T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 25-07-2011, n. 6659

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

I Sigg. Bulgarelli e Cabella sono, rispettivamente, il proprietario ed il locatario di un appartamento, con destinazione residenziale, ubicato in Roma, via Nomentana n. 13, int. 2.

A seguito di accertamento, da parte di agenti della Polizia municipale della U.O. del II Gruppo della Polizia municipale, nel corso del quale è stato rinvenuto un cambio di destinazione d’uso di detto appartamento in studio medico, con determinazione dirigenziale del Dirigente dell’Unità organizzativa tecnica del Municipio II del Comune di Roma 18.6.2009, n. 1153, prot. n. 31450, è stata ordinata l’immediata sospensione dei lavori.

Successivamente, con determinazione dirigenziale del medesimo dirigente 30.7.2009, n. 1439, prot. n. 38124, ne è stata ingiunta la riduzione in pristino, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001.

Quest’ultimo provvedimento e, quali atti connessi, il provvedimento di sospensione dei lavori ed, altresì, l’art. 25, comma 15, delle N.T.A. del nuovo P.R.G. del Comune di Roma, nella parte in cui nella zona di riferimento limita al seminterrato, piano terra e mezzanino la possibilità di modificare la destinazione d’uso da abitazione ad altre funzioni, sono stati impugnati con il ricorso introduttivo in esame, nel quale sono stati dedotti i seguenti motivi di doglianza:

1) travisamento dei fatti e difetto di istruttoria – violazione e falsa applicazione del d.P.R. 28.7.2000, n. 270: la struttura dell’immobile sarebbe perfettamente compatibile con l’uso abitativo (non sarebbe stata rimossa neppure la cucina) ed inoltre non si tratterebbe di studio polispecialistico, bensì di studio che ospita tre medici di base, per cui nessun intervento tecnicocurativo sarebbe posto in essere; inoltre il citato art. 22 del d.P.R. n. 270/2000 prevede che i locali nei quali il medico di base esercita la propria professione possono essere inseriti anche in un locale di civile abitazione, senza, perciò, la necessità che gli ambienti abbiano specifica destinazione di studi professionali, essendo unici requisiti richiesti da detta disposizione l’esistenza di ambienti distinti tra sala d’attesa e sala visite, nonché la presenza di servizi igienici, di luce ed aria;

2) eccesso di potere per errore nei presupposti, violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 2, del d.P.R. 6.6.2001, n. 380, e dell’art. 7, comma 3, della legge regionale 2.7.1987, n. 36: anche a voler ritenere realizzata una modificazione dell’uso dell’immobile, essa sarebbe irrilevante sotto il profilo urbanisticoedilizio, tenuto conto del basso livello di carico urbanistico prodotto tanto da un’abitazione quanto da uno studio professionale, secondo la previsione dell’art. 6 delle N.T.A. del P.R.G., per cui, non essendo state realizzate opere evidenti, essa rientrerebbe nell’attività libera, espressione dello jus utendi del proprietario, e rimarrebbe fuori dell’ambito applicativo dell’art. 7 della legge regionale n. 36/1987; deve considerarsi che nella zona in cui insiste l’appartamento de quo è stabilita la destinazione T4, laddove sono consentiti tutti gli usi;

3) violazione dei principi di economicità e di buon andamento – eccesso di potere per irragionevolezza ed illogicità, sotto vari profili – sanatoria impropria: il cambio di destinazione d’uso potrebbe essere assentito in ogni tempo, a seguito di presentazione di D.I.A., con passaggio dalla categoria abitativa a quella dei servizi, essendo ammessa nella zona considerata la destinazione a studi professionali; l’art. 25, comma 15, delle N.T.A. del nuovo P.R.G. del Comune di Roma sarebbe poi illogico ed irragionevole, nella parte in cui nella zona di riferimento limita al seminterrato, piano terra e mezzanino la possibilità di modificare la destinazione d’uso, impedendola per gli appartamenti siti al primo piano, tenuto conto anche che, per le condizioni di traffico, con rumore ed esalazioni di smog e polvere, sarebbe naturale la loro destinazione a studio professionale e che, se invece il cambio d’uso fosse consentito ovunque, si permetterebbe la diffusione capillare dell’assistenza sanitaria di base, necessaria, trattandosi di un servizio essenziale.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma.

Successivamente, a seguito di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi in data 2.12.2009, la parte ricorrente ha acquisito l’atto concernente l’accertamento tecnico dell’Unità organizzativa tecnica del Municipio II del Comune di Roma 18.6.2009, prot. n. 31447, nonché la relazione tecnica del 5.6.2009, entrambi richiamati nei provvedimenti sopra menzionati, impugnati con il ricorso introduttivo.

