Cons. Stato Sez. IV, Sent., 26-07-2011, n. 4460 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza n. 19 del 2009 la sezione salernitana del Tar della Campania ha respinto i due, riuniti, ricorsi, integrati da motivi aggiunti,separatamente proposti, articolando le medesime censure, dal sig. A. A. e dalla Società H. C. s.a.s. per l’annullamento della delibera della Giunta comunale di Castellabate n. 137 del 15.5.2004 di approvazione del progetto esecutivo, e relativi allegati progettuali, di demolizione del I lotto delle opere edilizie abusive del complesso denominato H. C., nonché degli atti presupposti e connessi (tra cui la diffida 16.4.2004 della Regione Campania al Comune a procedere alla demolizione delle opere abusive, con avviso dell’attivazione dei poteri sostitutivi in caso di inerzia) e susseguenti (tra cui il verbale della conferenza dei servizi del 6.7.2007 con la quale sono stati acquisiti i pareri favorevoli delle autorità di tutela paesaggistico ambientale sul progetto di demolizione, il bando di indizione della procedura per l’affidamento dei lavori e la determinazione di aggiudicazione degli stessi).

Con atto notificato il 22.9.2009 gli appellanti in epigrafe hanno proposto impugnazione della sentenza predetta, cui resistono il Comune di Castellabate, la Regione Campania ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Dimesse memorie, l’appello è stato posto in decisione all’udienza del 29.3.2011.

Motivi della decisione

E’ controversa la legittimità della procedura attivata dal Comune di Castellabate per la demolizione di una parte, abusivamente realizzata e per la quale era stato chiesto nel 1986 il condono edilizio, del complesso denominato H. C., realizzato su area soggetta ad uso civico e con riferimento al quale era stata presentata istanza di alienazione dei beni del demanio civico ai sensi della legge n. 1766 del 1927.

La complessa vicenda nella quale conclusivamente (sul piano amministrativo; per aspetti risarcitori viene riferito che pende giudizio civile) si inseriscono i provvedimenti impugnati è esposta dagli appellanti nei termini che, in estrema sintesi, possono, per la miglior comprensione delle questioni dibattute, indicarsi come segue: il Comune di Castellabate alienò a privati una vasta area boschiva collinare, poi conferita nella Società H. C. s.a.s., con espressa clausola d’obbligo di realizzazione di una struttura alberghiera e di un complesso di ville (atti notarili del 1961, per un’area di circa 51 Ha, e del 1962 per un’area contigua di 50 Ha); la Società H. C. realizzò l’edificio alberghiero, suddiviso i più corpi, e le opere di urbanizzazione ed attrezzature complementari, in base a titoli edilizi rilasciati, negli anni tra il 1964 e il 1977, dal Comune, ed inoltre, abusivamente, due fabbricati in ampliamento del complesso principale e 25 villini unifamiliari; nel 1982 la Regione Campania, una volta emersa la demanialità civica dei terreni, concesse alla società predetta la legittimazione, ai sensi dell’art. 9 della legge 1766/1927, dei terreni (per circa 11 ettari) per miglioramenti agrari apportati; nel marzo 1986 la società presentò istanza di condono per le ville e per l’ampliamento del corpo principale dell’albergo; nel 1988 la Regione dispose l’annullamento del predetto provvedimento di legittimazione, per violazione degli istituti di regolarizzazione del demanio civico, con atto la cui contestata legittimità è stata confermata dal giudice amministrativo, ritenuto che il tipo di trasformazione, turistica e non agricola, dell’area esigesse l’attivazione di una diversa procedura di regolarizzazione, ossia l’alienazione ai sensi dell’art. 12 legge n. 1766/1927 e non la concessa legittimazione ai sensi del precedente art. 9, riservata ai miglioramenti agrari; nel 1992 il Tribunale di Napoli dispose la confisca delle quote del capitale sociale della "H. C. di L. R. & C. s.a.s." e di tutti i beni immobili e mobili della predetta, quale misura di prevenzione, connessa con un procedimento penale, ex art. 416 bis c.p.; nel giugno 1994 il sig. A. A. venne assolto, per "non aver commesso il fatto", dai reati di associazione mafiosa e con decreto 5.8.94 la Corte di Appello di Napoli respinse le misure di prevenzione personale e reale a suo carico, precisando che la confisca dei beni dell’Hotel Castelsandra s.a.s. non si estendesse, pertanto, alla relativa quota; nel 1999 la Direzione centrale del Demanio del Ministero delle Finanze, con decreto n. 32375, dispose il trasferimento del predetto complesso alberghiero al patrimonio indisponibile dello Stato, con destinazione d’uso a favore dell’amministrazione comunale di Castellabate; nel 2001 detto decreto venne revocato, sul presupposto che il provvedimento di confisca non poteva produrre effetti su beni indisponibili, come nella specie, perché rientranti nel demanio civico e, conseguentemente, con verbale del 24.10.2001, l’Agenzia del Demanio ha proceduto alla consegna del complesso alberghiero all’amministrazione comunale di Castellabate; con istanza del 2001 il sig. A. A. ha avanzato richiesta alla Regione ed al Comune di alienazione degli immobili gravati da uso civico, per la irreversibile trasformazione dei beni, ai sensi dell’art. 12 legge n. 1766/1927, chiedendo, altresì, nelle more del procedimento, il rilascio di una concessione demaniale sul medesimo complesso, ai fini della ripresa dell’attività turisticoalberghiera; nel luglio 2002 il predetto ha proposto ricorso al Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici, nel confronti di Comune, Regione, Ministeri dell’Economia e della Giustizia, Agenzia del Demanio, per l’accertamento della demanialità dei terreni su cui è stato realizzato il complesso de quo e della nullità/inefficacia del decreto di confisca e per la restituzione del complesso immobiliare al ricorrente detentore; il Commissario per la Liquidazione degli Usi Civici per la Campania ed il Molise si è pronunciato con sentenza n. 3 del 2004.

