Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-04-2011) 19-07-2011, n. 28458 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di indagini riguardanti affari immobiliari illeciti nel settore turistico-ricreativo in territorio di (OMISSIS), località prospiciente il lago (OMISSIS), in una zona un tempo adibita a Preventorio sanitario di proprietà ASL (OMISSIS) del VCO, la Procura di Verbania formulava ipotesi di reato di corruzione – implicanti la complicità dell’imprenditore B.A. e del suo commercialista di fiducia P.D. – dell’Assessore Regionale al Turismo Sport Parchi della Regione Piemonte nel quinquennio 2000-2005, R.E. e del Sindaco di Cannobio, A.G..

All’udienza preliminare in data 19.1.2005, alcuni imputati optavano per il rito abbreviato; con sentenza del 1.3.2005 il Gup presso il Tribunale di Verbania dichiarava non luogo a procedere nei confronti di alcuni imputati, tra cui B.A. e P.D..

Impugnata la sentenza da parte del pubblico ministero, la corte d’Appello di Torino con sentenza del 22.2.2008, in parziale accoglimento dell’appello proposto, confermava la dichiarazione di non luogo a procedere contro P. per il reato di corruzione di R., e disponeva il rinvio a giudizio davanti al Tribunale di Verbania di P. per i restanti episodi di corruzione di cui al capo b) e di P. e B. per il concorso nel reato di truffa aggravata sub e).

Con sentenza del 21.1.2009, il Tribunale di Verbania dichiarò B. A. responsabile del reato di cui all’art. 640 bis c.p. (truffa aggravata per ottenere, con falsa documentazione, contributi e finanziamenti dalla Regione Piemonte, in particolare, chiedendo un doppio finanziamento oltre quello già ottenuto in spregio alla normativa regionale (L.R. N. 18 del 1999), e ottenendo da Finpiemonte Euro 1.000.000, presentando un preventivo falsificato), e P. D. responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 110, 319, e 321 c.p. 110, 640 bis c.p.; condannò, quindi, il B. alla pena di anni due di reclusione e il P. – unificati i reati sotto il vincolo della continuazione – alla pena di anni tre di reclusione ed entrambi al risarcimento dei danni in favore del Comune di Cannobio e della Regione Piemonte.

Avverso tale pronunzia proposero gravame i difensori degli imputati;

all’udienza dibattimentale davanti alla Corte d’Appello di Torino del 10.8.2010, il Procuratore Generale produceva – e la Corte d’Appello, sul consenso delle parti, ne ammetteva la produzione – la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 28.11.2007, divenuta irrevocabile il 15.1.2010, nei confronti di R.E., C. G. e P.W. relativa ai reati per fatti di corruzione in concorso finalizzati a far ottenere a B.A. finanziamenti regionali per la costruzione di un complesso turistico alberghiero denominato "(OMISSIS)" in territorio di (OMISSIS) in zone non edificabili, e di truffa aggravata relativa alla falsa documentazione per contributi e finanziamenti della regione Piemonte, e in particolare alla richiesta di un doppio finanziamento – oltre quello già ricevuto – in spregio alla normativa regionale, di euro un milione dalla Finpiemonte, ottenuto presentando un preventivo falsificato.

Deceduto nelle more del giudizio d’appello P.D. – la Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 18.5.2010, confermava la decisione di primo grado nei confronti del solo B.A..

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo: 1) la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. c, per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità; 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla sussistenza del reato, alle aggravanti, al giudizio di responsabilità con riferimento in particolare all’elemento psicologico del reato e alla determinazione della pena. Rileva il difensore che la Corte d’Appello di Torino ha ritenuto provato il fatto che la richiesta di contributo avanzata nel 2001 avesse inclusa la enunciazione della voce "arredi", limitandosi a richiamare, in motivazione, la sentenza della Corte d’Appello di Torino del 28.11.2007, con la quale il R. era stato condannato in concorso con il B. nella truffa aggravata di cui al capo e). La Corte ha omesso, però, di considerare che la domanda di contributo pubblico in questione non comprendeva oggettivamente gli "arredi", la domanda non era corredata dagli elaborati e, in genere, dagli allegati previsti dal bando con riferimento agli arredamenti;

