Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28471 Attenuanti comuni generiche

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 13.7.2010 la Corte d’Appello di Venezia in parziale riforma della sentenza in data 15.4.2009 del Tribunale monocratico di Rovigo che aveva condannato L.X.L. del reato di estorsione in danno di L.X.; X.D., Z.J. e L.J., riconosciute all’imputato le circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena in anni 4 e mesi 6 di recl. ed Euro 1.200,00 di multa.

Ricorre per Cassazione il difensore dell’imputato deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:

1. violazione di legge – D.L. n. 195 del 2002. Contesta il ricorrente che la Corte territoriale ha dato al D.L. n. 195 del 2002 un significato diverso da quello effettivo. Sostiene che la norma non prevede infatti alcun ritiro della dichiarazione di emersione e neppure la revoca della emersione, come invece indicato in sentenza.

2. Mancata motivazione sul "2^ motivo d’appello con riguardo all’applicazione dell’art. 49 c.p., comma 2. 3. Illogicità della motivazione ed inosservanza del D.Lgs. n. 286 del 1998. Evidenzia come le leggi ed i contratti collettivi non possano trovare applicazione nei confronti dei clandestini.

4. Violazione ed errata applicazione del D.L. n. 195 del 2002, art. 1, comma 6. Evidenzia come dalla norma indicata debba trarsi che l’interpretazione che le richieste e la dazione di somme non dovute non sono punibili se si presenta la domanda di regolarizzazione che nel caso in esame è stata presentata.

5. Illogicità manifesta, contraddittorietà ed errore della motivazione sul punto del preteso licenziamento considerato che furono i quattro dipendenti a lasciare il lavoro. A tal fine allega trascrizione della resa all’udienza 26.11.2008 dal teste L.J..

6. Erronea applicazione del D.L. n. 192 del 2002, art. 2, comma 9.

Sottolinea il ricorrente come la richiesta di Euro 3000,00 fatta dal datore di lavoro e trattenuta in busta paga al lavoratore è consentita proprio dal D.L. n. 192 del 2002, comma 2, considerato che è pacifico che l’imputato abbia fornito vitto e alloggio alle parti offese.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacchè i motivi in esso dedotti sono manifestamente infondati e ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare, per di più, non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità. La Corte territoriale ha, infatti, compiutamente esaminato le doglianze difensive ed ha dato conto del proprio convincimento sulla base di tutti gli elementi a sua disposizione, esaurientemente argomentando circa la pronuncia di responsabilità del L.X.L.. Le norme sono infatti state correttamente interpretate e la Corte distrettuale ha dato conto, con argomentazione coerente e priva di vizi logici della sussistenza del reato contestato, sottolineando come le vittime si siano trovate di fronte all’alternativa di subire le avide pretese del ricorrente, pena la revoca della dichiarazione necessaria a portare a termine la procedura di regolarizzazione con il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di lavoro e pena la perdita del posto di lavoro.

Le argomentazioni esposte nei motivi in esame si risolvono in generiche censure che tendono unicamente a prospettare una diversa ed alternativa lettura dei fatti di causa, ma che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità a fronte di una sentenza, come quella impugnata, che appare congruamente e coerentemente motivata con riguardo a tutte le questioni sollevate dalla difesa.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma , che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente, al pagamento delle spese processuali e di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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