Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 04-05-2011) 19-07-2011, n. 28719 Custodia cautelare

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Brescia in data 7 dicembre 2010 ha rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del 11 novembre 2010 con la quale il G.I.P. presso il Tribunale di Brescia ha disposto la proroga dei termini della custodia cautelare ex art. 305 c.p.p., comma 2 nei confronti di Z.S., per i delitti di violenza sessuale e di lesioni personali in danno di L.L., che nell’immediatezza dei fatti aveva denunciato che nel pomeriggio del (OMISSIS), all’uscita del Centro sociale di (OMISSIS), dove era in cura per una depressione, era stata avvicinata da un individuo, alla guida di un’auto, il quale le aveva chiesto un’informazione stradale; non comprendendo le sue indicazioni, l’uomo l’aveva invitata a salire in auto e ad accompagnarlo nella via indicata. Aveva acconsentito, salendo sul veicolo, ma l’uomo, improvvisamente, minacciandola con un coltello ed avendo sul sedile posteriore un cofanetto contenente altri coltelli, l’aveva costretta ad un rapporto orale, riaccompagnandola poi a casa. I Carabinieri, attraverso la visione delle immagini del sistema di videosorveglianza della Polizia locale, individuavano il veicolo, risalendo al proprietario, che veniva riconosciuto dalla persona offesa e a seguito di perquisizione domiciliare veniva rinvenuto un cofanetto con alcuni coltelli, per cui lo Z. veniva tratto in arresto e sottoposto a misura cautelare. Il quadro gravemente indiziario veniva peraltro confermato anche con decisione di questa Corte n. 16420 del 27 aprile 2010.

L’indagato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento dell’ordinanza per i seguenti motivi:

1.Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) e b), in relazione all’art. 310 c.p.p., comma 2. Il Tribunale di Brescia si sarebbe discostato dal "thema decidendum" svolto nell’atto di gravame. Il ricorrente aveva censurato la violazione dell’art. 415 c.p.p., comma 3 lamentando l’omesso accertamento dei requisiti della richiesta di proroga dei termini di custodia cautelare avanzata dal P.M., priva delle ragioni per cui le indagini disposte non fossero state compiute in precedenza, nè delle ragioni per cui le stesse dovessero essere svolte in costanza di misura coercitiva. Il Tribunale, anzichè constatare tale carenza si sarebbe sostituito al giudice del provvedimento colmando l’evidente lacuna motivazionale.

2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione del testo del provvedimento impugnato. Il Tribunale sarebbe incorso in un errore logico, laddove, per nascondere l’inerzia del Pubblico Ministero, che dal 24 giugno all’ottobre 2010 non ha compiuto alcun atto d’indagine, ha stabilito la sussistenza in capo alla difesa di un "onere di leale collaborazione con il Pubblico Ministero" quanto meno nella ricerca delle prove a favore dell’indagato ed ha sottolineato che invece la difesa avrebbe chiesto solo in sede di notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari lo svolgimento di determinati esami tecnici, per cui l’utilità di tali accertamenti sarebbe emersa solo al termine delle indagini preliminari. Invero, lamenta il ricorrente, non sussiste alcun onere collaborativo con l’ufficio del Pubblico Ministero, bensì l’obbligo reciproco di entrambe le parti al rispetto delle norme processuali, essendo il pm obbligato per legge a ricercare anche elementi a favore dell’indagato.

L’ordinanza del Tribunale non soddisferebbe le obiezioni circa l’inerzia dell’ufficio dell’accusa tra l’ultimo atto di indagine (24 giugno 2010) e quello della notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari (1 ottobre 2010). Solo dopo la notifica di tale avviso la difesa ha appreso che gli accertamenti tecnici già indicati dal RIS di Parma nel maggio 2010 non erano stati disposti, nè erano state effettuate altre indagini che li rendevano superflui.

Per questi motivi si chiede l’annullamento dell’impugnata ordinanza, con le conseguenze di legge.

Motivi della decisione

Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

1. Innanzitutto deve essere ribadito il principio che nell’ambito delle ordinanze cautelari l’ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita, attiene alla verifica che l’ordinanza impugnata rispetti i requisiti richiesti dalla legge, contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il controllo investe, in sintesi, la legittimità del provvedimento e la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento stesso.

Risulta del tutto infondato il primo motivo di ricorso, che censura la violazione del principio del tantum devolutum, quantum appellatum, in quanto i giudici dell’appello di provvedimenti in ambito cautelare può, nell’ambito del "devolutum", integrare la motivazione del provvedimento impugnato, evitandone l’annullamento (in tal senso, Sez. 1, n. 27677 del 7/7/2009, Genchi, Rv. 244718, Sez. 3, n. 2711 del 21/4/2000, Valenza, Rv. 216558).

