Cons. Stato Sez. IV, Sent., 26-07-2011, n. 4461 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Sezione salernitana del T.A.R. della Campania, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso che l’odierna appellante aveva proposto per l’annullamento dell’ingiunzione di demolizione n.3/1999 emessa dal Presidente dell’Ente Parco del Cilento e Vallo di Diano relativamente ad un manufatto della superficie di m. 8,7 x 7, composto da pannelli prefabbricati componibili in plastica ed elementi portanti verticali e orizzontali in ferro, poggiato al suolo su plinti in cemento, abusivamente realizzato in frazione Palinuro, località "torre Gabella", del Comune di Centola.

Il T.A.R. ha, in estrema sintesi, escluso la carenza di potere prospettata "nell’atto introduttivo unicamente con riferimento al controllo ed alla gestione del territorio sotto il profilo urbanisticoedilizio di competenza del Sindaco del Comune e solo con la memoria depositata il 12/4/2002… sotto l’aspetto dell’esercizio del potere in materia ambientale dell’Ente Parco", evidenziando che l’atto era stato adottato in espressa applicazione della legge quadro sulle aree protette 6/12/1991 n. 394 e del D.P.R. 5/6/1995 concernente l’istituzione dell’Ente Parco predetto e respinto le contestazioni di ordine procedurale (violazione degli artt. 7 e 8 legge n. 241/90) nonchè di carenza di istruttoria e di motivazione, ritenendo adeguatamente "individuate ragioni d’impatto ambientale le quali, per l’aspetto istruttorio, sono supportate anche dalla consulenza tecnica richiamata nel provvedimento".

La sig.ra P. ha chiesto la riforma della sentenza, che reputa erronea sotto vari profili, e l’accoglimento dell’originario ricorso.

Si sono, successivamente, costituiti in prosecuzione del giudizio gli eredi dell’appellante.

Resiste l’Ente Parco, illustrando le proprie tesi in memoria.

Replica parte appellante.

All’udienza del 12.4.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

E’ in discussione la legittimità, confermata dal T.A.R., dell’ordine di demolizione e ripristino impartito dall’Ente Parco Nazionale del Cilento all’appellante, relativamente ad un manufatto di circa 57 mq. in pannelli prefabbricati di plastica su struttura in ferro in fraz. Palinuro di Centola (SA).

Il provvedimento è stato assunto sulla base del rilievo che il manufatto era stato realizzato in assenza tanto di concessione edilizia che di autorizzazione ex art. 7 All. "A" al D.P.R. 5.6.1995 (istitutivo del Parco), necessaria in quanto l’area ricade in zona 2 del perimetro del Parco, e della considerazione, sulla scorta della consulenza tecnica richiamata, del grave pregiudizio ai valori ambientali, la cui tutela è compito primario dell’Ente; tanto in riferimento all’art. 6 della legge n. 394/1991 e menzionando l’art. 27 della legge n. 47/85 per puntualizzare che l’eventuale esecuzione in danno sarebbe stata effettuata con la procedura prevista dall’art. 27 stesso (così come disposto dal predetto art. 6 legge legge n. 394/91).

Con il primo motivo di appello, si denuncia error in iudicando e in procedendo (artt. 31 e ss. e artt. 44 e 48, co. 1, legge n. 47/85; art. 39 legge n. 724/94), difetto ed incongruità della motivazione, lamentando che la sentenza sia gravemente erronea per non aver riconosciuto la violazione della normativa in materia di condono edilizio, prioritariamente dedotta col ricorso di primo grado, in relazione alla pendenza di ben due istanze di condono inoltrate, ai sensi delle leggi nn. 47/85 e 724/94, al Comune di Centola dalla proprietaria e mai definite; pendenza preclusiva, ex lege, di ogni iniziativa volta a reprimere l’abuso edilizio, con la conseguenza che l’Ente Parco, nella specie, avrebbe potuto, semmai, esprimere il suo avviso, quale parere ex art. 32, co. 3, legge n. 47/85, nell’alveo del procedimento di condono edilizio, ma non disporre misure ripristinatorie. Erroneo sarebbe, pertanto, il rilievo dei primi giudici, secondo cui "il potere esercitato nella fattispecie è quello relativo alla tutela ambientale che recide in radice la possibilità di mantenimento in vita del manufatto edilizio".

Le parti si diffondono, nei rispettivi scritti difensivi, sull’aspetto della pendenza di istanze di condono (peraltro, come emerge dall’esposizione dell’atto di appello, relative a manufatti aventi diverse caratteristiche: quella ex legge 47/85, ad un precedente manufatto di mq. 30,46; quella ex art. 39 della legge n. 724/04 al manufatto ampliato e realizzato con diversi materiali di cui ora si discute) e sul rilievo da attribuire all’ingiunzione di demolizione 30.12.93, non impugnata, emessa dal Comune di Centola (v. anche la seconda parte del IV motivo).

La valorizzata pendenza di condono (più esattamente della seconda istanza di sanatoria, presentata il 28.2.95), tuttavia, non ha rilievo determinante nella specie, contrariamente a quanto ritenuto da parte appellante, atteso che essa inibisce l’esplicazione dei poteri comunali di repressione dell’abuso edilizio ma non vale a paralizzare i distinti ed autonomi poteri di tutela ambientale che competono all’Ente Parco laddove quanto realizzato, oltre a non essere regolare sotto il profilo ediliziourbanistico, sia altresì, come nella specie, contrastante con le misure di salvaguardia previste dalla normativa di tutela ambientale (art. 6, co 3, legge n. 394/91), che vietavano nuove costruzioni e la trasformazione di quelle esistenti nell’area su cui sorge il manufatto (area protetta delimitata con D.M. 4.12.92).

