Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-04-2011) 19-07-2011, n. 28483 Danno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 17.9.2010, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli dispose la custodia cautelare di P.L., S.R., Pa.Do., M. G. e C.G., indagati per il reati di associazione a delinquere finalizzata a truffe immobiliari aggravate dal danno patrimoniale di rilevante gravità.

Avverso tale provvedimento gli indagati proposero istanza di riesame, e il Tribunale del Riesame di Napoli, con ordinanza del 19.10.2010, confermava la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei confronti di S.R. e C.G..

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato S.R., deducendo la nullità dell’ordinanza ex art. 606 c.p.p., lett. b) c) ed e) in relazione agli artt. 125 e 292 c.p.p., in quanto il Tribunale erroneamente ha valutato i presupposti e le condizioni che all’interno dell’ordinanza applicativa della misura possano giustificare una motivazione "per relationem" alla richiesta del pubblico ministero ex art. 291 c.p.p., trascurando di considerare che all’ordinanza applicativa della misura non risulta allegato l’atto al quale il giudice si riporta; in relazione agli artt. 125, 309, 274 e 275 c.p.p. per omessa motivazione sulle esigenze cautelari; in relazione agli art. 309 c.p.p., commi 5 e 10, art. 141 bis c.p.p. avendo omesso il pubblico ministero di depositare i supporti audiovisivi degli interrogatori degli indagati o in sostituzione la trascrizione degli interrogatori; in relazione agli artt. 61, 62, 63, 64, 191, 192 e 273 c.p.p., art. 511 c.p.p., comma 4 in quanto tutta l’indagine ha inizio con le dichiarazioni di persone il cui contenuto non è mai leggibile perchè illegittimamente acquisito, e le denunce mai possono essere lette nei loro contenuti se non in relazione alle condizioni di procedibilità e tanto maggiormente laddove nelle stesse vi siano elementi idonei a far ritenere la sussistenza delle condizioni per l’assunzione della qualità di indagato; in relazione agli artt. 416 e 640 c.p., artt. 192 e 273 c.p.p., essendo stato erroneamente ritenuto che l’attività posta in essere dagli indagati fosse ideativa di un unico disegno criminoso e fosse posta in essere al fine di rafforzare l’uno l’attività degli altri, mentre le singole società hanno momenti costitutivi e finalità diverse; in relazione all’art. 610 c.p., artt. 192 e 273 c.p.p. in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato laddove la stessa si fonda esclusivamente sulle dichiarazioni del coindagato V.; in relazione all’art. 309 c.p.p., comma 9 avendo omesso il Tribunale di valutare quanto prodotto in udienza. L’ordinanza palesemente travisa poi con una erronea ricostruzione le risultanze delle indagini e in conseguenza gli elementi integranti i gravi indizi di colpevolezza, in riferimento ai ruoli e ai rapporti tra gli indagati, alla non operatività delle società e alle omesse restituzioni ai clienti.

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato C.G., deducendo la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), per illogicità e mancanza della motivazione, in riferimento ai gravi indizi di reità per il reato di associazione a delinquere, in quanto la presunta partecipazione del prevenuto all’associazione non trova alcun riscontro nè nell’ambito degli atti processuali nè nella condotta posta in essere dallo stesso; la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione agli artt. 61, 62, 63, 191, 192 e 273 c.p.p., art. 511 c.p.p., comma 4, in quanto tutta l’indagine ha inizio con le dichiarazioni di persone ( U.P., V. M., Pe.Sa., F.S., Ma.

S.) il cui contenuto non è leggibile perchè illegittimamente acquisito, in quanto anche queste persone dovevano ritenersi persone indagate e le dichiarazioni andavano assunte con le forme previste dall’art. 64 c.p.p..

Chiedono pertanto entrambi l’annullamento dell’ordinanza.

Motivi della decisione

Ricorso di S.R..

Il ricorso deve essere rigettato per non condivisibilità od inammissibilità delle censure articolate nei motivi che lo compongono.

Il primi due motivi del ricorso di S.R. sono manifestamente infondati.

Il Tribunale, rilevando che il provvedimento cautelare del giudice per le indagini preliminare ha valutato e preso cognizione del contenuto e delle ragioni della richiesta del pubblico ministero, ritenendola coerente con la sua decisione, ha rigettato l’eccezione di nullità con motivazione adeguata maniera adeguata e conforme ai principi rilevanti in materia.

Secondo un consolidato indirizzo, condiviso dal Collegio, il coordinamento dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis (in base al quale a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio, il giudice nell’ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, esponendo i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa) e quello dell’art. 309 c.p.p., comma 9 (in base al quale il tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso) va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda de liberiate, onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza di relegare la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva a ultima ratio delle determinazioni adottabili. Tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso "grafico", ovvero ove, pur esistendo una motivazione in tal senso, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e rivalutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue.

(v., da ultimo, Cass.Sez. 2, sent. n. 39383/2008 Rv. 241868).

Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che "manchi" di motivazione, dovendo, piuttosto, equipararsi la situazione al caso di motivazione "per relationem", e cioè del provvedimento che richiami il contenuto di diverso atto, facendone propria la motivazione. E in tema di provvedimenti concernenti la libertà personale dell’indagato, deve ritenersi legittima la motivazione "per relationem" del provvedimento, sempre che quella richiamata sia conosciuta o conoscibile dall’interessato – in modo che questi sia in grado di controllarne, sia pure esaminando un provvedimento diverso, la congruenza, la logicità e la legittimità – e che il giudice abbia cura di "qualificare", agli effetti del quadro di gravità indiziaria e della sussistenza delle esigenze cautelari, gli elementi già indicati in precedenza, così dimostrando non una supina, apodittica ed immotivata adesione al precedente provvedimento, ma una sia pur sintetica e sommaria valutazione dei contenuti di questo, agli effetti della legittimità della misura cautelare imposta (cfr. Cass.Sez. 4, sent.n.4181/2007 Riv. 238674).

Con il terzo motivo, il ricorrente censura in modo del tutto generico la motivazione del provvedimento impugnato in riferimento alle esigenze cautelari, laddove il Tribunale in maniera logica e del tutto adeguata ha invece illustrato le esigenze cautelari in relazione alla gravità dei fatti, alla reiterazione delle condotta, sintomatica di un inserimento non occasionale, e alla adeguatezza della misura in relazione alla concreta possibilità di reiterazione, non evitabile con l’applicazione di una misura diversa dalla custodia in carcere, in considerazione dei complessi rapporti dell’indagato con una compagine dedita stabilmente ad attività illecite. Il ricorso anche su tale punto è pertanto inammissibile.

Il quarto motivo è infondato, in quanto la mancata trasmissione, da parte del pubblico ministero, al giudice per le indagini preliminari e al tribunale del riesame, unitamente al verbale redatto in forma riassuntiva delle dichiarazioni rese da soggetto in stato di detenzione, anche della relativa registrazione fonografica o audiovisiva non da luogo a inutilizzabilità delle dichiarazioni (cfr. Cass.Sez. 6, sent. n. 39376/2010 Rv. 248799; Cass.Sez. 2, sent.n.39486/2005, Riv.232672).

Anche il quinto motivo è infondato. Il Tribunale, dopo aver a lungo ragionato circa l’inutilizzabilità – a suo parere – delle dichiarazioni di U.P. e V.M. (v.pagg.6-7 del provvedimento impugnato), ha illustrato con ampiezza di argomentazioni tutte le altre numerose fonti di prova (v.pagg.7-21 del provvedimento impugnato) utilizzabili, e dalle quali attraverso lo sviluppo delle investigazioni svolte dalla polizia giudiziaria è stato possibile appurare con certezza l’esistenza dell’associazione a delinquere, identificarne i soggetti coinvolti ed individuarne i ruoli, ricostruendo con precisione le varie fasi in cui si articolava l’attività criminale, realizzata attraverso la costituzione di società sostanzialmente fittizie, gli stretti collegamenti tra tutti i consociati, un serrato procacciamento di affari realizzato inizialmente per iniziativa del P. o del S. e poi sviluppatosi rapidamente, la prospettazione da parte del venditore della tipologia dell’affare da concludere attuata secondo modalità del tutto seriali, la stipula di scritture private mediante la sottoscrizione da parte del cliente di moduli prestampati dalle denominazioni più varie e generiche con contestuale versamento di una somma a titolo di acconto. Non emerge dalla motivazione alcuna valida ragione per ritenere inutilizzabili anche le dichiarazioni di Pe.Sa., F.S. e Ma.Si., in quanto la mera partecipazione alla attività di gestione dei contratti in qualità di dipendenti (e per la Ma.Si. di socia di una società, come assunto dal ricorrente) non comporta in assenza di altri elementi, neppure adombrati nei motivi di ricorso, l’esistenza nei loro confronti di indizi di reità al momento delle dichiarazioni da essi rese alla polizia giudiziaria. A ciò aggiungasi, poi, che le dichiarazioni delle persone offese si confortano tra di loro e hanno trovato ampio riscontro, non solo nelle dichiarazioni dei dipendenti delle società, ma anche nella copiosa documentazione sequestrata e nelle indagini a riguardo della Guardia di Finanza. Sotto il profilo della credibilità soggettiva, il Tribunale ha, quindi, evidenziato che le varie persone offese non risultano aver preso parte alle condotte illecite realizzate dai sodali, e "se alcuni di loro (si pensi a G.B.) si sono attivati a diffondere la notizia tra amici e parenti, o hanno investito nel "giro" varie centinaia di migliaia di euro, il loro ruolo non risulta essersi trasformato nè in procacciatori di affari per conto del gruppo capeggiato da P. e S., nè in soci di fatto di quest’ultimi (come è invece successo per M., U. e V.), ragion per cui la loro posizione può essere valutata alla stregua dei canoni fissati per la persona offesa" (v.pag. 10 del provvedimento impugnato).