Con il primo motivo di appello vengono dedotti error in judicando, violazione ed elusione del giudicato ( art. 324 c.p.c. e 2909 c.c. – art. 2 L. 241/90), violazione dell’obbligo a provvedere e della tutela dell’affidamento, sostenendosi che approvando il progetto esecutivo di demolizione di parte delle strutture dell’Hotel Castelsandra il Comune ha, innanzitutto, violato il giudicato contenuto nella decisione n. 3/04 del Commissario e che il Tar ha erroneamente inteso la decisione stessa, che le amministrazioni parti di quel giudizio erano tenute ad eseguire, in particolare provvedendo sulla istanza di alienazione presentata da A. A. ai sensi dell’art. 12 L. n. 1766/1927 e definendo il condono edilizio pendente, prima di provvedere alla demolizione dei beni.

Gli appellanti riferiscono i passaggi ritenuti salienti della sentenza del Commissario degli Usi Civici e sostengono che il Tar abbia a) riduttivamente circoscritto il motivo di primo grado di violazione del giudicato alla sola questione della istanza di condono edilizio, oscurando gli ulteriori accertamenti del Commissario che, nel riconoscere una posizione qualificata in capo all’Agizza, menzionando le procedure pendenti per effetto delle istanze dei privati, avrebbe specularmente riconosciuto l’obbligo in capo alle autorità amministrative convenute di definire tali procedimenti e b) erroneamente ritenuto che detti accertamenti non facciano stato, in quanto afferenti a questioni di rito (interesse e legittimazione ad agire), laddove il Commissario, pur avendo deciso su questioni di rito, avrebbe "valutato la posizione sostanziale degli odierni appellanti, svolgendo, quindi, sicuramente, un accertamento di merito", proiettante i suoi effetti conformativi sulla successiva azione della P.A., attraverso "regole idonee a dirimere, in via definitiva, i conflitti tra le parti del giudizio"; detto accertamento, inoltre, sarebbe proveniente dal giudice competente per materia e strettamente connesso con la pronuncia di merito sulla demanialitàrestituzione dei beni, che presupporrebbe quegli stessi accertamenti eseguiti a proposito della sussistenza dei presupposti processuali.

