Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28479 Falsità

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1 dicembre 2008 il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Genova dichiarava R.A. all’esito del giudizio abbreviato, colpevole dei reati di appropriazione indebita (capi A, H, M), truffa (capi C, D, F, I, L, N, O, T), falso ( art. 485 c.p.: capi B, G), diffamazione (capo B), calunnia (capo P), minaccia (capo Q), imbrattamento di cose altrui (capo R), violazione di domicilio (capo S) ascrittigli e, esclusa l’aggravante prevista dall’art. 61 c.p., n. 7 per i capi A, F, H, I, L, N (per quest’ultimo reato limitatamente all’importo di Euro 3.750,00), ritenuta la continuazione tra i reati ascritti ai capi A, B, C, D, F, G, H, I, L, M, N, O, T e tra i capi Q, R, S, con la diminuente per il rito, lo condannava per il primo reato continuato alla pena di anni quattro di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa, per il secondo reato continuato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 60,00 di multa, per il reato ascritto al capo E alla pena di mesi quattro di reclusione, per il reato ascritto al capo P alla pena di anni uno, mesi quattro di reclusione, con la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il R., che veniva assolto dal reato di truffa ascrittogli al capo N limitatamente alla truffe per l’importo di Euro 5.500,00, era inoltre condannato al risarcimento dei danni, da liquidarsi separatamente, e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili cui venivano assegnate provvisionali di vari importi.

Con sentenza in data 21 giugno 2010 la Corte di appello di Genova assolveva il R. dal reato di calunnia ascrittogli al capo P perchè il fatto non costituisce reato e confermava le restanti statuizioni della sentenza appellata.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la carenza e illogicità della motivazione in relazione al reato di appropriazione indebita contestato al capo A in quanto il profitto sarebbe sensibilmente inferiore a quanto indicato nel capo d’imputazione (Euro 7.305,28) e pari all’ammontare delle provvigioni sulla polizza accesa a nome della persona offesa B.M.;

2) la carenza e illogicità della motivazione in ordine alla truffa contestata al capo D, dovendo il fatto essere qualificato giuridicamente come insolvenza fraudolenta (anche il giudice di primo grado aveva ricostruito il fatto in tal senso);

3) la carenza e illogicità della motivazione in ordine all’appropriazione indebita contestata al capo H, reato per il quale si sarebbe dovuto emettere pronuncia assolutoria per non aver commesso il fatto relativamente alla somma di Euro 5.000,00 che la stessa persona offesa R.D. nella denuncia in data 3 dicembre 2004 aveva sostenuto di aver dato in prestito a titolo personale a Re.Al. (padre dell’imputato);

4) la carenza ed illogicità della motivazione in relazione ai reati contestati ai capi Q, R, S in mancanza di prova certa della presenza dell’imputato nell’abitazione di V.P. allorchè erano stati commessi i fatti delittuosi ascritti (minacce, imbrattamento);

5) la carenza ed illogicità della motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e all’eccessività delle singole pene base e degli aumenti per la continuazione;

6) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e processuale per l’omessa riduzione di un terzo della pena detentiva per il rito abbreviato, in relazione ai reati contestati ai capi Q, R, S;

7) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, in ogni caso, la carenza e illogicità della motivazione per la mancato specificazione degli aumenti in continuazione della pena pecuniaria (a differenza della pena detentiva) in relazione ai singoli reati contestati ai capi A, B, C, D,F,G,H,I,L,M,N,O,T. E’ state deposita una memoria difensiva integrativa contentate motivi nuovi con i quali:

A) si eccepisce l’intervenuta prescrizione in ordine ai reati sub B (commesso in data (OMISSIS)), G (commesso nel (OMISSIS)), L (commesso nel periodo (OMISSIS)), M (commesso nel periodo (OMISSIS)); in caso di annullamento sul punto dovrebbe essere disposto il rinvio al giudice di merito non essendo stato specificato per i singoli reati l’aumento di pena per la multa;