Con il sesto e settimo motivo, solo formalmente vengono evocati vizi di legittimità; in concreto le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una inammissibile rivalutazione del merito delle statuizioni del Tribunale del riesame, statuizioni, peraltro, operate con argomenti esaurienti e privi di vizi logici sia sul punto della sussistenza dell’associazione a delinquere (programma criminoso, predisposizione comune di attività e mezzi, organizzazione) sia sul punto della gravità del quadro indiziario nei confronti del ricorrente, il cui ruolo, ampiamente descritto nell’ordinanza impugnata (v.pag.21 e segg.), appare essere, con il P., quello dell’organizzatore del gruppo delinquenziale, che già nel 2006 godeva dell’apporto, oltre che del P. e del C., anche di Pa. e di M..

A riguardo, rammenta il Collegio che, in materia di misure cautelari personali, allorchè sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Il controllo di legittimità sulla motivazione, pur dopo le modifiche della L. n. 46 del 2006, art. 8, non può riguardare la verifica della rispondenza delle argomentazioni poste a fondamento delle decisione impugnata alle acquisizioni processuali, provvedendosi così ad una rilettura degli elementi di fatto, atteso che la relativa valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito. Peraltro, il travisamento del fatto, ove prospettato, in tanto può essere oggetto dello scrutinio di legittimità, in quanto il ricorrente deduca e dimostri di aver rappresentato al giudice del riesame gli elementi dai quali avrebbe potuto rilevarsi il denunciato travisamento, cosicchè il giudice di legittimità possa desumere dal testo del provvedimento, o dalle specifiche, ed a tal fine autosufficienti, indicazioni processuali offerte dal ricorrente, se e come quegli elementi siano stati valutati (cfr Cass.Sez. 2, sentn.19547/2006 Riv.233772).

Il ricorrente afferma non essere vero che non vi siano state restituzioni, anche parziali, alle parti offese delle somme versate, e ammontanti – secondo i giudici di merito – a circa sette milioni di euro, e di aver prodotto documentazione a riguardo. La censura sulla carenza di motivazione in riferimento alla documentazione prodotta dalla difesa è del tutto infondata, avendo il Tribunale rilevato nel provvedimento impugnato che l’indagine è appena agli inizi, e che sono in corso accertamenti di polizia giudiziaria in ordine alla documentazione acquisita e alle dichiarazioni degli indagati.

Per quanto riguarda, infine, il reato di violenza privata, il Tribunale ha dato ampia ed esauriente motivazione sia in ordine alla qualificazione giuridica del reato che dei gravi indizi di reità, in considerazione delle dichiarazioni non solo di R.A. ma anche di quelle di Ma.Fr. (v.pag.27 della sentenza impugnata).

Ricorso di C.G..

Non essendo pervenuta valida rinuncia al ricorso da parte dell’indagato, anche tale ricorso deve essere rigettato, per la non condivisibilità od inammissibilità delle censure articolate nei motivi che lo compongono.

Il secondo motivo, avente ad oggetto l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di Pe.Sa., F.S. e M. S., è infondato per le medesime ragioni già esposte in riferimento alla medesima doglianza avanzata nel ricorso del S..

Con il primo motivo solo formalmente vengono evocati vizi di legittimità; in concreto, le doglianze sono articolate sulla base di rilievi che tendono ad una inammissibile rivalutazione del merito delle statuizioni del Tribunale del riesame, statuizioni, peraltro, operate con argomenti esaurienti e privi di vizi logici sia sul punto della sussistenza dell’associazione a delinquere in questione (programma criminoso, predisposizione comune di attività e mezzi, organizzazione) sia sul punto della gravità del quadro indiziario nei confronti del ricorrente (il cui ruolo, ampiamente descritto nell’ordinanza impugnata, è quello di presentarsi quale prestigioso titolare di due società lussemburghesi che agli occhi dei clienti assicuravano la buona riuscita degli affari. Oltre alle dichiarazioni delle persone offese e dei dipendenti F. e Pe., il Tribunale indica a suo carico le risultanze delle perquisizioni effettuate nei confronti degli altri coindagati, "che danno contezza di come lo stesso mantenesse costanti e continui rapporti tanto con il P., quanto con il S."), che in ordine alle esigenze cautelari in relazione alla gravità dei fatti, alla reiterazione delle condotta, sintomatica di un inserimento non occasionale, e alla adeguatezza della misura in relazione alla concreta possibilità di reiterazione, non evitabile con l’applicazione di una misura diversa dalla custodia in carcere, in considerazione dei complessi rapporti dell’indagato con una compagine dedita stabilmente ad attività illecite.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento.

Inoltre, poichè dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente S.R., deve disporsi – ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, – che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi ristretto perchè provveda a quanto stabilito dal citato art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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