Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 07-12-2011, n. 26293 Disoccupazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato l’11/7/03 presso il Tribunale di Napoli in funzione di giudice del lavoro, P.C. esponeva di aver percepito, in virtù di precedente decreto ingiuntivo passato in giudicato, il sussidio per lavori socialmente utili per l’anno 1999 nell’ammontare complessivo pari all’importo di L. 850.000 previsto dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, maggiorato dell’adeguamento al costo della vita spettante ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8.

Chiedeva che fosse accertato il proprio diritto a veder calcolato il sussidio per l’anno 2000 sulla base dell’importo complessivo già accertato per l’anno 1999 con il precedente giudicato, aumentato per effetto dell’ulteriore adeguamento al costo della vita, con condanna dell’INPS a corrispondere le conseguenti differenze economiche.

Con sentenza emessa il 20-9-04 l’adito Giudice, contumace l’INPS, rigettava la domanda.

Avverso tale decisione il P. proponeva appello, insistendo sulla efficacia del giudicato del richiamato decreto ingiuntivo, da cui non si poteva prescindere ne 1l’operare l’adeguamento per l’anno 2000 del predetto sussidio; in subordine, l’appellante contestava l’interpretazione della norma di cui alla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, così come eseguita dal primo Giudice in relazione al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8, per cui ribadiva che la domanda meritava accoglimento anche sotto tale profilo.

L’INPS si costituiva, eccependo l’infondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.

Con sentenza del 7 dicembre 2007-24 gennaio 2008, la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame, escludendo sia ogni rilevanza, per l’anno 2000, del decreto ingiuntivo non opposto riguardante il sussidio per l’anno 1999, sia l’esistenza del vantato diritto sulla base di una corretta interpretazione della normativa di riferimento, non comportante la richiesta rivalutazione.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre P.C. con tre motivi.

Resiste l’INPS con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso il P., denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 647, 324 c.p.c. e art. 2909 c.c., sostiene che per effetto del decreto ingiuntivo non opposto, l’accertamento, in esso contenuto, ormai passato in giudicato per l’anno 1999, sarebbe vincolante anche per l’anno 2000. Pertanto, la Corte distrettuale, nella sua decisione, stante l’ampia portata "esterna" dell’intervenuto giudicato, avrebbe dovuto prendere atto, alla luce di siffatto approccio ermeneutico, dell’accertamento relativo all’entità dell’assegno LSU dovuto per l’anno 1999, senza alcun ulteriore esame sul punto, e su di esso computare l’importo aggiornato dovuto per l’anno 2000.

Il motivo è infondato.

Va preliminarmente puntualizzato che – come chiarito dal Giudice a qua – fin dal ricorso di primo grado il lavoratore ha dedotto di avere già ottenuto in precedenza un decreto ingiuntivo, passato in giudicato per effetto della mancanza di opposizione dell’INPS, che aveva sancito il diritto a conseguire per l’anno 1999, oltre all’aumento a L. 850.000 del sussidio in cifra fissa, previsto dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 9, anche l’adeguamento annuale ISTAT pari a L. 20.128. Sul presupposto che la determinazione del sussidio per l’anno 1999 nell’importo complessivo di L. 870.128, così effettuata dal precedente decreto ingiuntivo, costituisse giudicato anche ai fini della individuazione della base di calcolo su cui doveva computarsi l’ulteriore adeguamento annuale ISTAT per l’anno successivo, ai sensi del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8, ha richiamato la giurisprudenza di legittimità in tema di giudicato e ribadito la fondatezza della domanda proposta in giudizio.

Le argomentazioni svolte dalla difesa del ricorrente, pur fondate nei presupposti giuridici, non conducono, tuttavia, agli effetti auspicati.

Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte, "il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di cosa giudicata solo in relazione al diritto consacrato" (Cass., S.U. primo marzo 2006, n. 4510; nello stesso senso, 16 novembre 2006, n. 24373).

Sulla stessa linea si pone la successiva giurisprudenza di legittimità, allorquando ha precisato che "l’efficacia del giudicato estemo non può giungere fino al punto di far ritenere vincolante, nel giudizio avente ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto, la sentenza definitiva di merito priva di una specifica "ratio decidendi", che, cioè, accolga o rigetti la domanda, senza spiegare in alcun modo le ragioni della scelta, poichè, pur non essendo formalmente inesistente e nemmeno nulla (coprendo il passaggio in giudicato, quanto alle nullità, il dedotto e il deducibile), essa manca di un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della specifica fattispecie.

L’attribuzione di efficacia di giudicato esterno ad una siffatta decisione comporterebbe d’altronde, in riferimento al giudizio di legittimità, una rinuncia della Corte di cassazione alla propria funzione nomofilattica, dovendo essa subire l’imposizione da parte del giudice di merito di un principio di diritto che non risulta neppure formulato in maniera espressa" (Cass. 25 novembre 2010 n. 23918, Cass. 6 agosto 2009, n. 18041).