l’imputato ha poi agito in buona fede. Se si considera che, secondo l’assunto accusatorio, l’imputato era sponsorizzato e comunque aiutato dall’assessore R., che è l’autore della legge regionale 18/99, non si comprende perchè egli avrebbe tentato di ottenere con una truffa complessa e – del resto impossibile da celare – le stesse agevolazioni che avrebbe potuto conseguire legittimamente. E’ stata poi acquisita la comunicazione con la quale la Regione informava la "(OMISSIS)" dell’esito positivo della richiesta del contributo; dall’analisi della stessa si è potuto constatare come vi sia solo l’indicazione della somma ammessa al contributo, che è significativamente più bassa di quella richiesta. E’ agevole osservare che quand’anche l’imputato avesse potuto immaginare che la Regione avrebbe stralciato la spesa indicata per l’acquisto area, e perfino se di ciò fosse stato certo, ben avrebbe potuto comunque ritenere che, oltre alla spesa per l’acquisto area dovesse essere stralciata anche la spesa per gli arredi; ciò che comunque è certo è che nessuno nel marzo 2002 avrebbe mai potuto "indovinare" il contenuto della scheda di valutazione n. 65, in quanto "del tutto approssimativo, compiuto senza attenzione e non privo di molti errori". Esaminando poi la domanda da un punto di vista oggettivo e indipendente da cosa mentalmente pensasse il B., non può concludersi che: a) la domanda di contributo pubblico ex L. n. 18 del 1999, non comprendeva gli arredi; b) in ogni caso la detta domanda non era corredata dagli elaborati e, in genere, dagli allegati previsti dal bando con riferimento agli arredamenti.

Ne consegue l’inesistenza oggettiva della duplice richiesta di contributo/finanziamento per gli stessi beni (arredi), e quindi l’insussistenza del reato.

Chiede pertanto l’annullamento della sentenza.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo, intitolato: 1) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e 2) violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per erronea applicazione della legge penale e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il ricorrente ha invero dedotto vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del reato, alla ritenuta responsabilità del B., sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo, e alla determinazione della pena, attesa la carenza ed illogicità delle argomentazioni al riguardo sviluppate.

La censura è del tutto inammissibile posto che nel ricorso si muovono non già precise contestazioni di illogicità argomentativa, ma solo doglianze di merito, non condividendosi dal ricorrente le conclusioni attinte ed anzi proponendosi versioni più persuasive di quelle dispiegate nella sentenza impugnata. Nella sostanza, il ricorrente ha quindi svolto ragioni che costituiscono una critica del logico apprezzamento delle prove fatto dal giudice di appello con la finalità di ottenere una nuova valutazione delle prove stesse; e ciò non è consentito in questa sede.

Alla Corte di Cassazione è normativamente precluso la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativi che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è geneticamente informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Cass. S.U., n. 12/31.5.2000 Rv. 216260).

I limiti del sindacato della Corte non paiono mutati neppure a seguito della nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), che – in ragione delle modifiche apportate dalla L. n. 46 del 2006, art. 8 – consentendo il riferimento agli "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame" per la deduzione dei vizi di motivazione, riguarda anche gli atti a contenuto probatorio ed introduce un nuovo vizio definibile come "travisamento della prova", consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate però dalla necessità che il dato probatorio, travisato o omesso, abbia il carattere di decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica (Cass. Sez. 2, 13994/2006; Sez. 2, 45256/2007 Rv. 238515). Resta fermo, in tal caso, che è a carico del ricorrente l’onere di specifica indicazione di tali atti e di illustrazione della necessità del loro esame ai fini della decisione, ovvero, per il caso in cui l’esame sia stato compiuto, della manifesta illogicità o contraddittorietà del risultato raggiunto.

