T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 25-07-2011, n. 6655

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il presente ricorso ha per oggetto la determinazione dirigenziale in epigrafe, con cui si ingiunge, ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, la demolizione di una serie di opere, meglio specificate di seguito, abusivamente realizzate su terreno di 1800 mq circa, appartenente al Comune di Roma, occupato sine titulo dai ricorrenti e dalla loro famiglia, completamente recintato con bandoni, legno e ferro e provvisto di cancello carrabile parzialmente gettato in calcestruzzo.

Segnatamente si tratta, oltre che dei suindicati recinzione e cancello, di un manufatto avente la superficie di 85 mq circa e l’altezza di 3 m, munito di fossa biologica, dell’antistante tettoia in tubi innocenti e copertura in eternit di 40 mq, alta 2,50 m circa, di un manufatto della superficie di 20 mq circa e dell’altezza di 2,10 m circa, realizzato con tubi innocenti e tamponato e coperto con materiale di risulta, di una tettoia in tubi innocenti di 60 mq, alta 3,50 m, coperta con eternit e telo, con sottostante roulotte, infine di due prefabbricati in lamiera, ciascuno avente la superficie di 14 mq e l’altezza di 2,20 m circa, poggianti sul suolo ed adibiti a deposito.

Sono stati dedotti i seguenti motivi di censura: violazione di legge – omessa motivazione – eccesso di potere – illogicità manifesta – erronea valutazione dei fatti.

Nel provvedimento gravato non sarebbero indicate né l’epoca in cui sarebbe avvenuta l’occupazione, né quella in cui sarebbero state realizzate tutte le opere contestate, ed infine neppure le modalità di partecipazione dei ricorrenti all’esecuzione delle stesse.

Mancherebbe la comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e ss. della legge 7.8.1990, n. 241, con impossibilità per gli interessati di parteciparvi.

La determinazione dirigenziale impugnata sarebbe affetta da genericità e sinteticità, con correlata carenza di motivazione.

Pende tra le stesse parti della presente controversia il giudizio civile per l’accertamento dell’usucapione del terreno de quo, che sarebbe stato occupato e recintato prima del 1972 dal padre del Sig. M. – il Sig. Settimio M.. Questi avrebbe realizzato i manufatti in questione dal 1972 al 1976, mentre suo figlio – l’odierno ricorrente – nel 1981 avrebbe fissato la propria residenza e sin dal 1989 vivrebbe insieme a sua moglie, attualmente anche con i propri due figli.

Si assisterebbe ad una prevaricazione del Comune di Roma nei confronti dei privati, avendo lo stesso seguito le due vie: l’una jure privatorum, nel giudizio civile, e l’altra, mediante l’esercizio del proprio potere d’imperio, con l’adozione dell’ordinanza impugnata.

Detto Ente avrebbe eseguito un’istruttoria erronea e superficiale, limitandosi a constatare le opere, senza prendere in considerazione quanto sopra indicato; ciò si desumerebbe anche dalla circostanza che esso non si sarebbe avveduto che al terreno in questione è stato attribuito un nuovo numero civico.

Il provvedimento sarebbe inficiato anche da illogicità manifesta, in quanto l’Amministrazione civica non riceverebbe alcun vantaggio economico ed alcuna utilità dalla sua esecuzione.

Infine la Sig.ra Farese sarebbe del tutto estranea rispetto alle contestazioni mosse.

Si è costituito in giudizio il Comune di Roma, il quale ha depositato documentazione conferente.

Con ordinanza 30.8.2006, n. 4739, è stata accolta ad tempus la domanda cautelare, proposta in via incidentale, vale a dire sino all’accertamento della titolarità del suolo, fatto comunque salvo l’esercizio del potere comunale di vigilanza edilizia a titolo diverso.

Successivamente l’Ente intimato si è costituito con un nuovo difensore – quello attuale – ed ha prodotto ulteriore documentazione ed una memoria difensiva, con cui ha puntualmente controdedotto alle censure avversarie.

La parte ricorrente ha depositato una domanda di sospensione del processo, in attesa della definizione del giudizio civile concernente l’accertamento dell’usucapione, o, in subordine, il differimento della decisione sino a tale definizione.

Nella pubblica udienza del 5.7.2011 il ricorso è stato introitato per la decisione.

Motivi della decisione

1 – Con il ricorso in esame si censura il provvedimento, recante ordine di demolizione, ai sensi dell’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, di una serie di opere abusive, specificamente identificate, realizzate su terreno di 1800 mq circa, appartenente al Comune di Roma, occupato sine titulo dai ricorrenti e dalla loro famiglia, completamente recintato con bandoni, legno e ferro e provvisto di cancello carrabile parzialmente gettato in calcestruzzo.

2 – Preliminarmente deve precisarsi che non può accogliersi l’istanza di sospensione processuale, in attesa della definizione del giudizio civile per l’accertamento del perfezionarsi o meno dell’usucapione, e neppure quella, avanzata in subordine, di differimento della decisione del presente ricorso all’acquisizione dell’esito di detto giudizio.

2.1 – Per la sospensione del processo l’art. 79 c.p.a. opera un rinvio al codice di procedura civile, nonché alle altre leggi ed al diritto europeo.