Il motivo è infondato.

La sentenza commissariale n. 3/2004 così statuisce, in corrispondenza alla domanda proposta: "a) dichiara che l’area di sedime sulla quale insiste il complesso alberghiero "H. C." ed i manufatti ed infrastrutture sovrastanti rientrano nel demanio civico del Comune di Castellabate; b) rigetta la domanda di restituzione al ricorrente di detti beni". Il Commissario ha rilevato che l’incertezza giuridica in ordine al regime dell’area e dei sovrastanti manufatti in questione derivava dall’esistenza di una confisca penale passata in giudicato e ritenuto che non era contestabile il carattere di demanio civico dell’area e, così, in virtù di accessione, anche del complesso turistico alberghiero e delle infrastrutture sovrastanti, nonchè che detti beni, inalienabili e insuscettibili di espropriazione forzata neppure potevano essere oggetto di confisca, della quale non occorreva dichiarare la nullità o l’inefficacia (avendo, del resto, il Ministero delle Finanze e l’Agenzia del Demanio già preso atto della situazione, provvedendo a consegnare, come doveva essere fatto, al Comune i beni in questione). Quanto all’invocato ripristino della situazione qua ante e, così, alla domanda di restituzione dei beni al ricorrente, il Commissario ha ritenuto non sussistesse alcun titolo a detenere gli immobili, stante la nullità del contratto di acquisto a suo tempo sottoscritto dal Comune coi danti causa della società di cui l’Agizza era socio e l’abusività della occupazione e rilevato che "per l’acquisto del terreno e del manufatto sovrastante occorrerebbe, ammesso che il Comune di Castellabate intendesse vendere, che in precedenza venisse espletata la procedura di sdemanializzazione ai sensi dell’art. 12 della legge n. 1766/1927".

Emerge chiaramente dalla lettura della predetta sentenza che non vi è alcuna statuizione di un obbligo della P.A. di pronunciarsi sulle istanze di condono (della parte abusiva) e di alienazione (dell’intero complesso), neppure implicita, non essendovi alcun rapporto di presupposizione logica tra il condono e l’alienazione auspicati dai (rispettivi) richiedenti e la pronuncia resa dal Commissario di demanialità del compendio immobiliare e di infondatezza della pretesa restitutoria.

Al contrario, è proprio la demanialità civica dei beni, che costituiva oggetto principale del ricorso, ad essere "presupposto indefettibile per l’applicazione dell’istituto dell’alienazione", come rilevato dal Commissario in fase di esame delle questioni preliminari di rito, allorchè ha ritenuto che in ordine alle domande proposte sussistessero in capo al ricorrente sig. A. i presupposti processuali della legittimazione (in quanto trovavasi in rapporto materiale con il bene, rilevante come tale in materia di usi civici) e di un interesse ad agire dotato dei necessari caratteri di concretezza ed attualità (in quanto, appunto, presentatore della già riferita richiesta di alienazione ed al fine di eliminare l’incertezza giuridica sulla qualitas soli, venutasi a creare per effetto della confisca penale; in altre parole, è stato riconosciuto un interesse strumentale alla declaratoria sulla proprietà, non già statale ma del Comune, quale rimozione di un ostacolo alla astratta valutabilità della richiesta di alienazione rivolta, appunto, al Comune).

La parte della sentenza n. 3/04 riportata tra virgolette ed in grassetto a pagg. 27 e 28 dell’atto di appello è una esposizione delle ragioni della ritenuta presenza del presupposto processuale dell’interesse all’azione intrapresa (questa sì vagliata nel merito) che non ha alcuna valenza conformativa nei confronti dell’amministrazione, la cui successiva azione rimane impregiudicata nell’an e nel quomodo, come anche l’inciso "ammesso che il Comune… intendesse vendere" a pag. 30 della sentenza ben rivela. Anche in relazione all’aspetto del condono il passaggio segnalato è meramente espositivo, riferendo l’avviso del geom. A. (… Questi… pur ritenendo…) che il parere favorevole ai sensi dell’art. 32 legge n. 47/85 integrasse, essendo entrata in vigore la modifica apportata dall’art. 2 D.L. 2/88, un assenso del Comune alla disponibilità dell’uso del suolo.