Quando, come nel caso di specie, il giudicato sia frutto della mancata opposizione ad un decreto ingiuntivo – la cui motivazione, per stessa natura sommaria del provvedimento (che è emesso senza nessun contraddittorio ed è soggetto all’opposizione dell’ingiunto), è necessariamente succinta – manca un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della singola fattispecie, e, di regola, la formulazione espressa di un principio di diritto.

Nè, del resto, risulta, o viene allegato, che il decreto ingiuntivo in oggetto contenesse una motivazione effettiva sulle questioni di diritto, nè, tanto meno, che fosse stato formulato espressamente un principio di diritto.

Di conseguenza il giudicato derivato dal decreto emesso a favore del P. può concernere soltanto l’obbligo dell’Istituto assicuratore di corrispondere per l’anno 1999 quella determinata differenza indicata nel decreto stesso, comprensiva sia della maggiorazione mensile (da L. 800.000 a L. 850.000) introdotta dalla L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, comma 9, sia della rivalutazione ISTAT prevista dalla L. 1 dicembre 1997, n. 468, art. 8, comma 8, senza potersi estendere al periodo successivo.

Nè il ragionamento viene ad essere inficiato dalle argomentazioni sviluppate dal ricorrente con il secondo motivo, ove, denunciandosi violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 468 del 1997, artt. 1, 5, 6, 8, si afferma che il Giudice di secondo grado avrebbe errato nel ritenere che il sussidio per i lavoratori LSU, pur essendo corrisposto periodicamente in maniera continuativa, non costituisca una prestazione unitaria, ma si frazioni in una pluralità di prestazioni ciascuna correlata ai singoli e diversi rapporti giuridici che si instaurano di volta in volta per effetto dell’approvazione di uno specifico progetto di lavori socialmente utili e dell’inserimento del singolo lavoratore nell’esecuzione dello stesso. Sicchè, stante la possibile diversità del rapporto giuridico esplicatosi nell’anno 2000 rispetto a quello del 1999, risulterebbe non corretto utilizzare quanto acclarato in un procedimento relativo ad altro rapporto giuridico.

In particolare, il ricorrente sostiene che, anche a volere ritenere che i singoli progetti, da realizzare da parte dei LSU, configurino distinti ed autonomi rapporti giuridici tra soggetto utilizzatore e soggetto utilizzato, l’obbligazione dell’INPS, "distinta ancorchè connessa con tali rapporti, mantiene inequivocabilmente un suo carattere unitario …".

Anche questo motivo è privo di fondamento.

Invero, come correttamente affermato nella impugnata decisione, il sussidio, o assegno, per i lavoratori impiegati in l.s.u., che in base alle norme di legge succedutesi nel tempo è corrisposto in maniera continuativa, talvolta per periodi di tempo anche molto prolungati, può definirsi certamente una prestazione erogata con cadenza periodica in relazione ad un rapporto di durata.

Esso, tuttavia, non rappresenta necessariamente una prestazione unitaria, corrisposta in dipendenza di un unico rapporto giuridico, ma nasce da un rapporto che si instaura, di volta in volta per effetto dell’approvazione di uno specifico progetto e dell’inserimento del singolo lavoratore nell’esecuzione dello stesso (cfr. art. 14 D.L.).

L’esame delle varie disposizioni legislative che hanno regolamentato nel tempo l’Istituto fino al 1999, consentono di acclarare che i progetti socialmente utili sono promossi dalle amministrazioni pubbliche, o dagli altri enti legittimati, per compiere le attività specificamente previste dalla legge e vengono quindi sottoposti ad una procedura di approvazione, anch’essa minuziosamente disciplinata (cfr. del D.L. n. 299 del 1994, art. 14, conv. in L. n. 451 del 1994, del D.L. n. 510 del 1996, art. 1, conv. in L. n. 606 del 1996, del D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 3, e segg.).

Intervenuta l’approvazione, ha luogo la seconda fase della procedura, quella cioè dell’assegnazione del lavoratore a quel determinato progetto, a cura delle sezioni circoscrizionali per l’impiego, previa verifica del possesso dei requisiti soggettivi richiesti dalla legge, ivi compresi quelli di carattere professionale occorrenti per l’attuazione del progetto cui il lavoratore dev’essere assegnato (D.Lgs. n. 468 del 1977, art. 6, commi 1, 4 e 5).

E’ solo a seguito del compimento di questo complesso procedimento in due fasi che si instaura il rapporto giuridico fra il soggetto utilizzato, l’ente utilizzatore e l’istituto previdenziale, in virtù del quale il primo è tenuto a svolgere in favore del secondo le attività previste nel progetto e l’INPS è obbligato ad erogargli il sussidio secondo le modalità e nella misura previste dalla legge.

