Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28475 Pene accessorie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

N.M. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Salerno in data 15 luglio 2010 che ha confermato la responsabilità del prevenuto in ordine al delitto continuato di ricettazione e commercio di numero 10 borse da donna con marchio falso (artt. 474 e 648 cpv. c.p.) ed ha disposto la pena accessoria della pubblicazione della sentenza ai sensi dell’art. 475 c.p., sanzione che era stata omessa dal primo giudice.

Il difensore del prevenuto deduce violazione di legge rilevando che la applicazione della sanzione della pena accessoria integra una "reformatio in peius" non consentita. Deduce ancora l’insussistenza del reato di cui all’art. 474 c.p. che tutela l’interesse del titolare del marchio registrato a non subire una confusione nella identificazione commerciale dei prodotti che nel caso concreto è insussistente in quanto i beni offerti in vendita in strada non sono certo confondibili con generi di lusso aventi una tipologia distributiva limitata a negozi di qualità. Rileva al riguardo essere illogico e immotivato il diniego ex art. 603 c.p.p., di una perizia volta ad accertare la grossolanità del marchio. Il primo motivo di ricorso deve essere rigettato in quanto la pubblicazione della sentenza è obbligatoriamente prevista dalla norma incriminatrice e, in quanto tale, non viola il divieto di "reformatio in peius" (Cass. 2, n. 10017 del 29.8.00, depositata 22.9.2000, rv. 216780; Cass. 3, n. 7843 del 27.5.98, rv. 211434).

Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Le Sezioni Unite della Corte hanno statuito che le fattispecie incriminatici di cui agli artt. 474 e 648 c.p. descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico e tra di loro non può configurarsi un rapporto di specialità (Cass. S.U. 7.6.01 n. 23427; ud. 9.5.01, rv. 218771). Il delitto di ricettazione è configurabile anche nell’ipotesi di acquisto o ricezione al fine di profitto di cose con segni contraffatti nella consapevolezza della avvenuta contraffazione, atteso che la cosa nella quale il falso segno è impresso e che con questo viene ad costituire una unica entità, è provento della condotta delittuosa di falsificazione di cui all’art. 473 c.p.. Il delitto di cui all’art. 474 c.p., tutela non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, segni distintivi della particolare qualità ed originalità dei prodotti in commercio. Non sussiste delitto impossibile per il solo fatto della grossolanità della contraffazione riconoscibile dall’acquirente per le particolari modalità di vendita (entità del prezzo e vendita in mercatini rionali ed ambulanti) in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione.

Integra il delitto di cui all’art. 474 c.p. (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi), la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio contraffatto; nè, a tal fine, ha rilievo la configurabilità della cosiddetta contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 c.p. tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere, come nel caso in esame, la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno (Cass. 5, 5.7.06 n. 235214, depositata 21.9.06, rv. 235214; Cass. 2, 8.11.01 n. 39863, ud. 2.10.01, rv. 220236; Cass. 2, 14.2.00 n. 13031, ud. 11.10.00, rv. 217506; Cass. 5, 5.3.99 n. 3028, ud. 15.1.99, rv.

212940).

Il delitto di cui all’art. 474 c.p.p., tutela non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede intesa come affidamento dei consumatori nei marchi, segni distintivi della particolare qualità ed originalità dei prodotti in commercio. Non sussiste delitto impossibile per il solo fatto della grossolanità della contraffazione riconoscibile dall’acquirente per le particolari modalità di vendita (entità del prezzo e vendita in mercatini rionali ed ambulanti) in quanto l’attitudine della falsificazione ad ingenerare confusione deve essere valutata non con riferimento al momento dell’acquisto, ma in relazione alla visione degli oggetti nella loro successiva utilizzazione (Cass. 8.11.01 n. 39863, ud.

2.10.01, rv. 220236; Cass. 2, 14.2.00 n. 13031, ud. 11.10.00, rv.

217506; Cass. 5, 5.399 n. 3028, ud. 15.1.99, rv. 212940).

Devono essere respinte le censure relative alla violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett d), per l’omessa ammissione di mezzi di prova. Considerato il carattere eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in tanto può essere censurato in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di "decidere allo stato degli atti", come previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 1. Ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento (come previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. A) e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello (Cass. 1, 28.6.99 n. 9151, depositata 16.7.99 rv. 213923).

Nella concreta fattispecie va confermata per le appena su esposte argomentazioni la inutilità dell’accertamento di grossolanità del marchio, risultando la qualità della merce dagli atti di sequestro.

L’impugnazione deve essere rigettata; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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