Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 19-04-2011) 19-07-2011, n. 28776 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con sentenza del 19 novembre 2009, il Gup del Tribunale di Brescia ha ritenuto, tra gli altri, A.D., D.L. e M.A. colpevoli di diversi episodi di acquisto e cessione (anche nella forma del tentativo, talvolta in concorso con altre persone separatamente giudicate) di sostanza stupefacente del tipo cocaina – capi 16,19,21,22,47, 56 e 57 per A.; capi 20 e 23 per D.; capo 29 per M. – e li ha condannati, ritenuta, quanto all’ A. ed al D., la continuazione tra i reati ed applicata la diminuente del rito, alle pene ritenute di giustizia.

Su impugnazione proposta dai tre imputati, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 6 luglio 2010, in riforma della sentenza di primo grado: a) ha assolto il D. dal delitto contestato sub capo 23 perchè il fatto non sussiste e, riconosciuta, quanto al delitto contestato sub capo 20, l’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, esclusa la continuazione, ha ridotto ad anni due, mesi otto di reclusione e 4.500,00 Euro di multa la pena inflitta dal primo giudice; b) ha riconosciuto, nei confronti del M., le circostanze attenuanti generiche e quella di cui al 5 comma del citato art. 73 ed ha ridotto ad anni due, mesi tre di reclusione e 4.400,00 Euro di multa la pena inflitta in primo grado;

c) ha ridotto, nei confronti dell’ A., ad anni sei di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa la pena inflitta dal primo giudice, attraverso in contenimento degli aumenti della stessa ex art. 81 cpv cod. pen..

-2- Avverso tale sentenza propongono distinti ricorsi – accompagnati da varia allegazione documentale – i tre imputati, che deducono:

1) A.D.:

a) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, in relazione alla ritenuta congruità della motivazione del provvedimento con il quale è stato autorizzato, per le intercettazioni, il ricorso ad impianti esterni all’ufficio di procura; la censura riguarda la ritenuta sussistenza dei requisiti della insufficienza degli impianti esistenti presso detto ufficio e delle ragioni di eccezionale urgenza di cui all’art. 268 cod. proc. pen.; il difetto motivazionale comporterebbe, secondo il ricorrente, l’inutilizzabilità delle intercettazioni. Con specifico riferimento alle conversazioni intercettate sull’utenza mobile n. (OMISSIS) in uso all’imputato, si rileva nel ricorso che l’intercettazione non sarebbe mai stata autorizzata, ma solo prorogata con provvedimento che non verrebbe a sanare il vizio d’origine;

b) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’utilizzazione di atti d’indagine compiuti oltre la scadenza dei termini di cui agli artt. 405/407 cod. proc. pen.; il riferimento è all’assunzione delle dichiarazioni rese da B.G., S.A. e B.G., sentiti in ordine all’acquisto di sostanza stupefacente loro ceduta dell’imputato;

c) Vizio di motivazione, anche in relazione all’art. 125 cod. proc. pen. in punto di affermazione della responsabilità dell’imputato in ordine a tutti i fatti contestati;

d) Vizio di motivazione in punto di diniego delle attenuanti generiche e di quelle previste dall’art. 114 cod. pen. e dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5. 2) D.L.:

a) Violazione dell’art. 161 cod. proc. pen., in relazione alla notifica di tutti gli atti processuali, a partire dal decreto di fissazione dell’udienza preliminare e fino al decreto di citazione in appello, al domicilio eletto presso lo studio del difensore di fiducia invece che al domicilio dichiarato; quest’ultimo pur precedente l’elezione di domicilio, e tuttavia mai revocato; il vizio, tempestivamente dedotto, renderebbe nulli tutti gli atti del procedimento;

b) Violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 1 e art. 271 cod. proc. pen., in relazione alla mancata verbalizzazione dell’attività intercettativa, posto che i relativi verbali conterrebbero solo le indicazioni del giorno di inizio e di termine di detta attività; il vizio comporterebbe l’inutilizzabilità delle intercettazioni;

c) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta consumazione del delitto di cessione di sostanza stupefacente, con riferimento al capo 20 della rubrica -unico per il quale è stata affermata la responsabilità dell’imputato-, laddove dalle conversazioni telefoniche intercettate emergerebbe che nessun accordo vi era stato tra i conversanti in ordine al tipo, alla quantità ed al prezzo dello stupefacente oggetto, in tesi d’accusa, di compravendita, di guisa che, in assenza di accordo, il reato sarebbe inesistente;

d) inesistente sarebbe anche la ritenuta ipotesi di tentativo, in difetto della prova circa gli elementi embrionali dell’accordo;

e) Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione della pena base, per il delitto ex art. 73, comma 5 del richiamato D.P.R., nella misura di sei anni, che costituisce il massimo della pena edittale;

i) Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche.