B) si insiste nel secondo motivo di ricorso, relativo al capo D;

C) si ribadisce con ulteriori argomentazioni, la doglianza contenuta uri quarto motivo;

D) si ribadisce quanto dedotto nel sesto motivo.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo, riguardante il reato di appropriazione indebita contestato al capo A, è del tutto generico e tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito che nel caso in esame, pronunciandosi sull’analogo motivo di appello (altrettanto generico), ha ineccepibilmente osservato che l’entità della somma di cui l’imputato si era appropriato ai danni del cugino B.E. M. del quale gestiva la posizione assicurativa risultava dalle dichiarazioni della persona offesa e dalla documentazione contabile relativa alla polizza vita allo stesso intestata e corrispondeva a quella indicata nell’interpretazione Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutatane delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il secondo motivo, riguardante il reato di truffo contestato al capo D, è generico e, comunque, manifestamente infondato avendo il giudice di merito dato adeguato conto – con corretti riferimenti agli elementi distintivi tra i reati truffa, appropriazione indebita ed insolvenza fraudolenta, anche attraverso puntuali richiami alla giurisprudenza di questa Corte – della qualificazione giuridica come truffe della condotta dell’imputato il quale aveva convinto B. M. a prestargli un’ingente somma di danaro facendogli credere, simulando contatti telefonici con una sovrintendente della Polizia di stato e con una dipendente della sede centrale delle Assicurazioni Generali, di essere solvibile in quanto avrebbe dovuto percepire la liquidazione dalla società assicuratrice. Tale specifica e dettagliata motivazione il ricorrente non prende nemmeno in considerazione, limitandola a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.

Analogamente generico e, comunque, tendente ad introdurre censure di merito inammissibili in questa sede deve ritmerai il terzo motivo, riguardante il nato di appropriazione indebita contestato al capo H limitatamente alla somma di Euro 5.000,00 che secondo il ricorrente sarebbe riferibile ad un prestito fiato dal cugino R.D. al padre Al.. Con argomentazione plausibile e logicamente coerente il giudice di appello ha osservato che al R. erano pervenute nel (OMISSIS) ben tre richieste di denaro, la prima (Euro 15.000,00) dal R. personalmente e le altre dal padre Al. il quale in occasione della seconda richiesta (Euro 5.000,00) e della terza richiesta aveva esplicitamente sollecitato il nipote ad aiutare il figlio A., facendo così intendere di essere una longa manus di quest’ultimo.

Il quarto motivo, avente ad oggetto i reati di minaccia, imbrattamento di cose altrui e violazione di domicilio contestati ai capi Q, R, S e commetti ai danni dell’allora suocera dell’imputato V.P., è generico e, comunque, fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa tede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.

Il quinto motivo generico e manifestamente infondato. Il giudice di appello ha condiviso la valutazione del giudice di primo grado, che aveva negato il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche "in considerazione sia detta gravità dette condotte per sistematicità, reiterazione, entità dei danni e rapporti con le persone offese, rispetto atte quali l’imputato ha approfittato detta fiducia instia nel tegame di parentela, nonchè della personalità dell’imputato stesso quale si desume dalla presenza di un precedente di natura specifica". A questo riguardo la Corte osserva che la sussistenza di circostanze attenuanti rilevanti ai sensi dell’art. 62 bis c.p. è oggetto di un giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle sole ragioni preponderanti della propria decisione, di talchè la stessa motivazione, purchè congrua e non contraddittoria, non può essere sindacala in cassazione neppure quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Cass. sez. 6, 24 settembre 2008 n.42688, Caridi; sez. 6, 4 dicembre 2003 n.7707, Anaclerio). Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass. sez. 6, 16 giugno 2010 n.34364, Giovine).

Quanto alla determinazione pena base in misura superiore al minimo edittale e agli aumenti per la continuazione è adeguata la valutazione di congruità contenuta nella sentenza impugnate con riferimento alla gravità della condotta.