Non si riscontra, dunque, la lamentata violazione di giudicato ed i rilievi svolti in argomento dai primi giudici sono condivisibili.

Con il secondo motivo (error in judicando, violazione dell’art. 2 legge n. 241/90 in relazione agli artt. 31, 32 e ss. legge n. 47/85, art. 2 D.L. n. 2/88 e art. 12 legge n. 1766/1927) gli appellanti deducono che, comunque, la violazione dell’obbligo di concludere i procedimenti di regolarizzazione del demanio civico e di sanatoria edilizia, per la pregiudiziale sistemazione della vicenda proprietaria e dei profili di tutela urbanisticoedilizia, discende direttamente dalla legge e che ad esso il Comune si sarebbe sottratto percorrendo la "scorciatoia" della demolizione di parte del complesso immobiliare. Erroneo sarebbe l’avviso del Tar che ha negato che il provvedimento sindacale n. 218/01 rivestisse valore sostanziale di concessione edilizia in sanatoria e di assenso implicito alla disponibilità delle aree ed ha escluso che si fosse formato il silenzio assenso ex art. 35 legge n. 47/85, in particolare negando che sussistesse un obbligo del Comune di pronunciarsi sull’istanza di condono. Lamentano che sia inesatto il rilievo dei primi giudici che la domanda di condono esponeva indicazioni non veritiere, assumendo la proprietà dei beni realizzati su area demaniale, in quanto ignorerebbe la circostanza che, all’epoca di presentazione dell’istanza la soc. H. C. era legittimata in virtù della delibera regionale n. 5538/82 e del decreto presidenziale n. 5035/82 rilasciato ai sensi dell’art. 9 L. 1766/1927, mentre non rileverebbero in ordine all’obbligo di pronuncia né la revoca di tali atti intervenuta nel 1988, né la mancata disponibilità delle aree da parte della società richiedente.

Dette censure sono infondate. Non risulta rilasciato, né si è formato col meccanismo del silenzioassenso, che postula l’esistenza di un obbligo di provvedere, il condono delle opere abusive. L’istanza del marzo1986 è stata, bensì, presentata nella valorizzata vigenza del provvedimento regionale di legittimazione ex art. 9 legge 1766/27 del possesso dei terreni, ma su di essa, quand’anche si accedesse alla poco condivisibile tesi degli appellanti che tanto valesse a sfumare l’erroneità delle indicazioni fornite nella domanda, non poterebbe, comunque, dirsi formato, decorsi 24 mesi, il silenzio assenso, trattandosi di area soggetta a vincoli (puntualmente indicati al quadro C dell’istanza), in mancanza, allora, di parere favorevole ex art 32 legge n. 47/85.

Solo in epoca ben successiva alla revoca, nel 1988, del provvedimento di legittimazione ed allorchè la società non poteva vantare alcun titolo dominicale (mai avuto, stante la nullità dell’originaria compravendita) o di possesso (revocato), è intervenuta la determinazione n. 218/01 del 26.9.01 con la quale il Sindaco ha espresso il parere favorevole ai sensi dell’art. 32 cit..

Trattasi, come reso evidente dal tenore della determinazione stessa e dai richiami all’art. 32 legge n. 47/85, all’art. 151 D.Lgs. n. 490/99, al parere della commissione edilizia integrata, favorevole "a condizione che eventuali manufatti che determinano particolare impatto ambientale vengano opportunamente trattati con un mirato intervento di recupero paesistico ambientale", di un mero parere infraprocedimentale ai soli fini del vincolo paesaggistico.