3) M.A.:

a) Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove è stata ribadita la penale responsabilità dell’imputato per il reato contestatogli (capo 29); si rileva, anzitutto, nel ricorso che la corte territoriale erroneamente avrebbe ritenuto che con la puntigliosa ricostruzione, nell’atto di appello, delle quantità di stupefacente acquistato e dei prezzi erogati l’appellante avrebbe in pratica contraddetto la richiesta assolutoria; in realtà, sostiene il ricorrente, la principale richiesta era di assoluzione, mentre la ricostruzione alla quale si è fatto riferimento aveva solo lo scopo di segnalare, in via subordinata, che gli acquisti erano finalizzati al consumo personale, non alla cessione a terzi;

b) Vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, cioè del consumo personale, da parte del M., dello stupefacente acquistato; sostiene il ricorrente che erano state acquisite, in sede di indagini difensive, le dichiarazioni rese dalla madre, dalla sorella e dalla zia dell’imputato, che avevano segnalato la condizione di tossicodipendente del congiunto, condizione confermata anche da un certificato medico rilasciato dal dott. Sa.Ma., dal quale era emerso che il M., in occasione di analisi eseguite l’8.9.03, era risultato positivo al test urine per la cannabis;

dichiarazioni acquisite in atti, ritenute dalla corte territoriale irrilevanti, quelle della madre, ovvero del tutto ignorate, quelle della sorella e della zia, e lo stesso certificato del dott. Sa.. c) Vizio di motivazione con riguardo al rigetto dell’istanza di sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità, D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 3, comma 5 bis e D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54.

I tre ricorrenti concludono chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.

-3- I ricorsi sono infondati.

1) A.D.. a) Quanto al primo motivo di ricorso, premesso che, secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, il ricorso ad impianti di intercettazione esterni all’ufficio di procura può essere sommariamente motivato richiamando l’indisponibilità, ovvero l’insufficienza di tali impianti, non essendo necessario che il PM indichi le ragioni di tali indisponibilità o insufficienza, e che, nell’ambito di tale motivazione, deve ritenersi la sostanziale identità concettuale tra la "insufficienza" e la "indisponibilità" cui fa riferimento l’art. 268 cod. proc. pen., in quanto ambedue i concetti indicano l’impossibilità del PM di ricorrere ad impianti interni all’ufficio di procura.

Tanto premesso, dunque, osserva la Corte, con specifico riferimento alla censura proposta dal ricorrente, che la motivazione della sentenza impugnata non presenta alcuna contraddittorietà.

In realtà, i riferimenti, in detta sentenza, da un lato, alla motivazione per relationem, con cui il PM si limiti a richiamare una certificazione dell’ufficio intercettazioni della procura, dall’altro, all’esigenza, per motivi particolari, connessi alla singola indagine, di specificare le ragioni del mancato utilizzo di impianti interni a detto ufficio, appaiono, nel contesto motivazionale, oltre che del tutto residuali, per nulla in contrasto con le precedenti considerazioni svolte sul punto dal giudice del gravame. Con tali richiami, invero, lo stesso giudice si è limitato a precisare che l’indisponibilità o l’insufficienza degli impianti potrebbe anche essere sostenuta dal PM attraverso l’allegazione di una conforme certificazione proveniente dall’ufficio intercettazioni della procura, ed inoltre a specificare che l’opportunità di più precise indicazioni potrebbe rivelarsi in casi particolari allorchè, ad esempio, la necessità di ricorrere ad impianti esterni nasca da esigenze investigative, rappresentate dall’esigenza di svolgere contemporaneamente servizi di osservazione, pedinamento e controllo degli indagati, e quindi di concentrare i vari servizi presso l’unità più prossima di polizia giudiziaria.

Osservazioni evidentemente non riferite al caso di specie nè contraddittorie rispetto ai concetti in precedenza espressi, rispondenti solo all’esigenza, avvertita dal giudice del gravame, di completare l’iter argomentativo attraverso l’indicazione di ulteriori possibili situazioni, diverse da quella esaminata, che avrebbero potuto rendere opportuna una più succinta o più specifica motivazione del decreto di esecuzione delle operazioni in punto di utilizzo di impianti esterni.