Questi ultimi atti sono stati gravati con ricorso per motivi aggiunti, nel quale sono stati riproposti i vizi già dedotti col gravame introduttivo.

Il Comune resistente ha depositato documentazione conferente.

Con ordinanza 7.1.2010, n. 58, questo Tribunale ha respinto la domanda cautelare, proposta in via incidentale, sulla base della circostanza che nella specie si è determinato, in assenza di titolo edilizio un cambio di destinazione d’uso da una categoria ad un’altra, comportante la sanzione ripristinatoria.

Avverso detto provvedimento giurisdizionale è stato proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato – sezione IV, che dapprima, con ordinanza 4.6.2010, n. 2514, ha disposto incombenti istruttori a carico del Comune di Roma e successivamente, una volta conseguita la relativa documentazione, con ordinanza 28.9.2010, n. 4424, ha accolto l’appello, per l’effetto, riformando l’ordinanza emessa in I grado, in relazione alla possibilità di esercitare l’attività medica anche in un appartamento ad uso residenziale.

Il Comune resistente ha prodotto una memoria difensiva, nella quale ha evidenziato il carattere subordinato del d.P.R. n. 270/2000 rispetto alle leggi regionali di cui si è fatta in concreto applicazione, nella gerarchia tra fonti.

La parte ricorrente ha depositato presso questo T.A.R. ulteriore documentazione, nonché una memoria defensionale.

Nella pubblica udienza del 5.7.2011 il ricorso è stato introitato per la decisione.

Motivi della decisione

1 – Con il ricorso in esame, comprensivo di gravame introduttivo e di motivi aggiunti, si censurano, unitamente agli atti presupposti, i provvedimenti recanti ordine di immediata sospensione dei lavori ed ingiunzione di demolizione e di riduzione in pristino, ai sensi dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001, in relazione ad un cambio di destinazione d’uso di un appartamento da residenziale in studio medico, nonché, quale atto connesso, l’art. 25, comma 15, delle N.T.A. del nuovo P.R.G. del Comune di Roma, nella parte in cui nella zona di riferimento esso limita al seminterrato, piano terra e mezzanino la possibilità di modificare la destinazione d’uso da abitazione ad altre funzioni.

1.1 – È necessario operare un distinguo tra i menzionati atti.

2 – Con riguardo all’ordinanza di sospensione dei lavori, avente autonoma portata lesiva rispetto all’ordinanza demolitoria, seppure con efficacia circoscritta temporalmente a 45 giorni dalla sua adozione, il ricorso è irricevibile, in quanto tardivamente proposto, vale a dire oltre il termine decadenziale di 60 giorni dalla sua notifica agli interessati.

3 – In relazione all’accertamento tecnico ed alla relazione tecnica, oggetto dei motivi aggiunti, il ricorso è, invece, inammissibile, per carenza di interesse, trattandosi di atti endoprocedimentali, in quanto tali, privi di natura provvedimentale e di correlata portata lesiva.

4 – Il ricorso è invece infondato e va rigettato, con riferimento all’ordinanza demolitoria.

5 – Deve subito evidenziarsi che nella specie si è pacificamente realizzato un cambio di destinazione d’uso da residenziale a studio professionale, in quanto, per stessa ammissione dei ricorrenti, l’appartamento in questione viene utilizzato quale studio medico presso il quale tre medici di base esercitano la loro attività.

Nessuna rilevanza, ai fini dell’accertamento della legittimità o meno dell’operato dell’Amministrazione comunale, ha la circostanza che non si tratterebbe di studio polispecialistico, bensì di studio medico per servizi di assistenza medica di base.

5.1 – In ogni caso si è determinato un cambio di destinazione d’uso da una categoria ad un’altra, così come emerge dalla lettura dell’art. 6 delle N.T.A. del P.R.G. di Roma. Infatti, si è realizzato il passaggio dalla categoria "abitativa" alla categoria "servizi".

5.2 – Ciò precisato, va ulteriormente detto che, quando si procede a tale mutamento, è necessario ex lege munirsi previamente del permesso di costruire, in assenza del quale sempre la norma primaria stabilisce che debba essere comminata la misura ripristinatoria.

A tale proposito si rammenta che l’art. 7, 3° comma, della legge regionale n. 2.7.1987, n. 36, prevede che "le modifiche di destinazione d’uso", indipendentemente dalla circostanza che siano realizzati "con o senza opere a ciò preordinate, quando hanno per oggetto le categorie stabilite dallo strumento urbanistico generale, sono subordinate al rilascio di apposito permesso di costruire".

È evidente che si tratta proprio dell’ipotesi in concreto esaminata.