In riferimento al provvedimento di proroga dei termini di durata della custodia cautelare, l’art. 305 c.p.p., comma 2, nella formulazione conseguente alla L. n. 144 del 2000, consente che il Pubblico Ministero chieda ed il giudice disponga la proroga dei termini, prossimi alla scadenza, purchè sussistano gravi esigenze cautelari che rendano indispensabile il protrarsi della misura, quando siano disposte nuove indagini – a prescindere dalla loro complessità – a norma dell’art. 415 bis c.p.p., e, pertanto, "a seguito delle richieste dell’indagato", che, ricevuto l’avviso previsto dalla norma citata, abbia sollecitato ulteriori accertamenti, o manifestato la volontà di presentarsi, per rilasciare dichiarazioni, oppure per essere sottoposto ad interrogatorio (art. 415 bis c.p., commi 3 e 4). Il legislatore ha quindi ipotizzato per la proroga dei termini di custodia due situazioni diverse, da un lato, "l’accertamento particolarmente complesso" e dall’altro, "le nuove indagini", situazioni che possono abilitare il pubblico ministero (in presenza degli altri requisiti di legge) alla richiesta ed alla concessione della proroga. Tale seconda situazione è più ampia della prima, nel senso, cioè, che, quanto meno, non necessariamente le "nuove indagini", che possono avere contenuto vario e tipologia diversa, debbano essere collegate alla previsione o meno di un pericolo di inquinamento probatorio, sì da poter ritenere che questo solo possa essere stato apprezzato come eventualmente concretizzante l’unica esigenza cautelare salvaguardabile in tal caso: ne rimane caducato, o quanto meno del tutto affievolito, o comunque non apprezzabile in via di unica prospettazione normativa, quell’altrimenti ritenuto esclusivo collegamento diretto tra tali atti e la sola esigenza cautelare probatoria.(Cfr. Sez. U, n. 33541 dell’11/9/200: Canavesi, Rv.

219396) . Ne deriva l’obbligo per il giudice di motivare sulla indispensabilità del mantenimento della custodia cautelare dell’indagato al fine di espletare le ulteriori indagini (in tal senso, Sez. 1, n. 25234 del 2/7/2002, Castellucci, Rv. 223014).

Correttamente quindi il Tribunale di Brescia ha esaminato la specifica situazione del caso di specie. Il pubblico ministero aveva richiesto la proroga dei termini custodiali all’esito delle nuove indagini disposte su richiesta della difesa (accertamenti tecnici irripetibili sui reperti in sequestro e nuovo interrogatorio dell’indagato) successivamente all’avviso della conclusione delle indagini preliminari, indagini il cui compimento risulta – a parere del giudice dell’appello cautelare – sotto il profilo pratico, frutto di un accordo e pertanto manifestazione di una comune valutazione delle parti processuali, da un lato, in relazione alla necessità di tali accertamenti, dall’altro, circa l’esclusione di ogni colpevole inerzia pregressa dei rispettivi compiti da svolgere nel processo. A parere del Tribunale, in sintesi, un’inerzia del pubblico ministero non può essere aprioristicamente considerata, quando solamente al termine delle indagini preliminari accusa e difesa abbiano ritenuto di dover procedere ad un’integrazione utile delle indagini. Nella parte motiva dell’ordinanza impugnata è stato quindi affermato, condivisibilmente, che quando la proroga della custodia cautelare in carcere ex art. 305 c.p.p., comma 2 è disposta ex art. 415 bis c.p.p., comma 4, non spetta al giudice di verificare se l’indagine suppletiva sia necessaria e complessa e se il pubblico ministero abbia in precedenza assunto, rispetto a tali atti di indagine, un atteggiamento colpevolmente inerte, in quanto tale valutazione è implicita ed assorbita dal fatto che il pubblico ministero abbia in concreto disposto le nuove indagini richieste dalla difesa, essendosi manifestato in tal modo un sostanziale accordo delle parti circa la necessità delle stesse. In sintesi quindi, quando siano state disposte indagini integrative ex art. 415 bis c.p.p., commi 3 e 4, il G.i.P. può concedere la proroga dei termini di fase quando:

1) sussistono gravi esigenze cautelari la cui gravità rende indispensabile il protrarsi della cautela, 2) è prossimo il termine di scadenza della misura cautelare carceraria, 3) il tempo di compimento delle indagini richieste implicherebbe lo spirare dei termini di fase della custodia cautelare. Il Tribunale di Brescia ha dato atto di aver sottoposto a verifica l’ordinanza con cui il G.I.P. ha disposto la proroga di tali termini, motivando in merito alla sussistenza dei soprarichiamati requisiti, precisando come senza tali nuove indagini (che richiedono dei tempi di esecuzione non brevi) i termini ordinari di fase della custodia cautelare non sarebbero decorsi. Inoltre, e ad abundantiam, stante quando prima esposto circa la superfluità di tale verifica, i giudici del tribunale hanno anche sottolineato come nel caso di specie non fosse ravvisabile alcuna inerzia del pubblico ministero, nè in fase antecedente, nè in quella successiva alla richiesta di ulteriori indagini, con motivazione logica, che, in quanto tale si sottrae sia alle censure di omessa motivazione che di contraddittorietà della stessa, avanzate nel ricorso.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p. Inoltre la Corte dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. La Corte dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2011

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