Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-04-2011) 19-07-2011, n. 28484

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17.9.2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose la custodia cautelare di P.L., S.R., Pa.Do., M. G. e C.G., indagati per il reati di associazione a delinquere finalizzata a truffe immobiliari aggravate dal danno patrimoniale di rilevante gravità.

Avverso tale provvedimento gli indagati proposero istanza di riesame, e il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza in data 11.10.2010, confermava la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di P.L..

Ricorrono per cassazione i difensori dell’indagato deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 416 c.p., in assenza di una concreta struttura operativa, e avendo singolarmente ritenuto il Tribunale l’esistenza di un’associazione asimmetrica dove vi sono alcuni ( P. e le altre persone raggiunte dal provvedimento custodiale) responsabili (con compiti e ruoli non definiti) e altri ( U., V.) inattendibili ai quali nulla viene contestato; violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 640 c.p. essendo del tutti insussistenti i reati scopo dell’associazione (truffe immobiliari); violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e) per erronea applicazione della legge penale in riferimento all’art. 274 c.p.p. alle esigenze cautelari, e al pericolo di reiterazione nel reato.

Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.

All’udienza viene quindi prodotta sentenza in data 15.10.2010 del Tribunale di Napoli in composizione monocratica, che ha assolto P.L. dal reato di truffa.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e va rigettato.

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia ritenuto la sussistenza della ipotizzata associazione a delinquere, omettendo di individuare gli elementi caratterizzanti il reato in questione, e ritenendo l’"affectio societatis" tra persone in chiaro conflitto di interesse, pur avendo espressamente affermato "la totale inutilizzabilità ed inattendibilità delle dichiarazioni rese da U.P. e V.M.".

La censura è infondata.

Il Tribunale, dopo aver ritenuto – a suo parere – inutilizzabili (e non inattendibili) le dichiarazioni di U.P. e V. M. (v.pagg.5 – 6 del provvedimento impugnato), in quanto rese in violazione dell’art. 63 c.p.p., ha quindi illustrato con ampiezza di argomentazioni tutte le altre numerose fonti di prova (v.pagg.6 – 19 del provvedimento impugnato) utilizzabili, e dalle quali – attraverso lo sviluppo delle investigazioni svolte dalla polizia giudiziaria – è stato possibile appurare con certezza l’esistenza dell’associazione a delinquere, identificarne i soggetti coinvolti ed individuarne i ruoli, ricostruendo con precisione le varie fasi in cui si articolava l’attività criminale, realizzata attraverso la costituzione di società sostanzialmente fittizie, gli stretti collegamenti tra tutti i consociati, un serrato procacciamento di affari realizzato inizialmente per iniziativa del P. o del S. e poi sviluppatosi rapidamente, la prospettazione da parte del venditore della tipologia dell’affare da concludere attuata secondo modalità del tutto seriali, la stipula di scritture private mediante la sottoscrizione da parte del cliente di moduli prestampati dalle denominazioni più varie e generiche con contestuale versamento di una somma a titolo di acconto. Il Tribunale ha, poi, rilevato che le dichiarazioni delle persone offese, credibili e attendibili, si confortano tra di loro e hanno trovato ampio riscontro, non solo nelle dichiarazioni dei dipendenti delle società, ma anche nella copiosa documentazione sequestrata e nelle indagini a riguardo della Guardia di Finanza; sotto il profilo della credibilità soggettiva, è stato evidenziato che le varie persone offese non risultano aver preso parte alle condotte illecite realizzate dai sodali, e "se alcuni di loro (si pensi a G.B.) si sono attivati a diffondere la notizia tra amici e parenti, o hanno investito nel "giro" varie centinaia di migliaia di euro, il loro ruolo non risulta essersi trasformato nè in procacciatori di affari per conto del gruppo capeggiato da P. e S., nè in soci di fatto di quest’ultimi (come è invece successo per M., U. e V.), ragion per cui la loro posizione può essere valutata alla stregua dei canoni fissati per la persona offesa" (v.pag. 9 del provvedimento impugnato).