Tale atto, contrariamente a quanto apoditticamente sostenuto dagli interessati, non può in alcun modo intendersi come provvedimento recante concessione in sanatoria degli abusi (e non giova loro la circostanza che in un passaggio di tipo espositivo della sentenza del Commissario per la liquidazione degli usi civici n. 3/04 l’atto del 2001 sia menzionato quale concessione edilizia in sanatoria), né esso implica alcun assenso alla disponibilità delle aree, vuoi perché non vi è interdipendenza logica tra valutazioni ai fini del vincolo paesaggistico e scelte dominicali, vuoi per l’assoluta assenza di valutazioni in ordine all’opportunità ed alle condizioni, onerose o non, di sifatta concessione, pur necessaria trattandosi di beni pubblici.

Né può ritenersi che, sulla base di detto parere paesaggistico, si sia poi formato il silenzio assenso, tenuto conto che, pur sussistendo in astratto un obbligo dell’amministrazione di provvedere sulle domande di condono, in relazione al contenuto della domanda in questione tale obbligo, in concreto, non sussisteva per ragioni pregiudiziali, mancando la necessaria (non solo al momento della presentazione ma sino alla pronuncia sull’istanza) concessione dell’uso del suolo pubblico (che non può ritenersi surrogata dalla "relazione di fatto" col compendio in questione da parte di soggetto, il sig. Arizza, distinto dal presentatore dell’istanza di condono, nè dalla presentazione da parte dell’Arizza stesso di richiesta di alienazione) e trattandosi, inoltre, di istanza gravemente difettosa in quanto riportante dati essenziali alla definizione della pratica inesatti e fuorvianti (barrata la casella NO nel quadro del frontespizio dove si chiede di "indicare se l’opera oggetto di sanatoria è stata eseguita su aree di proprietà dello Stato o di Enti Pubblici territoriali"; indicata come proprietaria delle opere la società H. C. s.a.s.).

Non sussistendo, in concreto, obbligo di definizione della domanda di condono, non può ritenersi che un espresso atto di diniego costituisca imprescindibile presupposto per procedere alla demolizione degli abusi.

Si condividono, al riguardo, le considerazioni dei primi giudici, coi quali si concorda anche relativamente all’inconfigurabilità di profili di contraddittorietà o di "violazione dell’autovincolo" nel comportamento del Comune, in relazione vuoi al parere del 2001, vuoi ad indicazioni o avvisi espressi, in sede di Conferenza di Servizi propedeutica all’approvazione del progetto di demolizione, dall’Assessore regionale all’urbanistica, il 23.9.2003, e dal Presidente dell’Ente Parco, il 28.10.03, circa l’esigenza di espressione preliminare di diniego di condono, così come (gli appellanti richiamano il verbale della seduta del 17.7.03) di valutazioni sull’istanza di sdemanializzazione. Il parere del 2001 ha valenza esclusivamente ai fini del vincolo paesaggistico cui è sottoposta l’area, mentre le indicazioni invocate dagli appellanti provengono da organi di amministrazioni diverse e sono, quindi, irrilevanti in ordine alla configurabilità dello specifico vizio dedotto e, comunque, non valgono a generare un obbligo di provvedere altrimenti insussistente; né vale obiettare che "La Conferenza dei Servizi ha necessariamente dovuto approvare il progetto di demolizione, essendo coinvolti più interessi pubblici, per cui le prescrizioni della Conferenza erano sicuramente vincolanti per il Comune di Castellabate", considerato che la predicata vincolatività può esplicarsi limitatamente all’oggetto per il quale la conferenza è indetta, ossia nel caso, come indicato dagli appellanti, il progetto di demolizione. Neppure occorreva, dunque, che il Comune, nella delibera di approvazione del progetto esecutivo della demolizione, si soffermasse sulle indicazioni predette, motivando al riguardo. L’avviso degli appellanti che le predette "prescrizioni" dell’assessore regionale e del Presidente dell’Ente Parco "sostanzialmente sono state recepite, in un primo tempo" dal Comune non trova alcuna conferma nella comunicazione di inizio procedimento valorizzata dagli appellanti stessi (loro doc. 12), che è relativa al procedimento, logicamente e giuridicamente successivo, di demolizione ed indica, appunto, la volontà di procedere in tal senso, e non implica alcun riconoscimento di un obbligo di riscontrare preliminarmente l’istanza di condono.

