Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 13-04-2011) 19-07-2011, n. 28467

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 7 maggio 2010 la Corte di appello di Firenze riformava la sentenza emessa il 29 giugno 2006 dal Tribunale di Firenze con la quale C.A. era stato dichiarato colpevole dei reati di estorsione, lesioni personali e favoreggiamento di immigrazione clandestina (D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5), reati accertati in (OMISSIS), ed era stato condannato, ritenuta la continuazione e con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di anni tre, mesi nove di reclusione ed Euro 1.000,00 di molte. La Corte territoriale dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati di lesioni personali e di favoreggiamento dell’immigrazione calndestina, estinti per intervenuta prescrizione, e rideterminava la pena per il residuo reato di estorsione in anni tre, mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 546 c.p.p., comma 1, e lett. e) e art. 604 c.p.p., comma 5 in quanto la sentenza di primo grado risultava costituita solo dall’intestazione e dal dispositivo emesso in udienza, sicchè doveva ritenersi nulla ai sensi dell’art. 125 c.p.p., mentre il giudice di appello si era sostituito al giudice di primo grado redigendo la motivazione in sua vece e così privando limputato di un grado di giudizio;

2) la violazione di legge e il vizio della motivazione essendosi limitato il giudice di appello a recepire la versione dei fatti della persona offesa, la cui attendibilità avrebbe dovuto essere attentamente riscontrata trattandosi di soggetto portatore di interessi contrastanti con quelli dell’imputato; inidoneo sarebbe il riferimento alle lesioni subite dalla persona offesa quale elemento di riscontro alle dichiarazioni accusatorie; la motivazione sarebbe comunque carente in ordine al reale rapporto di lavoro subordinato intercorso tra imputato (datore di lavoro) e persona offesa (lavoratore dipendente, immigrato clandestino), alla sussistenza di un credito della persona offesa per prestazioni lavorative, all’idoneità delle minacce, alla configurabilità del mero tentativo, alla configurabilità dell’elemento psicologico;

3) l’erronea applicazione dell’art. 629 c.p. in quanto la qualificazione giuridica del fatto come estorsione sarebbe incongrua in mancanza di prova sull’intenzione dell’imputato di sottrarsi con le minacce al pagamento del credito di Euro 1,900,00 vantato dalla persona offesa e sulla consapevolezza, pertanto, dell’ingiusto profitto.

Il primo motivo di ricorso è fondato.

Nel caso in esame la sentenza di primo grado, essendo deceduto il giudice che l’aveva emessa, per disposizione del presidente ff. del Tribunale di Firenze in data 27 settembre 2006, era stata pubblicata con la sola intestazione e con il dispositivo emesso in udienza. La Corte di appello di Firenze, pronunciandosi sull’appello proposto nell’interesse dell’imputato che deduceva come unico motivo la nullità della sentenza, ha ritenuto che la mancanza di motivazione della sentenza non rientrasse nei casi di nullità tassativamente indicati dall’art. 604 cp.p. per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo stesso provvedere in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche la motivazione mancante.

Questo Collegio ritiene invece che – come già affermato anche di recente da questa sezione (Cass. sez. 5, 5 aprile 2004 n.21659, P.G. in proc. Covello; sez. 5, 23 settembre 2004 n. 42379, PG in proc. Cozzolino; sez. 2, 9 aprile 2008 n. 16829, P.G. in proc. Bloise; sez. 2, 30 novembre 2010 n.44948. Carrozza)- che sia nulla la sentenza del giudice monocratico del tutto priva di motivazione perchè costituita, oltre che dall’intestazione, dal solo dispositivo letto in udienza. La nullità deriva testualmente dall’art. 125 c.p.p., comma 3, il quale prevede "a pena di nullità" h motivazione delle sentenze e delle ordinanze ed è richiamato espressamente dall’art. 546 c.p.p., comma 3. Nè sembra possa farsi applicazione nel caso qui considerato del principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 27 novembre 2008 n.3287 (che, in caso di mancanza assoluta della motivazione della sentenza di primo grado, riconosce al giudice di appello il potere di provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante, nel rispetto dei limiti del devoluto e del divieto di reformatio in peius, utilizzando le prove già legittimamente acquisite nel precedente grado di giudizio nel contraddittorio delle parti), che riguarda il caso in cui con l’appello sia stato comunque devoluto un tema di merito al giudice del gravame. Nel caso di specie l’atto di appello era limitato invece alla dedotta nullità per mancanza assoluta della motivazione e nessun tema di merito era stato sottoposto al giudice del gravame, cosi da investirlo dei correlativi poteri di scrutinio della decisione di primo grado. Ritiene pertanto questo Collegio che con la sentenza impugnata il giudice di appello, sostituendosi al primo giudice e redigendo la motivazione in sua vece, abbia sostanzialmente privato l’imputato, che nessuna deduzione di merito aveva svolto nè poteva razionalmente svolgere in mancanza dell’esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione era fondata, di un grado di giudizio.

Vanno pertanto annullate sia la sentenza di primo grado che quella di appello e va disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di Finanze per nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla la sentenza di primo grado e quella impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Firenze per nuovo giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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