Quanto alle ragioni d’urgenza, deve ritenersi che le stesse siano state implicitamente rilevate attraverso il richiamo alle condotte delittuose ipotizzate, che rappresentavano chiaramente la stabile ed attuale operatività di un gruppo criminale dedito al traffico di stupefacenti e che andavano, evidentemente, immediatamente interrotte, anche perchè apparivano accompagnate da episodi di intimidazione, attribuite all’ A., collegati alle attività di spaccio.

Per quanto riguarda le attività di captazione relative alla utenza cellulare (OMISSIS), disposta, secondo il ricorrente, non con un originario decreto d’intercettazione, bensì solo con un provvedimento di proroga, rileva anzitutto la Corte la violazione, da parte del ricorrente, della regola dell’autosufficienza del ricorso, in relazione alla mancata produzione di detto provvedimento in allegato all’atto d’impugnazione; onere al quale il ricorrente era tenuto data la mancata allegazione dello stesso provvedimento agli atti del fascicolo trasmesso a questa Corte.

In ogni caso, quanto al merito della censura, osserva la Corte che la decisione del giudice del gravame di ritenere utilizzabili solo le conversazioni intercettate dopo la proroga, appare coerente e condivisibile, anche perchè il ricorrente non assume che detto provvedimento sia carente dei requisiti, anche motivazionali, richiesti dalla legge. Non precisa, peraltro, lo stesso ricorrente quali siano i contenuti delle conversazioni intercettate nè il loro rilievo probatorio, come pure sarebbe stato necessario al fine di accertare se l’inutilizzabilità di tali conversazioni avrebbe potuto giustificare una diversa decisione, più favorevole all’imputato. b) Quanto al secondo motivo di ricorso, relativo alla acquisizione di elementi probatori oltre il termine di cui all’art. 407 cod. proc. pen. (testimonianze di B.G., S.A. e Bu.Gi.Da., acquirenti della droga), osserva la Corte che il giudice del gravame, al quale la questione è stata proposta con i motivi d’appello, ha legittimamente considerato, tra l’altro, che la scelta del giudizio abbreviato, evidentemente diretta ad ottenere un attenuato trattamento sanzionatorio, non consente più all’imputato di contestare gli atti d’indagine. Affermazione – in ordine alla quale il ricorrente nulla osserva – che si pone in perfetta sintonia con la giurisprudenza di questa Corte che, in una fattispecie identica ha affermato che: "Gli atti d’investigazione compiuti dopo la scadenza dei termini di indagine preliminare sono utilizzabili nel giudizio abbreviato" (Cass. n.38420/10).

Per le vicende in relazione alle quali i predetti testimoni sono stati chiamati a deporre, peraltro, la responsabilità del D. era comunque emersa, secondo quanto si deduce dalla lettura della sentenza di primo grado, dai contenuti delle numerose conversazioni telefoniche intercettate, dalle quali erano emersi, oltre che i frequenti contatti dei tre con l’imputato, il contenuto criptico delle conversazioni, a conferma dell’oggetto illecito di quei contatti, e la situazione debitoria dei primi nei confronti del secondo. La testimonianze dei tre acquirenti, quindi, sono solo state utilizzate a conferma degli elementi indiziari già acquisiti. c) Inammissibile è il terzo dei motivi proposti, con il quale il ricorrente, dietro l’apparente censura motivazionale, tende in realtà a fornire dei contenuti delle conversazioni intercettate una interpretazione diversa rispetto a quella accolta dai giudici del merito. Operazione non consentita nella sede di legittimità laddove il giudice del merito abbia fornito, come nel caso di specie, una valutazione conforme ai criteri della logica e delle massime d’esperienza (Cass. n. 15396/08 rv 239636). d) Infondato è anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale è stato segnalato il vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche e di quelle previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e art. 114 cod. pen.. Quanto alla diminuente della lievità entità del fatto, il giudice del gravame ha giustamente osservato che la stessa non avrebbe potuto riconoscersi in vista della imponenza del traffico, anche per il numero di "clienti" che poteva vantare; considerazione che evidentemente supera la tesi della lieve entità, ove anche realmente ipotizzabile, delle singole vicende di cessione, ma che non ha, tuttavia, impedito al giudice del gravame di contenere significativamente l’aumento di pena per la continuazione. Quanto alle generiche ed all’attenuante ex art. 114 cod. pen., il giudice del gravame ha condivisibilmente rilevato, quanto alle prime, oltre al negativo comportamento processuale, evidentemente caratterizzato dal rifiuto di qualsiasi forma di partecipazione alle indagini, e dunque dalla totale assenza di resipiscenza, la gravita dei fatti e la loro reiterazione nel tempo; circostanze che certamente legittimano il diniego delle invocate attenuanti; quanto alla seconda, che il ruolo ricoperto dall’imputato nell’organizzazione non poteva considerarsi marginale; affermazione che il ricorrente solo genericamente contesta, non avendo indicato elementi fattuali dai quali potesse scaturire un diverso giudizio.