Non convince, quindi, la tesi che, una volta presentata dall’interessato domanda di sanatoria edilizia, il potere esercitabile dall’Ente Parco si ridurrebbe alla espressione del parere ex art. 32 legge n. 47/85, nell’alveo del procedimento di condono edilizio; tesi che, nella sostanza, presuppone una sorta di forza attrattiva di quest’ultimo procedimento (con assoggettamento alla relativa tempistica) rispetto a procedimenti volti alla tutela ambientale, che non trova supporto normativo ed, inoltre, collide con la prevalenza data dal legislatore, mediante la stessa previsione dell’art. 32 cit., all’interesse alla tutela dei valori protetti da vincoli, rispetto all’interesse alla conservazione e regolarizzazione del patrimonio edilizio esistente.

L’ulteriore affermazione della inapplicabilità delle misure di salvaguardia di cui all’art. 6, comma 3, legge n. 394/91, una volta intervenuta la delimitazione, con D.M. 4.12.92, dell’area del Parco Nazionale del Cilento, e, così, della insussistenza del potere, che a tali misure si raccorda, di disporre il ripristino dei luoghi, previsto dal comma 6 del predetto art. 6, nonchè dell’erroneità della sentenza sul punto, che costituisce il fulcro del terzo motivo di appello, risulta parimenti infondata – ed, ancor prima, inammissibile, trattandosi di tematica non evidenziata nei motivi del ricorso introduttivo di primo grado (riportati a pagg. 20 e ss. dell’atto di appello) -.

L’appellante sostiene che il comma 4 dell’art. 6 cit. prevede uno sbarramento temporale all’applicabilità delle misure di salvaguardia di cui al comma 3, in quanto stabilisce che dall’istituzione della singola area protetta, sino all’approvazione del relativo regolamento, operano i divieti e le procedure di deroga di cui al successivo art. 11; soggiunge che l’art. 1 dell’Allegato A al D.P.R. 5.6.1995, istitutivo dell’Ente Parco, suddivide l’area del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano in due zone e che l’edificio in questione ricade nella zona 2, di valore naturalistico, paesaggistico e culturale con maggior grado di antropizzazione (rispetto al limitato o inesistente grado di antropizzazione della zona 1), e che per tale zona 2 è previsto il regime autorizzatorio, disciplinato dall’art. 7 delle misure di salvaguardia di cui all’allegato A, riferito esclusivamente agli interventi tassativamente elencati; ne deduce, l’appellante, che diversi interventi non siano assoggettati ad autorizzazione né inibiti in salvaguardia, in attesa dell’adozione del regolamento e del piano del Parco.

La tesi non convince. Essa contrasta con le finalità della legge n. 394/91, che ha inteso salvaguardare le aree sottoposte a tutela da ogni evento che potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di competenza dell’Ente Parco (lo stesso art. 11 richiamato dall’appellante, del resto, dispone, al comma 3, che sono vietate le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali), e con il dato testuale costituito dalla previsione dell’art. 8, comma 5, che, nel prevedere che con il provvedimento di istituzione del Parco possono essere integrate le misure di salvaguardia introdotte dall’art. 6 sino all’entrata in vigore della disciplina dell’area protetta, postula la vigenza di dette misure di salvaguardia, non potendosi, altrimenti, intendere il riferimento all’integrazione.

Si concorda, pertanto, con l’avviso del giudice di primo grado che il significato del comma 4 dell’art. 6 legge n. 394/91, letto nel contesto, è quello secondo cui dall’istituzione dell’area soccorrono anche i divieti di cui all’art. 11 della legge, particolarmente volti alla tutela della flora e della fauna e dei rispettivi habitat, ed entrano in vigenza le procedure di deroga.

Integrative, appunto, secondo il disposto dell’art. 8, co. 5, legge n. 394/91, sono le misure di salvaguardia dell’allegato A al D.P.R. 5.6.95, onde non giova a parte ricorrente segnalare che l’opera non rientra nell’elencazione di quelle assoggettate, per la zona 2, ad autorizzazione.

Non si ravvisa, quindi, il dedotto difetto di potere del Presidente dell’Ente Parco.

Trattandosi di violazione di norme di salvaguardia, l’ingiunzione del ripristino costituisce atto vincolato, il cui contenuto non avrebbe potuto essere diverso, onde non assume rilievo determinante la denunciata omissione di una specifica comunicazione di avvio di procedimento, ulteriore a quella ricevuta relativamente alle diverse sanzioni di cui all’art. 30 legge 394/91, e non si riscontra l’error in iudicando e in procedendo dedotto con il secondo motivo di appello.

Non persuadono le contestazioni di difetto e incongruità di motivazione, sviluppate in particolare con il quarto motivo, denunciando error in iudicando in riferimento all’art. 3 legge n. 241/90, critiche miranti ad evidenziare l’insussistenza del grave pregiudizio ai valori ambientali dell’area, che introducono, nella sostanza, obiezioni alla valutazione di merito, insindacabile in questa sede, compiuta dall’Ente deputato alla tutela di quei valori ed adeguatamente esternata, anche con richiamo a relazione tecnica. La seconda parte del motivo in esame si riferisce al superamento dell’ordinanza comunale di demolizione del 1993 tramite la domanda di sanatoria ex legge 724/94 e riguarda, quindi, ancora, il tema della sanatoria dell’illecito edilizio, della cui irrilevanza in relazione al tipo di potere esercitato nella specie si è già detto.

Il quinto motivo ripropone le censure esposte in primo grado, convincentemente disattese dai primi giudici.

L’appello va, in conclusione, respinto.

Si ravvisano, in considerazione delle particolarità della fattispecie e della componente interpretativa, motivi di compensazione delle spese del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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