Nel fattispecie, va poi ricordato che ci si trova dinanzi ad una "doppia conforme" e cioè ad una doppia pronuncia di eguale segno, e pertanto il vizio di "travisamento della prova", di cui alla lettera e) come modificato dalla L. n. 46 del 2006, può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione, nella fattispecie mancante) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, "non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del "devolutum" con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice" (v. Cass. 4, sez. 4, sent. n. 19710/2009 Rv. 243636; Cass., n. 5223/07, Rv.

236130).

La motivazione della sentenza impugnata deve poi necessariamente essere integrata con quella, conforme nella ricostruzione dei fatti, di primo grado, che, nelle attente pagine riservate al reato di truffa aggravata di cui al capo E), ha descritto in maniera analitica tutti i passaggi della vicenda a partire da due dati pacificamente acquisiti in atti: 1) la Residenza Patrizia srl ha beneficiato del finanziamento regionale ex L.R. n. 18 del 1999 anche per la voce "arredi" a seguito della domanda, pervenuta in Regione il 26.4.2001, predisposta dal geom. M. su incarico del B. e da questi sottoscritta, con conteggi analitici redatti dal P. circa il contributo massimo concedibile anche per la voce "arredi"; 2) a seguito della domanda di contributo Docup del 22.1.2003 con allegato un preventivo falso per spese di arredamento, in data 11.6.2004, è stato accreditato sul conto intestato a Residenza Patrizia srl la somma complessiva di Euro 1.000.000. A corredo delle affermazioni che "l’importo relativo alla voce "arredi" è stato inserito dal B. (materialmente dal M.) e dal P. affinchè venisse calcolato ai fini dell’erogazione del contributo Rionale ex L.R. 18/99, come puntualmente avvenuto", e che il B. era consapevole del finanziamento erogato dalla Regione per gli arredi e del divieto di cumulo dei finanziamenti in questione, il Tribunale ha quindi indicato le numerose prove documentali e narrative acquisite nel dibattimento; in particolare, la scheda tecnica allegata al rapporto di valutazione istruttoria (dalla quale emerge con chiarezza che la voce "tagliata" all’atto dell’erogazione del finanziamento a fondo perduto non fu quella degli "arredi" bensì quella relativo all’acquisto del terreno in quanto non documentato; e, infatti, il B. ha acquistato il terreno in data 6.11.2001 e quindi in epoca successiva alla presentazione della domanda di finanziamento a fondo perduto ex L. n. 18 del 1999 pervenuta in Regione il 26.4.2001), il "report" finanziario datato 14.1.2002 sequestrato presso l’Ufficio di P.A., relativo alla Residenza Patrizia s.r.l., redatto da funzionario dell’Istituto di Credito (con annotazione circa il costo degli arredi che "secondo il cliente dovrebbe essere coperto con il contributo della Regione Piemonte"), le dichiarazioni del teste D.P., all’epoca Direttore dell’Assessorato al Turismo presso la Regione Piemonte (il quale ha riferito che l’Assessore R.E. il 12.7.2004 gli chiese di inserire in una relazione su "Villa Patrizia" srl, una integrazione/postilla attestante il non inserimento delle spese "di arredamento" nella domanda della società nella procedura ex L.R. n. 18 del 1999), le dichiarazioni del teste D.Q., all’epoca dirigente responsabile della Finpiemonte (il quale ha riferito che, dopo la notifica del provvedimento di sequestro per il dossier Docup della società Villa Patrizia srl, solo riprendendo più volte anche la pratica relativa alla domanda di finanziamento ex L.R. n. 18 del 1999 emerse l’evidenza della sovrapposizione sotto i duplice profilo del soggetto istante e dell’oggetto (gli arredi) del finanziamento), la contraffazione del preventivo Novapan srl., la documentazione rinvenuta dalla guardia di Finanza occultata nel vano ruota di scorta del C., tra cui una copia piegata nel mezzo e racchiusa in una busta indirizzata al Dott. R. e mittente " B.A.", messaggio di cui al fax 25.6.2004 (v. pagg. 41-69).

Tanto premesso, rileva il Collegio che la Corte territoriale ha risposto, pur succintamente, a tutti i motivi d’appello, aventi ad oggetto questioni peraltro a lungo dibattute nel giudizio di primo grado e ampiamente trattate nella sentenza del Tribunale di Verbania, e che la motivazione della sentenza impugnata non denota alcun deficit valutativo e appare, poi, coerente e rispondente agli elementi presi in considerazione.