2) D.L.. a) Il primo motivo proposto, relativo ad una presunta violazione dell’art. 161 cod. proc. pen. in relazione alla presunta irregolare notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, avvenuta presso il domicilio eletto e non presso il domicilio precedentemente dichiarato, è manifestamente infondato.

Come ha esattamente sostenuto il giudice del gravame, al quale l’imputato aveva eccepito", per analoga ragione, l’irregolarità della notifica del decreto di fissazione dell’udienza preliminare, non può esservi motivo di contestazione sul punto, poichè l’elezione di domicilio è successiva alla dichiarazione. La circostanza appare determinante alla luce del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 41280/06), secondo cui ciò che conta, ai fini della notifica, è l’ultima delle manifestazioni di volontà dell’imputato, senza distinzione alcuna tra dichiarazione ed elezione di domicilio e senza che la seconda manifestazione debba necessariamente essere accompagnata dalla revoca della precedente;

ragione per la quale è stato affermato che la dichiarazione di domicilio prevale su una precedente elezione di domicilio pur non espressamente revocata. b) Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale sì chiede dichiararsi inutilizzabile, ex art. 271 cod. proc. pen., per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 1, l’attività d’intercettazione, sul rilievo che non sarebbe stato tenuto un verbale pur sommario delle operazioni svolte.

La censura non è fondata posto che, come sostiene lo stesso ricorrente, in realtà il verbale delle operazioni è stato redatto, solo che esso, a giudizio dello stesso ricorrente, era privo di indicazioni relative all’attività svolta. Orbene, ove anche così fosse -la Corte non lo ha potuto accertare, non essendo allegato agli atti il documento in questione e non essendo stato lo stesso prodotto dal ricorrente, ciò che ripropone il tema della violazione della regola dell’autosufficienza del ricorso- tale irregolarità, attinente non alla effettiva esistenza e compilazione del verbale (nel qual caso si potrebbe riscontrare la violazione dell’art. 268, comma 1 richiamato dal ricorrente), bensì solo all’incompletezza del suo contenuto, non può che ricondursi nell’ambito dell’inosservanza del disposto dell’art. 89 disp. att. cod. proc. pen. che, per costante giurisprudenza di questa Corte, stante il principio di tassatività, non determina l’inutilizzabilità degli esiti dell’attività d’intercettazione legittimamente disposta ed eseguita (Cass. nn. 17574/04, 49306/04, 8836/09).

In ogni caso, con la richiesta di procedere con il rito abbreviato, l’imputato ha dichiarato di voler essere giudicato allo stato degli atti, e dunque anche sulla base del verbale in questione, la cui compilazione, ove anche incompleta, non può oggi contestare. c) Inammissibili sono le censure proposte con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, relativi all’acquisto, in concorso con altri, di gr. 50 di sostanza stupefacente del tipo cocaina (capo 20 della rubrica) al fine di successiva cessione a terzi.

In realtà, il ricorrente, attraverso la denuncia della violazione di legge e del vizio di motivazione, tende a fornire dei contenuti delle conversazioni intercettate una interpretazione diversa rispetto a quella accolta dai giudici del merito. Operazione, come già rilevato con riguardo al ricorso proposto dall’ A., non consentita nella sede di legittimità, laddove il giudice del merito abbia fornito, come nel caso di specie, una valutazione conforme ai criteri della logica e delle massime d’esperienza (Cass. n. 15396/08 rv 239636).