Pertanto, anche ove corrispondesse al vero la dedotta circostanza che il mutamento di destinazione d’uso non avrebbe comportato opere rilevanti, in ogni caso era necessario il permesso di costruire.

5.3 – Al riguardo l’art. 16 della legge regionale n.15 dell’11.8.2008, stabilisce ulteriormente che ove siano eseguiti "cambi di destinazione d’uso da una categoria generale ad un’altra di cui all’articolo 7, terzo comma, della legge regionale 2 luglio 1987, n. 36 (…) in assenza di permesso di costruire" deve ingiungersi "al responsabile dell’abuso, nonché al proprietario, ove non coincidente con il primo, di provvedere (…) alla demolizione dell’opera e al ripristino dello stato dei luoghi".

5.4 – Dal combinato disposto delle citate disposizioni normative si desume appunto che la sanzione demolitoria è dovuta nel caso come quello in esame, in quanto appunto imposta ex lege.

5.5 – Deve infine considerarsi che la norma nazionale qui conferente, in concreto applicata, che è l’art. 33 del d.P.R. 6.6.2001, n. 380, stabilisce la sanzione demolitoria per i cambi di destinazione d’uso, per effetto del rinvio operato all’art. 10 del medesimo decreto legislativo, il quale, al comma 2, demanda proprio alle regioni la fissazione, con legge, dei mutamenti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, dell’uso di immobili o di loro parti, subordinati a permesso di costruire o a denuncia di inizio attività.

5.6 – Ne deriva che nessun dubbio residua in ordine alla legittimità dell’ordine di demolizione nella specie impartito ai ricorrenti in relazione al cambio di destinazione d’uso de quo.

6 – Né vale ad incidere su tale legittimità l’invocata norma di cui all’art. 22, comma 3, del d.P.R. 28.7.2000, n. 270, la quale consente l’inserimento degli ambienti da adibire a studio medico in un appartamento di civile abitazione, con locali appositamente dedicati.

6.1 – A parte la circostanza che si tratta di una disposizione non avente carattere urbanistico, il che già sarebbe ex se tutt’altro che irrilevante, deve rimarcarsi che, pur volendo considerare la sua specificità e la dedotta connessa natura eccezionale, in ogni caso non può prevalere, permettendo una deroga a quanto sopra detto, previsto in via generale, atteso che si tratta di una disposizione di rango secondario, mentre le previsioni che impongono la previa acquisizione del permesso di costruire ed obbligano al ripristino dello status quo ante, in sua assenza, sono di rango primario.

Nella gerarchia delle fonti queste ultime senz’altro prevalgono sulla prima, potendo applicarsi il criterio di specialità solo quando le norme appartengano allo stesso livello.

7 – Infine la teorica assunta sanabilità ex post dell’abuso (peraltro qui non ricorrente, stante l’impedimento posto dal gravato art. 25, comma 15, delle N.T.A. del P.R.G. del Comune intimato) non può avere alcuna incidenza sulla legittimità dell’ordinanza demolitoria qui impugnata, sussistendo comunque l’abuso stesso al momento della sua adozione.

8 – Ne deriva che detto provvedimento è legittimo ed il relativo gravame è infondato e deve essere rigettato.

9 – La evidenziata ininfluenza dell’asserita sanabilità dell’abuso contestato sulla legittimità di tale provvedimento impugnato in via principale fa venir meno ex ante l’interesse ad una pronuncia nel merito sul ricorso, quale atto connesso, avverso il più volte citato art. 25, comma 15, delle N.T.A. del P.R.G., atteso che in ogni caso anche il suo eventuale accoglimento non potrebbe condurre a sostenere la fondatezza del gravame riferito all’ordinanza demolitoria.

9.1 – Ne deriva che, con riguardo a tale oggetto, il ricorso introduttivo è inammissibile, per carenza di interesse.

10 – In conclusione il gravame introduttivo è in parte infondato, in parte irricevibile ed in parte inammissibile, mentre il ricorso per motivi aggiunti è inammissibile.

11 – Per quanto riguarda le spese di giudizio, i diritti e gli onorari di difesa, essi seguono la soccombenza, ponendosi a carico della parte ricorrente, e vanno quantificati come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sezione I quater, definitivamente pronunciando, quanto al ricorso introduttivo in epigrafe, in parte lo rigetta, in parte lo dichiara irricevibile ed in parte lo dichiara inammissibile, per carenza di interesse, quanto al ricorso per motivi aggiunti, lo dichiara inammissibile, per difetto di interesse.

Condanna i ricorrenti alle spese di giudizio, in favore del Comune resistente, forfetariamente quantificate in Euro 2.000,00 (duemila/00).

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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