Se questa è la disciplina dell’istituto, è evidente che il rapporto giuridico da cui nasce la prestazione richiesta in giudizio è strettamente legato al progetto nella cui attuazione il lavoratore viene inserito, e solo in quest’ambito mantiene il suo carattere unitario, a prescindere dalla durata della prestazione lavorativa e dalla cadenza temporale di erogazione del sussidio.

Nel momento in cui il lavoratore viene inserito in un nuovo progetto, soggetto ad un distinto procedimento di elaborazione e di approvazione, ed è destinatario del relativo provvedimento di assegnazione, non vi è dubbio che sorge un nuovo rapporto giuridico, completamente autonomo rispetto al primo, nè rileva che l’utilizzazione avvenga presso lo stesso ente e senza soluzione di continuità rispetto all’esecuzione del progetto precedente.

Restano, infatti, del tutto distinti i presupposti, sia di fatto che giuridici, nonchè l’oggetto e l’iter formativo dei due rapporti. Nè l’eventuale identità dei soggetti, o anche la prosecuzione di un’attività presso lo stesso ente, possono valere ad annullare queste sostanziali differenze che danno vita a due autonomi rapporti giuridici. Unica eccezione può aversi nel caso di semplice proroga di un progetto in atto, che non richieda il compimento ex novo del complesso procedimento sopra descritto, ma soltanto l’autorizzazione alla prosecuzione dell’attività in corso, quando tale possibilità sia normativamente prevista (v. ad. es., le ipotesi di proroga di cui al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 1, comma 2, lett. a) e c)).

Applicando i principi esposti alla fattispecie in esame, la Corte territoriale ha coerentemente rilevato che era onere del lavoratore provare l’esistenza dei presupposti di fatto a i fondamento dell’eccezione di giudicato da lui proposta, ed in particolare l’identità del rapporto giuridico fatto valere in giudizio rispetto a quello nel cui ambito il giudicato si è formato, vale a dire l’unicità del progetto nel quale è stato impiegato nell’anno 2000 rispetto a quello dell’anno 1999.

Nella specie, tuttavia, una simile prova non risultava fornita, avendo il lavoratore prodotto in giudizio soltanto un’attestazione dell’ente utilizzatore con la quale si accertava la sua partecipazione ai lavori socialmente utili svoltisi dall’1/10/95 al 27/9/00, oltre che l’entità del sussidio nei vari periodi.

Con il terzo motivo ci si duole di omessa motivazione sul motivo di gravame che il P. aveva avanzato, in subordine, nel proprio atto d’appello, motivo in base al quale l’aumento del sussidio di LSU disposto con la L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 45, doveva intendersi come non comprensivo dell’adeguamento annuale previsto dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8.

Il motivo è inammissibile sotto plurimi concorrenti profili.

Si premetta che, in sostanza, con tale mezzo l’odierno ricorrente deduce non già un vizio di motivazione su un fatto decisivo e controverso, bensì un’omessa pronuncia su una questione di diritto su cui era stato incentrato uno dei motivi di gravame, vale a dire un errar in procedendo che, per costante insegnamento di questa Corte, va denunciato – a pena di inammissibilità – ai sensi non già dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (o del n. 3), bensì del n. 4 in relazione alla violazione dell’art. 112 c.p.c. (cfr. Cass. 11.11.2005 n. 22897; in senso conforme v. altresì, Cass. 27.9.2000 n. 12790;

Cass. 7.7.2004 n. 12475; Cass. 26.1.2006 n. 1701; Cass. 14.2.2006 n. 3190; Cass. 22.11.2206 n. 24856).

Ne consegue, altresì, che il motivo andava corredato – ancora a pena di inammissibilità, ex art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nel caso di specie, vista la data di deposito della sentenza impugnata) – da apposito quesito di diritto (secondo la più recente giurisprudenza di questa S.C., cui si ritiene di aderire in forza dell’insuperabile tenore letterale dell’art. 366 bis c.p.c.: Cass. 21.2.2011 n. 4146; Cass. 25.1.2010 n. 1310; Cass. 23.2.2009 n. 4329;

contra v. Cass. 10.9.2009 n. 19558; Cass. 20.6.2008 n. 16941), quesito che – invece – non è stato formulato.

Da ultimo, a riguardo il ricorso non risulta neppure autosufficiente, noto essendo che, ove si denunci un’omessa pronuncia su uno dei motivi d’appello, nel corpo del ricorso deve trascriversi il motivo medesimo in modo completo o, almeno, nelle sue parti salienti (cfr., fra le numerose in tal senso, Cass. 12.5.20 10 n. 11477).

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile ratione temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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