Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28489

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza in data 14 dicembre 2010 il Tribunale di Palermo rigettava la richiesta di riesame proposta nell’interesse di M. R. avverso l’ordinanza di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere emessa il 1 dicembre 2010 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo in ordine al delitto di rapina, commesso in Carini il 29 novembre 2010 ai danni di G. S. in concorso con Ge.An., Gu.Ci. e A.D..

Secondo la ricostruzione accusatoria, fondata sul servizio di osservazione e controllo predisposto dai Carabinieri di Carini dopo aver casualmente ascoltato una conversazione nell’ambito di intercettazioni disposte in un separato procedimento, il M. unitamente all’ A. e al Gu. era entrato in uno stabile di Carini da cui i tre erano stati visti uscire portando degli oggetti che avevano riposto nell’autovettura a bordo della quale li attendeva il Ge.. I quattro erano stati quindi individuati come gli autori dell’azione criminosa ai danni di G.S., la quale aveva denunciato di essere stata aggredita di notte all’interno della sua abitazione (nello stesso stabile ove erano entrati il M., l’ A. e il Gu.) da tre persone che l’avevano fatta cadere sul pavimento e l’avevano immobilizzata con la forza, ponendole le mani sugli occhi e sulla bocca, e si erano quindi appropriati di un televisore, di una collana in oro e di altri oggetti (gli stessi rinvenuti nell’autovettura usata dagli indagati).

Avverso la predetta ordinanza il M. ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all’art. 273 c.p.p. e art. 628 c.p., per avere il Tribunale del riesame confermato immotivatamente la qualificazione giuridica di rapina data dal giudice per le indagini preliminari al fatto, originariamente contestato come furto in abitazione, nonostante la persona offesa non fosse stata fatta oggetto di violenza fisica (sarebbe stata tenuta a terra per circa un quarto d’ora e poi fatta sedere, senza essere legata e senza subire violenza, neppure dopo l’impossessamento); l’assenza di travisamento e di armi farebbe quindi propendere, secondo il ricorrente, per la commissione di un furto mediante violenza sulle cose;

2) la violazione di legge e il vizio della motivazione in relazione all’art. 274 c.p.p. per l’illegittima utilizzazione delle acquisizioni investigative relative alle denunce rese da altre due persone offese in relazione a reati oggetto di separate indagini e attribuiti agli indagati sulla base di meri sospetti, dovendo comunque il pericolo previsto dall’art. 274 c.p.p., lett. c) essere desunto da "specifiche modalità e circostanze del fatto";

3) la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione agli artt. 274, 275 e 299 c.p.p. per essere stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere senza tener conto dell’incensuratezza e del positivo comportamento processuale desunto dall’ammissione dei fatti, mentre la misura degli arresti domiciliari sarebbe stata adeguata, anche in considera/ione della giovane età dell’indagato.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Correttamente il Tribunale del riesame ha confermato la qualificazione giuridica di rapina attribuita al fatto nell’ordinanza di applicazione della misura cautelare. Nell’ordinanza impugnata. infatti, si è posto in evidenza che il fatto, ammesso dal M. il quale nel corso dell’udienza in camera di consiglio si era dichiarato pentito, era stato posto in essere mediante violenza esercitata sull’anziana persona offesa, gettata per terra e immobilizzata tanto da aver accusato ad un certo punto un malore. Nel ricorso si riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati nella memoria difensiva presentata al giudice di merito senza tener conto dell’argomentata risposta, esaustiva in fatto e corretta in diritto, contenuta nell’ordinanza impugnata che il ricorrente non considera nè specificatamente censura, limitandosi a ribadire la tesi già esposta della qualificazione giuridica del fatto come furto e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, dal Tribunale del riesame che ha tenuto conto (così come aveva fatto il giudice per le indagini preliminari) delle precise dichiarazioni della persona offesa, la quale aveva descritto l’azione dei tre individui penetrati nella sua abitazione di notte facendo specifico riferimento alla violenta costrizione subita. Del resto lo stesso ricorrente sostiene che la persona offesa era "stata solamente tenuta in terra per circa un quarto d’ora", da ritenersi contro la sua volontà e quindi in maniera da rendere verosimile anche il malore avvertito dalla donna che era stata "gettata" sul pavimento, con una condotta violenta finalizzata a vincerne la resistenza e non solo a trattenerla.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

Il Tribunale del riesame ha correttamente desunto il pericolo concreto di reiterazione della condotta criminosa dalla gravità del fatto e dalle peculiari circostanze del fatto, commesso di notte all’interno di un’abitazione mediante l’immobilizzazione violenta della vittima, costituenti significativi elementi di valutazione della personalità dell’indagato. Non risulta che nell’ordinanza impugnata si sia fatto riferimento anche alle denunce rese da altre due persone offese in relazione a reati oggetto di separate indagini, come sostenuto nel ricorso. Il giudice di merito ha quindi correttamente operato una valutazione che, in modo globale, ha preso in considerazione entrambi i criteri direttivi (specifiche modalità e circostanze del fatto, personalità della persona sottoposta ad indagini desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali) indicati dall’art. 274 c.p.p., lett. c) (Cass. sez. 5 17 aprile 2009 n. 21441, Fiori; sez. 4 1 aprile 2004 n. 37566, Albanese).

Manifestamente infondato è anche il terzo motivo.

Lo stato di incensuratezza non dimostra, infatti, automaticamente l’assenza di pericolosità, potendo questa essere desunta, come espressamente previsto dall’art. 274 c.p.p., lett. c) (e come concretamente fatto nell’ordinanza impugnata), dai comportamenti e dagli atti concreti dell’agente quale specifico elemento significativo per valutare la personalità dell’agente (Cass. sez. 6 2 ottobre 1998 n. 2856, Mocci; sez. 6 21 novembre 2001 n. 45542, Russo; sez. 3 13 novembre 2003 n. 48502, Plasencia; sez. 4 6 novembre 2003 n. 12150, Barbieri; sez. 5 5 novembre 2004 n. 49373, Esposito;

sez. 3 18 marzo 2004 n. 19045, Ristia; sez. 4 19 gennaio 2005 n. 11179, Mirando; sez. 4 3 luglio 2007 n. 34271, Cavallari). Quanto infine all’adeguatezza della misura cautelare della custodia in carcere, il Tribunale del riesame ha fornito una motivazione esauriente e logicamente coerente circa l’idoneità unicamente della misura custodiale a fronteggiare l’esigenza cautelare di reiterazione della condotta criminosa (solo parzialmente ammessa dal M., il quale ha cercato di ridimensionare la gravità della sua condotta negando l’uso della violenza nei confronti della persona offesa), evidenziando che altre misure meno afflittive non avrebbero garantito un controllo continuo e costante sull’indagato, che aveva dimostrato, nonostante la giovane età, "una particolare disinvoltura nella realizzazione del grave e violento fatto delittuoso".

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.

A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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