Il sesto motivo è manifestamente infondato. Come rilevato dalla Corte territoriale, nella motivazione della sentenza di primo grado il calcolo della pena per il secondo reato continuato (riguardante i reati contestati ai capi Q, R ed S) è stato correttamente effettuato partendo dalla pena base di mesi quattro di reclusione per il più grave reato al capo S, operando l’aumento per la continuazione di mesi due di reclusione ed Euro 90,00 di multa e la diminuzione per il rito abbreviato. Nel dispositivo, in cui è indicata la diminuente per il rito, la pena per il suddetto reato continuato risulta indicata in mesi sei di reclusione (anzichè quattro, per la riduzione di un terzo ex art. 442 c.p.p.) ed Euro 60,00 di reclusione. Si tratte evidentemente di un errore materiale relativo alla pena indicata in dispositivo, palesemente rilevabile dall’esame della motivazione in cui si ricostruisce chiaramente ed inequivocabilmente il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena. La correzione dell’errore materiale, ove non si sia già provveduto, va rimessa al giudice di merito non potendo provvedervi, ai sensi dell’art. 130 c.p.p., comma 1, ult. parte, queste Corte che dichiara inammissibile l’impugnazione. Il settimo motivo pena base.

Il secondo motivo è manifestamente infondato.

La determinazione dell’aumento per la riconosciuta continuazione in relazione al primo reato continuato e stato operato dal giudice di primo grado sulla pena base indicata per il reato più grave, in maniera cumulativa per tutti i reati in continuazione solo per quanto riguarda la pena pecuniaria. Questa Corte ha avuto modo più volte di affermare, anche recentemente (Cass. sez. 5, 13 gennaio 2011 n.7164, De felice; sez. 2, 3 giugno 2010 n.32586, Ben Ali; sez. 1, 27 novembre 2005 n.3100, Amatrice; sez. 4 27 gennaio 2009 n.6853, Maciocco; sez. 2, 15 maggio 2008 n.23653, Assetiti; sez. 3, 17 settembre 2004 n. 47420, Cutarelli; sez. 3, 25 giugno 1999 n. 11302, Cascino), che, in tema di reato continuato, ai fini della determinazione della pena complessiva, l’aumento per continuazione operato sul reato più grave (e quindi sulla pena base) può essere determinato anche in termini cumulativi, senza che sia necessario indicare specificamente l’aumento di pena correlato a ciascun reato satellite, non previsto dalla vigente normativa. Non è infetti motivo di nullità, pur essendo evidente l’utilità di una puntuale indicazione in caso di applicazione di cause estintive dei reati o delle pene, l’omessa specificazione dell’aumento di pena per ogni singolo reato, una volta individuato il reato più grave, essendo il cumulo delle pene scindibile nel corso dell’esecuzione (Cass. sez. 2, 6 dicembre 2005 n.47165, Coluccini).

Quanto ai motivi nuovi va rilevato che oggetto di appello, in punto di responsabilità, erano esclusivamente i reati confortati ai capi A, D, H, P, Q, R, S ed anche nella motivazione della sentenza di appello si è dato atto che il gravame era limitato solo ad alcuni dei capi di imputazione per i quali il giudice di primo grado aveva emesso la sentenza di condanna appellata, tra cui non rientrano i reati (capi B, G, L, M) di cui il ricorrente con i motivi nuovi ha dedotto l’intervenuta estinzione per prescrizione. Il giudicato parziale sulla responsabilità in relazione a detti reati si è formato sin da quando la sentenza di primo grado non venne impugnata relativamente alla responsabilità (anche i motivi di appello si limitavano a censurare soltanto l’entità del trattamento sanzionatorio), con l’effetto che rirrevocabilità di questa parte della sentenza preclude l’operatività della prescrizione, causa estintiva queste mai maturata. Relativamente ai motivi nuovi contraddistinti dalle lettere B, C, d la Corte si riporta alle considerazioni formulate nell’esame del secondo, quarto e sesto motivo di ricorso.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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