In particolare, l’art. 295 c.p.c. prevede che la sospensione debba essere disposta quando la decisione della controversia dipenda dalla definizione di altro giudizio. In altre parole, tra i due giudizi deve sussistere un rapporto di presupposizione necessaria, un vincolo di consequenzialità, vale a dire l’uno deve investire una questione di carattere pregiudiziale, rappresentando per l’altra un indispensabile antecedente logicogiuridico, mentre non è bastevole un mero collegamento tra le due emanande statuizioni (cfr.: Consiglio Stato – sez. IV – 28.1.2011, n. 693).

2.2 – La giurisprudenza evidenzia ancora che la sospensione si rende necessaria allorquando il rapporto di pregiudizialità fra le due liti sia tale che la definizione della prima influenzi la definizione della seconda, cosicché possa astrattamente configurarsi l’ipotesi di conflitto di giudicati (Cass. civ. – sez. III – 13.11.2002, n. 15953; Cass. civ. – sez. lavoro – 11.2.2003, n. 2048).

2.3 – Posta la suesposta premessa in diritto, si ritiene che nella specie non ricorra l’ipotesi in cui deve procedersi alla sospensione, atteso che questo Tribunale, per poter correttamente decidere, deve avere riguardo alla situazione di fatto e di diritto sussistente al momento dell’adozione del provvedimento impugnato, che pacificamente è rappresentata, per un verso, dalla titolarità, in capo al Comune di Roma, del terreno su cui insistono le opere e, per altro verso, dal carattere incontestabilmente abusivo delle opere stesse.

È evidente, infatti, che non sussiste un vincolo di consequenzialità tra i due giudizi, né potrebbe ipotizzarsi un conflitto di giudicati.

2.4 – Per le stesse ragioni, non si ritiene di dover rinviare la decisione del ricorso in esame ad un momento successivo.

3 – Nel merito, il gravame è infondato, per quanto di seguito si illustrerà.

4 – Si è già detto che il terreno allo stato – e soprattutto al momento in cui è stata emanata la determinazione dirigenziale impugnata – risulta di proprietà dello stesso Ente comunale intimato e che tutte le opere rinvenute e di cui si dispone la demolizione sono abusive, indipendentemente dall’epoca in cui sono state realizzate.

Sussistono, perciò, entrambi i presupposti richiesti dall’art. 35 del d.P.R. n. 380/2001, in concreto applicato, per comminare la sanzione demolitoria censurata.

In tal caso l’attività repressiva ha carattere vincolato e non implica, perciò, alcuna valutazione da parte del Comune, preposto alla vigilanza sul corretto assetto edilizio ed urbanistico del proprio territorio, la quale, invece, presuppone la diversa natura discrezionale dell’attività posta in essere.

In altre parole, in presenza di occupazione abusiva di terreno comunale e di realizzazione su di esso di manufatti, la riduzione in pristino è doverosa e non possono entrare questioni ulteriori, come l’allegata circostanza che i ricorrenti ci vivono con la propria famiglia o quella ulteriormente dedotta che le opere non sarebbero recenti o la pendenza del giudizio sull’usucapione. Riguardo specificamente a quest’ultimo punto, ciò che rileva è che, fino a quando non venga eventualmente accertato il perfezionarsi dell’usucapione, la proprietà appartiene al Comune.

5 – Il rimarcato carattere vincolato dell’attività in parola comporta anche che il provvedimento, contenendo puntuale descrizione delle opere stesse, con la specificazione anche della tipologia, dell’ubicazione, delle dimensioni e del materiale di cui sono costituite, nonché l’indicazione della disposizione normativa applicata, sia munito di congrua motivazione, per cui non si ravvisa il suo dedotto difetto.

6 – D’altra parte, non sussiste neppure l’erronea istruttoria, in quanto i dati risultanti nel provvedimento risultano corretti e neppure contestati dai ricorrenti, a parte l’intervenuto cambiamento del numero civico, che, tuttavia, qui non ha pressoché rilevanza, essendo in ogni caso possibile procedere all’identificazione del terreno e delle opere in modo inequivocabile.

7 – In ordine alla dedotta omessa comunicazione di avvio del procedimento, detta censura è sfornita di fondamento in fatto, svolgendo anche tale funzione l’ordinanza di sospensione dei lavori, adottata il 16.11.2005 e notificata nelle mani della ricorrente Farese in data 22.12.2005.

8 – Infine non si ravvisa l’asserita estraneità di quest’ultima rispetto all’oggetto della contestazione, atteso che pacificamente, come specificato anche nell’atto di ricorso, la stessa occupa abusivamente il terreno ed i soprastanti manufatti sin dal 1989.

9 – In conclusione il ricorso è infondato e va rigettato.

10 – Per quanto riguarda le spese di giudizio, i diritti e gli onorari di difesa, essi seguono la soccombenza, ponendosi a carico dei ricorrenti, e vanno quantificati come in dispositivo.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sezione I quater, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso in epigrafe.

Condanna i ricorrenti alle spese di giudizio, in favore del Comune resistente, forfetariamente quantificate in Euro 2.000,00 (duemila/00).

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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