Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28474 Sospensione condizionale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.A. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Genova in data 15 luglio 2010 che ha confermato la responsabilità della prevenuta in ordine al delitto di appropriazione indebita della somma di Euro 170.000 percepita quale procuratrice speciale di C.F. per un atto di vendita di un immobile, somma che non consegnava al C. e ( art. 646 c.p., art. 61 c.p., nn. 7 e 11). I giudici di appello concedevano i benefici della sospensione condizionale e della non menzione in ordine alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 600 di multa irrogata dal primo giudice previa concessione di attenuanti generiche equivalenti. Il difensore della L. deduce violazione di legge e mancanza e contraddittorietà della motivazione avendo la prevenuta usato la somma per esserle stata donata dallo zio C.F. che conosceva le sue condizioni di difficoltà economica. Nega la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 11.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato risolvendosi in una censura all’apparato motivazionale della decisione sostenendo una valutazione dei fatti diversa da quella ricostruita dai giudici di merito. Al riguardo si ricorda che le S.U. della Corte (SU. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv. 207944, Dessimone). Deve pertanto ritenersi del tutto logica la decisione della corte territoriale che ha escluso la donazione essendo la diversa volontà del C. stata espressa con l’atto di querela in assenza di validi negozi giuridici espressione di volontà munifica.

Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. In tema di circostanze del reato, per la sussistenza della aggravante di abuso di relazioni di prestazione d’opera, non è necessario che il rapporto intercorra direttamente tra l’autore del fatto e la persona offesa, essendo sufficiente che l’agente si sia avvalso della esistenza di tale relazione, nel senso che la esistenza del rapporto di prestazione d’opera gli abbia dato l’occasione di commettere il reato in danno di altri soggetti, agevolandone l’esecuzione.

L’aggravante dell’abuso di prestazione d’opera implica un concetto più ampio di quello civilistico di "locazione d’opera", comprendendo tutti i casi nei quali, a qualunque titolo, taluno abbia prestato ad altri la propria opera; infatti, ciò che rileva è l’abuso della relazione fiduciaria da parte dell’autore, il quale profitta di una situazione di minore attenzione della vittima, determinata proprio dall’affidamento che questa ripone nell’opera dell’altro, per commettere un reato a suo danno Cass. 2, 23.9.05 n. 42352 depositata 23.11.05, rv. 232894; Cass. 5, 22.2.01 n. 24997 depositata 20.6.01, rv. 219460; Cass. 5, 1.09.1999 n. 10460, ud. 24.06.1999, rv. 214465).

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. d) e art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di Euro mille alla Cassa delle ammende.

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