La Corte territoriale, richiamata la sentenza irrevocabile acquisita ai sensi dell’art. 238 bis c.p.p., e i fatti in essa accertati, e rammentato che il preventivo Novapan emesso su Residenza Patrizia fu contraffatto al computer e ne furono trovati tre esemplari (uno presso lo studio dei commercialisti Ci. – P., uno sequestrato al C. rinvenuto nell’auto da lui usata, e intestata al R., nascosto all’interno del vano contenente il pneumatico di scorta, uno presso Eurocons società di consulenza interpellata per ottenere finanziamenti regionali alle piccole e medie imprese) ha quindi rilevate che la spiegazione di una "truffa così cervellotica", come definita dalla difesa, è data dall’importanza del R. e dalla consapevolezza di poter superare le remore burocratiche proprio per la posizione di vertice del medesimo nella struttura pubblica che avrebbe deciso quella elargizione (v. pagg.4-6 della sentenza impugnata), e che la pienezza del concorso tra B. e R. è anche rappresentato dalla constatazione che, all’arrivo del denaro elargito ex Docup a B., costui emetteva assegni per più di 100.000 Euro a favore della CRS, la società del R..

Considerato che nella giurisprudenza di questa Corte si e andata consolidando l’affermazione secondo la quale, ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio e del raggiro deve essere valutata in concreto, ossia con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto ed alle modalità esecutive dello stesso; con la conseguenza che "la truffa va ravvisata solo ove l’ente erogante sia stato in concreto "circuito" nella valutazione di elementi attestativi o certificativi artificiosamente decettivi" (v. Cass. Sez. U, sentenza n. 7537/2010 Rv. 249104), e che le sentenze divenute irrevocabili, acquisite ai sensi dell’art. 238 bis cod. proc. pen., costituiscono prova dei fatti considerati come eventi storici (v. Cass. Sez. 1, sent. n. 11488/2010 Rv. 246778), osserva il Collegio che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto, sulla scorta delle risultanze processuali sopra indicate e dei fatti storici descritti nella sentenza acquisita, la sussistenza del reato di truffa aggravata (per la presenza di un "quid pluris" di natura fraudolenta, consistente anche nella produzione di documentazione falsa, e da cui è derivata l’induzione in errore della struttura pubblica competente all’elargizione del finanziamento), e la responsabilità del B. in ordine al reato in questione, emergendo chiaramente dalle risultanze medesime sia la idoneità della documentazione allegata alla prima domanda di finanziamento per la voce "arredi" (planimetria dell’immobile e la stima dei costi in computo metrice), che la piena consapevolezza da parte dell’imputato delle circostanze che la voce in questione era stata assentita e liquidata, che vi era divieto di cumulo, che l’attestazione di non aver in precedenza beneficiato di altri finanziamenti per lo stesso capitolo di spesa "arredi" era mendace, che il preventivo Movapan allegato alla domanda di finanziamento era falso. Per quanto riguarda poi le censure in ordine al trattamento sanzionatorio, rileva il Collegio che con motivazione adeguata la Corte ha ritenuto che l’entità della pena inflitta dal primo giudice appare adeguata alla gravità dei fatti ed alla personalità dell’imputato. A ciò aggiungasi che, a fronte di un’ampia motivazione del Tribunale in ordine al diniego delle attenuanti generiche e alla determinazione della pena (v.pagg. 69-70 della sentenza di primo grado), l’ottavo motivo d’appello del 27.4.2009, concernente la pena, è stato trattato in maniera del tutto generica, essendosi limitato l’appellante a chiedere l’elisione della ritenuta aggravante o, in subordine, il contenimento nei minimi dell’aumento conseguente a tale aggravante, peraltro da bilanciarsi con le attenuanti generiche prevalenti, e rinvenibili nella peculiarità della vicenda e nell’evidente minimo grado dell’intensità del dolo.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle Ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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