L’associazione viene quindi delineata in tutti i suoi elementi costitutivi (accordo, programma, strutture, mezzi, commissione di un numero indeterminato di reati), e sono altresì indicati i ruoli che nel tempo hanno assunto i sodali, emergendo dalle fonti di prova dichiarativa quale era la strategia del gruppo, ossia di fare in modo che i contratti venissero conclusi sempre dalle stesse persone (principalmente P. e S.), con l’ulteriore appoggio del C., pronto ad intervenire per tacitare i clienti, presenziando in qualità di titolare delle società lussemburghesi che fungevano da specchietto per le allodole. E anche se i singoli consociati avevano un proprio ruolo all’interno della compagine delinquenziali, tutti loro hanno agito in sinergia e in base ad una strategia comune, come dimostrano chiaramente la creazione di società fittizie (tutte con le medesime caratteristiche in termini di vaghezza dell’oggetto sociale e di sostanziale in operatività), la similitudine dei contratti, la fitta rete di contatti, il fronte compatto tutte le volte che era necessario tacitare i clienti (v.pagg.21-26 dell’ordinanza impugnata).

Per quanto riguarda il ruolo primario del P., evidenziato dalle dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti e dagli stessi indagati in sede di interrogatorio, sono quindi indicati come significativi i riscontri in sede di perquisizione e sequestri da cui emerge una fitta rete di contatti e rapporti niente affatto limitata, o episodica, risalendo essa al 2005 (anno in cui inizia il sodalizio tra P., C. e S.), e continuando senza soluzione di continuità nel tempo con l’adesione di altri associati (v.pag.24 dell’ordinanza impugnata).

Con il secondo e terzo motivo, solo formalmente vengono evocati vizi di legittimità; in concreto le doglianze (circa l’insussistenza dei reati fine e l’assenza di esigenze cautelari) sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una inammissibile rivalutazione del merito delle statuizioni del Tribunale del riesame, statuizioni, peraltro, operate con argomenti esaurienti e privi di vizi logici sia sul punto della sussistenza dei reati fine (in considerazione degli artifizi e raggiri posti in essere e che hanno indotto in errore i clienti sulla bontà degli affari relativi ad acquisizioni immobiliari con "opzione di crediti immobiliari degli istituti di credito" attraverso "preaste immobiliari"), che sul punto della gravità del quadro indiziario nei confronti del ricorrente, sia in ordine alle esigenze cautelari in relazione alla gravità dei fatti, alla reiterazione delle condotta, sintomatica di un inserimento non occasionale, nonchè alla adeguatezza della misura in relazione alla concreta possibilità di reiterazione, non evitabile con l’applicazione di una misura diversa dalla custodia in carcere, in considerazione dei complessi rapporti dell’indagato con una compagine dedita stabilmente ad attività illecite.

Nè tali esigenze possono ritenersi, allo stato, insussistenti per il solo fatto che il P. (il quale ha reso interrogatorio avanti al p.m. in data 5.10.2010, come rilevato anche dal Tribunale nel provvedimento impugnato) ha prodotto in udienza documentazione, costituita da una serie di scritture private sottoscritte dal medesimo, con le quali l’indagato, riconoscendo il debito, si impegna nei confronti di alcuni clienti della sua società a restituire rateizzate nel tempo le somme da costoro versate, e ciò al fine di ottenere "una dilazione della sua obbigazione civilistica".

Per mera completezza, osserva il Collegio che nessun rilievo può assumere, in questa sede, la sentenza, prodotta all’odierna udienza, con la quale è stata ritenuta l’insussistenza della truffa in relazione alla vicenda di un contratto stipulato da D.P. con P.L., in qualità di legale della Maffex srl e riguardante l’acquisto di un immobile in (OMISSIS).

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma a bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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