Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 19-07-2011, n. 28816 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – E.V. propone ricorso, per il tramite del difensore, avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli, del 22 ottobre 2009, che ha respinto la domanda, dallo stesso avanzata, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta dal 13.4.2000 al 23.3.01, in conseguenza dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Napoli nell’ambito di procedimento penale che l’ha visto imputato ex art. 416 bis c.p. e successivamente assolto.

La corte d’appello ha rigettato l’istanza, avendo ritenuto che il richiedente, con il suo comportamento gravemente colposo, aveva contribuito a dar causa al provvedimento restrittivo.

Avverso tale decisione viene, dunque, proposto ricorso per cassazione, ove si deducono i vizi di motivazione dell’ordinanza impugnata e di violazione degli artt. 314 e 315 con riguardo all’affermata sussistenza del presupposto impeditivo al riconoscimento del diritto alla riparazione, cioè di una condotta gravemente colposa del richiedente. Nel ricorso si segnala, inoltre, che al fratello e coimputato dell’istante, E.M., è stato riconosciuto, dalla stessa corte napoletana, il diritto all’equa riparazione, quantificata nella somma di Euro 170.000,00. 2 – Il ricorso è infondato.

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di riparazione per ingiusta detenzione al giudice del merito spetta, anzitutto, di verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine, egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche solo contribuito a determinare, la formazione di un quadro indiziario che ha indotto all’adozione o alla conferma del provvedimento restrittivo. Tale condizione, ostativa al riconoscimento del diritto all’indennizzo, deve manifestarsi attraverso comportamenti concreti, precisamente individuati, che il giudice di merito è tenuto ad apprezzare, in modo autonomo e completo, al fine di stabilire, con valutazione "ex ante", non se essi abbiano rilevanza penale, ma solo se si siano posti come fattore condizionante rispetto all’emissione del provvedimento di custodia cautelare. Condotte rilevanti in tal senso possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (auto incolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione. Nulla vieta al giudice della riparazione di prendere in considerazione gli stessi comportamenti oggetto dell’esame del giudice penale, sempre che la valutazione di essi sia eseguita dal primo non rapportandosi ai canoni di giudizio del processo penale, bensì a quelli propri del procedimento riparatorio, che è diretto non ad accertare responsabilità penali, bensì solo a verificare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo.

Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale si è attenuta a tali principi, avendo ritenuto, sulla base di quanto emerso in sede di indagini, con motivazione adeguata e coerente sotto il profilo logico e nel rispetto della normativa di riferimento, che la condotta del richiedente, quale emersa dai contenuti delle numerose conversazioni captate, avesse sostanzialmente contribuito ad ingenerare, sia pur in presenza di errore dell’autorità inquirente, la rappresentazione di una condotta illecita dalla quale è scaturita, con rapporto di causa-effetto, la detenzione ingiustamente sofferta. I giudici della riparazione, richiamando dette conversazioni, interlocutore di talune delle quali era proprio l’odierno ricorrente, hanno legittimamente ritenuto che costui abitualmente intrattenesse rapporti e frequentazioni con soggetti con lui stesso imputati del delitto associativo e ritenuti colpevoli dei fatti loro contestati. In particolare, da tali conversazioni – i cui contenuti non sono stati contestati – è emersa non solo la frequenza dei rapporti intrattenuti dall’ E. con tali soggetti ( M. C. e M.), ma anche la capacità di costoro di ingerirsi nell’esercizio commerciale dell’ E.; è anche emerso che costui era in così stretti rapporti con taluno di essi da essere nelle condizioni di descriverne minuziosamente l’abitazione e di fare riferimenti, in termini criptici, a questioni certamente non lecite e ad un personaggio – indicato con la sola iniziale "E" e come "amico"- che, proprio per non essere stato nominato, ha fatto ritenere trattarsi del "boss" C.E..

Del tutto legittimamente, quindi, la corte territoriale ha ritenuto che i contenuti di tali conversazioni fossero manifestazione di una condotta gravemente imprudente e negligente nei termini richiamati dall’art. 314 c.p.p.. Una condotta, quindi, che giustamente è stata ritenuta connotata da colpa grave e che aveva quantomeno contribuito alla formazione di un quadro indiziario certamente significativo che ha determinato l’adozione del provvedimento restrittivo. Mentre la diversa decisione adottata dai giudici della riparazione nei confronti del fratello dell’odierno ricorrente, E.M., non ha alcun rilievo in questa sede, trattandosi, evidentemente, di posizione distinta in relazione alla quale si presenta del tutto legittima una diversità di giudizi e di valutazioni.

Il sindacato del giudice di legittimità sul provvedimento che rigetta o accoglie la richiesta di riparazione è, d’altra parte, limitato alla correttezza del procedimento logico-giuridico attraverso cui il giudice di merito è pervenuto alla decisione;

mentre resta di esclusiva pertinenza di quest’ultimo la valutazione dell’esistenza e dell’incidenza della colpa o dell’esistenza del dolo. Anche in ragione di ciò, l’ordinanza in esame non merita di essere censurata, essendo la decisione impugnata del tutto coerente rispetto alle circostanze emerse in sede processuale, correttamente valutate dalla corte territoriale e perfettamente in linea con i principi di diritto affermati da questa Corte in tema di riparazione.

Il ricorso deve essere, quindi, rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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