L’ulteriore tesi degli appellanti della pregiudizialità della definizione dell’istanza di sdemanializzazionealienazione dell’area in questione e del compendio edilizio sulla medesima realizzato, rispetto all’approvazione del progetto di demolizione della parte abusiva di tale complesso, non convince. Essa fa perno sulla correlazione tra istanza di alienazione e istanza di condono, sul richiamo al provvedimento sindacale n. 218/01, sull’assunto che non possa, in mancanza di annullamento o revoca di tale favorevole assenso, parlarsi di abusività di opere, peraltro realizzate secondo le clausole degli originari titoli di compravendita, onde risulterebbe anche pregiudicato l’affidamento ingenerato dallo stesso Comune in forza dei titoli traslativi. Si è già detto dell’insussistenza di un atto di condono delle opere abusive e di un obbligo di pronuncia sull’istanza di condono; gli invocati affidamenti ingenerati dai titoli traslativi nulli possono riguardare le costruzioni realizzate in base a regolari titoli edilizi ma non rilevano riguardo ad opere eseguite abusivamente.

Col III motivo, rubricato "error in judicando, violazione del giusto procedimento, violazione del D.P.R. n. 380/01, incompetenza" si denuncia la carenza, erroneamente esclusa dai primi giudici, dei presupposti procedimentali e della tipica e tassativa sequenza procedimentale di irrogazione delle sanzioni per abusi edilizi, il sovvertimento dell’ordine di competenze stabilito dal D.P.R. 380/01, la confusione tra i distinti ed autonomi ambiti della repressione ediliziourbanistica e dei lavori pubblici; si lamenta la mancata emissione, da parte del competente dirigente, di preventiva diffida al responsabile dell’abuso e dell’ordine di demolizione, con assegnazione al responsabile del termine legale di adempimento, e che sia stata direttamente disposta dalla Giunta municipale la demolizione sulla base di progetto predisposto da organo incompetente (responsabile settore lavori pubblici in luogo del responsabile settore urbanistica), bandendo ed aggiudicando i lavori in difetto dei presupposti e sulla base di atti di organi incompetenti; in particolare, gli appellanti sostengono che la speciale procedura di cui all’art. 27 D.P.R. 380/01 non sarebbe applicabile nella specie, trattandosi di realizzazioni consolidate per il decorso di decenni, in relazione alle quali erano state attivate procedure di sanatoria ai fini edilizi e demaniali, ed essendo intervenuta sul piano paesistico l’autorizzazione n. 218/01, onde difetterebbe lo stesso presupposto di opere "sine titulo" su aree gravate da vincolo di inedificabilità paesistica, così come non potrebbero equipararsi a opere "sine titulo" su area gravata da usi civici le opere realizzate in virtù di titoli poi annullati, come nella specie, essendo intervenuto un provvedimento regionale di legittimazione poi annullato.

Le censure sono infondate e pienamente condivisibile risulta l’avviso espresso dai giudici di primo grado. Gli edifici della cui demolizione si discute insistono su area demaniale civica, onde in relazione ai medesimi è possibile il procedimento di demolizione diretta ai sensi dell’art. 27 D.P.R. 380/01, senza il preventivo passaggio dell’ingiunzione al responsabile dell’abuso, il quale nella specie, del resto, sarebbe stato impossibilitato a darvi seguito perché del tutto privo della disponibilità dell’area, riconsegnata al Comune di Castellabate (dopo l’intervenuta confisca, come da verbale del 24.1.01, richiamato anche nell’atto di appello) e riguardo alla quale il Commissario per la liquidazione degli usi civici con la sentenza n. 3/2004 ha respinto (e sul punto si è formato il giudicato) la domanda di restituzione del sig. A.; né è ipotizzabile una "utilità" dell’ingiunzione al responsabile dell’abuso, con assegnazione del termine legale di adempimento, nella prospettiva di evitare una acquisizione delle opere abusivamente realizzate e dell’area di sedime, trattandosi di area di proprietà civica e di manufatti parimenti di proprietà dell’Ente secondo il principio dell’accessione (così come statuito dalla sentenza commissariale più volte citata).

