere al fine di verificare la concreta disponibilità dei beni in capo alla indagato.

Si tratta però di censura patimenti inammissibile perchè di merito.

Infatti la giurisprudenza di questa corte (Cass. sez. un., 29 maggio 2008 – 26 giugno 2008, n. 25932; Cass., sez. 5^, 13 ottobre 2009 – 11 novembre 2009, n. 43068) ha più volte affermato in proposito che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli "errores in indicando" o "in procedendo", sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

Quindi è soltanto la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente – ma non già l’illogicità o la contraddittorietà – che può denunciarsi in sede di legittimità tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), (Cass., sez. 6^, 21 gennaio 2009 – 20 febbraio 2009, n. 7472; Cass., sez. 6^, 4 aprile 2003 – 4 giugno 2003, n. 24250).

Nella specie il tribunale ha puntualmente verificato questo elemento di fatto e nella specie l’ordinanza ha puntualmente motivato sulla disponibilità sia dell’immobile di Bergamo che di lei immobile di loro Orvieto in capo all’indagato.

5.6. Per la stessa ragione è inammissibile il nono motivo che, nel dedurre la sproporzione tra il profitto del reato e il valore dei beni assoggettati a sequestro per equivalente; esprime censure in fatto che non sono deducibili nella sede di legittimità

5.7. Infondato è anche il decimo motivo. Il fatto che ci sia una pluralità di indagati non esclude che il profitto nella prospettazione accusatoria sia riferibile interamente al primo indagato, il T.. L’orientamento prevalente di questa Corte (Cass., sez. 5^, 3 febbraio 2010 – 19 marzo 2010, n. 10810) è infatti nel senso che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, anche se l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso. Cfr. anche Cass, Sez. F, 28 luglio/2009 – 17 agosto 2009, n. 33409, che parimenti ha ritenuto che in caso di concorso di persone nel reato, la confisca "per equivalente" prevista dall’art. 648 quater c.p., può essere disposta per ciascuno dei concorrenti per l’intera entità del profitto. Ha poi precisato Cass., sez. 6^, 6 marzo 2009 – 5 maggio 2009, n. 18536, che in caso di pluralità di indagati quali concorrenti in un medesimo reato compreso tra quelli per i quali, ai sensi dell’art. 322 ter c.p., può disporsi la confisca "per equivalente" di beni per un importo corrispondente al prezzo o al profitto del reato, il sequestro preventivo funzionale alla futura adozione di detta misura può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, ma l’espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l’ammontare complessivo dello stesso.

5.8. L’undicesimo motivo è infondato giacchè le modalità di esecuzione del sequestro preventivo previste dal cit. art. 104 disp. att. c.p.p., che detta le prescrizioni per l’apposizione del vincolo richiamando le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento presso il debitore o presso il terzo, riguardano l’opponibilità del sequestro ai terzi e non già il perfezionamento del vincolo sotto il profilo penale.

5.9. E’ inammissibile poi l’ultimo motivo (il dodicesimo motivo) riguardante le spese processuali atteso che il ricorso era stato pressochè interamente respinto e quindi vi era la soccombenza del ricorrente.

6. Infondato è anche il ricorso proposto dalle tre società estere.

Il primo motivo è inammissibile perchè fondato su una circostanza di mero fatto che asseritamente viene allegata dalle società ricorrenti: ossia la disponibilità del conto corrente dell’indagato di una somma maggiore di quella assoggettata a sequestro per equivalente sì da rendere superfluo il sequestro degli immobili intestati alle società estere.

Parimenti inammissibile è il quarto motivo perchè l’ordinanza motiva specificamente in ordine alla disponibilità che aveva l’indagato dei due immobili intestati alle due società estere.

Il secondo ed il quinto motivo di ricorso sono infondati perchè nel caso di sequestro per equivalente, come anche di confisca per equivalente, non occorre il vincolo di pertinenzialità con il profitto o il prezzo del reato, ma è un sufficiente la disponibilità da parte dell’indagato del bene assoggettato alla misura cautelare reale; ciò di cui il tribunale ha dato puntualmente conto. La circostanza che gli importi utilizzati per l’acquisto degli immobili assoggettati alla misura cautelare non siano il provento dell’attività illecita commessa dall’indagato principale non è rilevante trattandosi di confisca e di sequestro per equivalente che appunto non richiede il vincolo di pertinenzialità.

Il terzo motivo è infondato atteso che, come già sopra rilevato, il sequestro per equivalente nella fattispecie del reato tributario comprende anche l’ipotesi del profitto del reato e non è limitata al solo prezzo del reato.

7. In conclusione tutti i ricorsi sono infondati e vanno quindi rigettati con conseguente condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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