I giudici del merito, invero, hanno legittimamente tratto la convinzione, dalle conversazioni intercettate, in particolare da quella intercorsa tra il D. ed A.G., che oggetto delle stesse fosse la richiesta del primo di ottenere 50 gr. di stupefacente. Richiesta avanzata attraverso il criptico e chiaramente allusivo riferimento, da parte del D’Agostino, ad "una cinquantina di persone che veniamo tutti a mangiare capito", al "menù" ("non ce l’avete pronto?), all’esigenza di avere "il menù giusto perchè io devo farglielo vedere alle persone e dopo ci vediamo io e te". Affermazioni e riferimenti che, nel contesto della telefonata, che mostrava il nervosismo e la fretta del D. d’ottenere dall’interlocutore quanto richiesto -evidentemente non riferibile a pranzi ma a ben altro- è stata coerentemente interpretata come una chiara richiesta dell’odierno ricorrente di acquisto di diverse dosi di stupefacente. d) Infondati sono anche gli ultimi due motivi, relativi al trattamento sanzionatorio.

In punto di determinazione della pena, la corte territoriale, che pure ha riconosciuto all’imputato l’attenuante di cui all’art. 73, comma 5, giustamente ha richiamato la gravità del fatto, oltre che il contesto in cui si dipanavano le varie vicende, ritenuta sufficiente a giustificare l’individuazione della pena base nel massimo edittale previsto dalla norma citata. Mentre le ragioni del diniego delle attenuanti generiche sono state, seppur implicitamente, ricondotte alla gravita dei fatti contestati ed alla stessa negativa personalità dell’imputato, già tale ritenuta dal primo giudice, che ne ha segnalato la pervicacia della condotta illecita ed il dispregio della legge. Il ricorrente, d’altra parte, nel richiedere al giudice del gravame il riconoscimento delle attenuanti in questione, si è limitato a segnalare il fatto che l’imputato si era dedicato a regolare attività lavorativa; circostanza che, evidentemente, di per sè non è idonea ad incidere sul giudizio negativo sulla personalità dell’imputato e sulla gravita del fatto di cui egli è stato ritenuto responsabile.

3) M.A.. a) Infondati sono i primi due motivi di ricorso, aventi ad oggetto censure relative all’affermazione di responsabilità ed il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 75, cioè dell’uso personale della droga acquistata dall’imputato.

In realtà la corte territoriale non ha omesso di considerare il tema della responsabilità dell’imputato, giustamente dalla stessa sostanzialmente ricondotto alla tesi dell’uso personale della droga, in relazione alla quale ha sostenuto che dal contesto delle conversazioni captate emergeva, non solo che il M. aveva accumulato un certo debito nei confronti del suo venditore, tale B.R., ma anche che egli giustificava il ritardo nei pagamenti con il fatto di non avere egli stesso ricevuto puntuali pagamenti da parte di terzi. Affermazione che è stata giustamente interpretata nel senso che l’acquisto della droga era, almeno in parte, finalizzato alla cessione a terzi, i cui ritardati pagamenti avevano causato lo stato di indebitamento ed i ritardi del M. nei confronti del suo fornitore. Nella sentenza di primo grado, inoltre, è stato rilevato che gli acquisti erano avvenuti in un ristretto arco temporale (un mese) e per un importo rilevante, donde la conferma del fatto che gli acquisti erano, almeno in parte, finalizzati alla cessione a terzi.

Circostanze in relazione alle quali le dichiarazioni della madre, della sorella e della zia dell’imputato, che hanno segnalato lo stato di tossicodipendenza del congiunto, ove anche veritiere, e la stessa certificazione medica attestante la presenza, tre anni prima dei fatti, di cannabis nelle urine del M., sono state legittimamente ritenute irrilevanti. Mentre le conversazioni dalle quali emergeva l’esigenza dell’imputato di ricorrere ad un prestito per pagare i debiti, non contrasta con il resto delle emergenze probatorie, poichè ribadisce i problemi finanziari dell’imputato e l’esigenza di provvedervi. c) Infondato è, infine, anche l’ultimo motivo di ricorso, con il quale l’imputato lamenta la mancata sostituzione della pena detentiva con quella del lavoro di pubblica utilità.

A tale proposito, rileva la Corte che detta sostituzione, prevista in caso di riconoscimento dell’attenuante della lieve entità del fatto per i reati in materia di stupefacenti, non costituisce un diritto dell’imputato ma è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice il quale, nel caso di specie, ha rilevato, non solo che non vi era in atti prova della condizione di tossicodipendenza dell’imputato, essendo quelle proposte non apprezzabili in tal senso, ma anche che l’inserimento dello stesso in torbidi ambienti di spaccio organizzato sconsigliava l’accoglimento della richiesta sostituzione.

I ricorsi devono essere, dunque, rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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