Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-04-2011) 19-07-2011, n. 28464

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 12.1.2010, il Tribunale di Palermo dichiarò F.V. responsabile del reato di cui all’art. 640 cpv. c.p. e lo condannò alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 600,00 di multa.

Avverso tale pronunzia propose gravame l’imputato, e la Corte d’Appello di Palermo, con sentenza del 23.9.2010, confermava la decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione l’imputato, deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per errata interpretazione della legge penale mancanza, illogicità e contraddittorietà delle motivazioni in relazione agli artt. 125 e 192 c.p.p. – art. 640 c.p. e art. 337 c.p.p., in quanto dalla querela non risulta nessuna indicazione comprovante la qualità di rappresentante legale in capo a S.O., qualificatasi unicamente direttore dell’agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia; la querela è inoltre tardiva, e la sentenza è carente di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente per il reato contestato.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato; la dottoressa S.O., direttore dell’agenzia (OMISSIS) del Banco di Sicilia, nella sua qualità di institore, era infatti legittimata a proporre querela, per i fatti – reato commessi in danno alla filiale a cui era preposta.

Rileva a riguardo il Collegio che l’attività posta in essere dalle filiali o succursali di un istituto di credito – le quali sono prive di personalità giuridica, come risultante dall’espressa indicazione dell’art. 1 della direttiva C.E.E. n. 780 del 12 dicembre 1977, esplicitamente ribadita dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 1 – va sempre imputata alla persona giuridica di cui quelle filiali o succursali costituiscono una emanazione, e che ai dirigenti ad esse preposti va, di regola, riconosciuta la qualità di institore, ai sensi dell’art. 2203 c.c., comma 2. Ne consegue che i menzionati dirigenti possono agire o resistere in giudizio, in nome della banca preponente, per qualsiasi rapporto derivante da atti compiuti nella filiale o succursale cui sono preposti, così come previsto dall’art. 2204 c.c., comma 2. (cfr. Cass.Civ., Sez. 3, sent. n. 20425/2008 Rv.

604901; Cass. Civ., Sez. 1, sent.n. 1819/2000), che attribuisce, a chi materialmente gestisce un ramo di impresa, il potere di compiere tutti gli atti inerenti l’esercizio di quella impresa. Tra gli atti che il direttore può compiere, va poi certamente compreso anche il diritto di sporgere querela per fatti inerenti, come nel caso concreto, la filiale cui il direttore è, anche temporaneamente, preposto (cfr. Cass.Sez. 2, sent. n. 1206/2008 Rv. 242714; Sez. 5, sent. n. 34009/2010 Rv. 248411; Sez. 4, sent. n. 44842/2010 Rv.

249068, la quale, pur escludendo la legittimazione a proporre querela nel caso concreto, ha ritenuto la legittimazione dell’institore a proporre querela in relazione a fatti inerenti la filiale cui è temporaneamente preposto).

Nella fattispecie, trova quindi applicazione l’art. 337 c.p.p., comma 3, che – nei casi in cui la dichiarazione sia proposta dal legale rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione – si limita a richiedere l’indicazione della fonte dei poteri di rappresentanza da parte del soggetto che la presenta e non già la prova della veridicità delle dichiarazioni di quest’ultimo sul punto; tale veridicità pertanto deve presumersi fino a contraria dimostrazione e compete a chi la nega dimostrare la mancanza della (asserita) rappresentanza (v. Cass.Sez. 5, sent.n. 19368/2006 Rv, 234539).

Sul punto, questa Suprema Corte ha più volte ribadito il principio, condiviso dal Collegio, che per la querela proposta dal legale rappresentante di una persona giuridica, di un ente o di un’associazione, è sufficiente che il querelante si qualifichi come soggetto cui tale qualità competa "ex lege", essendo implicito ed automatico il riferimento alla norma giuridica quale fonte (v. Cass. Sez. 5, sent. n. 7599/1999 – Rv. 213789; Sez. 6, sent. n. 10274/2000 – Rv. 217647; Sez. 2, sent. n. 32970/2002 – Rv. 222582).

Si osserva, infine, che per il principio di tassatività delle nullità, l’omessa indicazione, nella querela proposta dal legale rappresentante della persona giuridica o dell’ente, della fonte dei poteri di rappresentanza, non ne determina comunque la nullità perchè la previsione dell’adempimento, di cui all’art. 337 c.p.p., comma 3, non è assistita da sanzioni processuali, (cfr. Sez. 2, Ord. n. 4055/2006 – Rv. 233343).

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver respinto l’eccezione sollevata dalla difesa dell’odierno ricorrente in ordine alla tardività della querela sporta il 24.1.2003, a fronte della generica indicazione del momento (ottobre 2002), in cui si sarebbe avuta conoscenza della presunta commissione dell’illecito, rilevando che "l’espletato dibattimento non ha consentito di accertare il momento della commissione del presunto reato, nè tantomeno il momento in cui la persona offesa ha avuto contezza della perpetrazione dello stesso, pertanto, qualora l’illecito in questione fosse stato commesso nei primissimi giorni del mese di ottobre, la querela è certamente tardiva".

Anche tale motivo è manifestamente infondato, in quanto l’onere della prova dell’intempestività della querela incombe a chi lo deduce, e l’eventuale situazione di incertezza va risolta a favore del querelante (cfr. Cass.Sez. 6, sent. n. 35122/2003 Rv. 226327).

Con l’ultimo motivo, vengono riproposte in maniera generica le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame in punto responsabilità; i motivi pertanto vanno considerati non specifici, non solo per la loro assoluta indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate della decisione impugnata (e correttamente svolte "per relationem", per la genericità del motivo d’appello), e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità, conducente, ai sensi dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), nell’inammissibilità (Cass.Sez. 4, n.5191/2000 Rv.216473).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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