Non vale ad escludere l’applicabilità dell’art. 27 cit. il richiamo fatto dagli appellanti al parere paesaggistico n. 218/001 ed al provvedimento regionale di legittimazione del 1982, che non mutano la natura di costruzioni eseguite senza il comunque necessario titolo edilizio dei manufatti in questione.

Con deliberazione consiliare 28.3.2003 n. 12 il Comune ha espresso (richiamata la comunicazione di attivazione da parte del Direttore dell’Ente Parco di procedimento teso alla demolizione dell’intero complesso) la volontà di conservare le opere assistite da titolo edilizio, per destinarle all’utilizzo pubblico, ed a tal fine di chiedere la sdemanializzazione dell’intera area, nonché la volontà di demolire le opere non assistite da titoli edilizi formalmente rilasciati, ripristinando lo stato dei luoghi.

Aveva, quindi, luogo la conferenza dei servizi sulle tematiche della demolizione del complesso in questione, nel cui ambito il Parco del Cilento evidenziava l’intenzione di attivare le procedure per la richiesta di danno ambientale relativo alle abusività commesse nel sito e di aver avviato la procedura per l’applicazione dei poteri sostitutivi, per la demolizione di tutte le opere realizzate nel complesso immobiliare per poi poter emanare un bando per il progetto di riqualificazione dell’area, ed il Comune rappresentava la volontà di conservare e riqualificare le strutture formalmente assentite e di dar corso alla demolizione delle opere abusive.

Con deliberazione n. 137 del 15.5.2004 la giunta municipale ha approvato i lavori di demolizione secondo progetto dell’ufficio tecnico.

In tale contesto, circa la contestazione degli appellanti che la demolizione non sia stata in concreto disposta dall’organo burocratico, risulta condivisibile (in disparte profilabili questioni di carenza di interessa sul punto) l’avviso del Tar che tanto non assuma valenza invalidante, considerata la peculiarità e complessità del procedimento nel quale si inserisce l’attività del Comune di demolizione di fabbricati di sua proprietà, propedeutica alla riqualificazione del sito; attività che comporta la realizzazione di veri e propri lavori pubblici, secondo il modulo procedimentale a questi proprio.

Il quarto motivo di appello (error in judicando, contraddittorietà, illogicità, irrazionalità) è infondato, non sussistendo giuridica pregiudizialità del giudizio pendente innanzi il giudice civile per ottenere il riconoscimento del diritto ad indennità per i miglioramenti realizzati sul sedime di proprietà civica; la demolizione di parte della "res litigiosa" non ha valenza estintiva di diritti che eventualmente fossero sorti e non ne inibisce l’accertamento, mentre per gli aspetti di quantificazione gli appellanti riferiscono che è già in corso C.T.U., mentre rimane comunque possibile una stima fondata su elementi documentali.

Non può, infine, condividersi il quinto motivo, con il quale è dedotta omissione di pronuncia sui riproposti motivi, anche aggiunti, di primo grado, in quanto il Tar ha risposto, sia pur sinteticamente e non necessariamente seguendo pedissequamente l’articolazione delle censure svolte, alle contestazioni proposte.

L’appello va, in conclusione, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna gli appellanti, in solido, a rifondere alle amministrazioni costituite le spese del giudizio che liquida in complessivi euro 9.000,00 (novemila), di cui 3.000,00 per ciascuna parte, oltre i.v.a. e c.p.a..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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