Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28478

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 20 ottobre 2009 la Corte di appello di Catania confermava, quanto alla posizione dell’imputato C. (veniva invece dichiarata l’improcedibilità detrazione penale nei confronti del coimputato G.G., deceduto), la sentenza emessa il 22 giugno 2001 con la quale il C. era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di un’autovettura di provenienza furtiva recante i numeri di telaio e del motore e le targhe di altra autovettura dello stesso tipo di cui era venuto in possesso G.G., al quale era stato contestato il reato di riciclaggio. L’imputato, all’esito del giudizio di primo grado, era stato condannato alla pena di anni due di reclusione ed euro 2.000,00 di multo.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza o erronea applicazione degli artt. 648 e 712 c.p. e art. 192 c.p.p., con particolare riferimento all’elemento psicologico del reato di ricettazione in quanto l’entità del prezzo richiesto per la vendita dell’autovettura oggetto della contestata ricettazione corrispondeva a quelli normalmente praticati nel mancato dell’usato e, inoltre, il G. era di solito svolgere attività di compravendita di autovetture, per cui il C. – il quale aveva agito a suo dire occasionalmente come mediatore nella vendita aiutando il compratore Ge.Et. a trovare un finanziamento – nemmeno sotto il profilo del dolo eventuale poteva ritenersi consapevole della provenienza illecita del veicolo; la mancanza di adeguati controlli potrebbe al più far configurare a suo carico la contravvenzione di incauto acquisto;

2) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico dei dolo avendo il giudice di appello ritenuto "inverosimile ed evanescente" la versione difensiva senza tener conto delle doglianze formulate con i motivi di appello in cui venivano evidenziati specifici elementi di valutazione favorevoli alla tesi della buona fede dell’imputato (tra l’altro, il risarcimento del danno);

3) la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al verbale dell’udienza dibattimentale in data 22 giugno 2001 e, in particolare, delle dichiarazioni rese nel corso di detta udienza dal teste B., ispettore della P.S., e dallo stesso acquirente Ge. circa il ruolo di intermediario svolto dall’imputato, che sì era anche esposto accompagnando in banca il Ge. per la richiesta di fianziamento;

4) L’erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata pronuncia di improcedibilità dell’azione penale per intervenuta prescrizione del reato.

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito che nel caso in esame ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva dal ruolo svolto odia vicenda dal C., il quale, venuto a conoscenza dell’esigenza del Ge. di uno specifico tipo di autovettura, non si era limitato a metterlo in contatto con il G. ma si era interessato in prima persona della cessione accompagnandolo anche in banca per ottenere un finanziamento per l’acquisto dell’autoveicolo, senza alcun plausibile motivo considerando anche che la pretesa attività di intermediario non aveva alcun riscontro documentale in atti. Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione degli elementi indiziali che ha consentito una ricostruzione del fette esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiute dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il secondo motivo coinvolge questioni di mero finto ed è, comunque, manifestamente infondato. La Corte territoriale si è adeguata infatti al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo la quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecite della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2, 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2, 27 febbraio 1997 n.2436, Savic). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine site legittima acquisizione dell’autovettura sottoposta ad operazioni dirette ad occultarne la provenienza furtiva – nonostante la conduzione in prima persona delle trattative per l’acquisto del mezzo che l’imputato, titolare di un autosalone, aveva sostenuto, senza dimostrarlo, di aver fatto verificare da un suo meccanico di fiducia – si pone come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato (Cass. Sez.Un. 26 novembre 2009 n.12433, Nocera; sez. 1 17 giugno 2010 n.27548, Screti) l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.

Il terzo motivo è generico e, comunque, fondato su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nella sentenza impugnata con una valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità. Sostanzialmente il ricorrente insiste nel ribadire la propria versione difensiva proponendo alla Corte una rilettura, parziale, delle emergenze processuali improponibile in questa sede.

Il quarto motivo è manifestamente infondato. Come si desume dalla motivazione della sentenza di primo grado, che si integra con quella di segno conforme della sentenza di appello, l’autovettura oggetto della contestata ricettazione venne acquistala dal Ge., tramite il C., nel (OMISSIS) e deve, quindi, ritenersi che nello stesso periodo il C. abbia ricevuto il mezzo dal G. che aveva provveduto alla sostituzione delle targhe e all’alterazione dei dati identificativi del telaio e dei gruppo propulsore. Il termine massimo di prescrizione da applicarsi nel caso in esame è quello quindicennale (termine ordinario di dieci anni, aumentato della metà per effetto degli atti interrottivi) previsto dalla disciplina antecedente alla L. n. 251 del 2005, poichè alla data di entrata in vigore della predetta legge il procedimento era già pendente in grado di appello (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 393/2006) essendo stata la sentenza di primo grado emessa il 22 giugno 2001. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell’applicazione delle disposizioni transitorie di cui alla L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3, la pendenza del grado di appello, che rileva per escludere la retroattività delle norme sopravvenute più favorevoli, ha inizio con la pronuncia della sentenza di condanna di primo grado, che deve ritenersi intervenuta con la lettura del dispositivo (Cass. Sez.Un. 29 ottobre 2009 n.47008, D’Amato; sez. 5, 16 aprile 2009 n. 25470, Lala sez. 5, 16 gennaio 2009 n.7697, Vener; sez. 5, 5 dicembre 2008 n.2076, Serafini; sez. 6, 10 ottobre 2008 n.40976, Nobile; sez. 5, 19 giugno 2008 n. 28720, Rocca; sez. 6, 26 maggio 2008, n. 31702, Serafin). Ne consegue che il termine massimo di prescrizione nel caso di specie, risalendo il reato al (OMISSIS), non è ancora decorso.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione della questione dedotte, si stima equo determinare in Euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *