Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 19-07-2011, n. 28812 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- Con ordinanza del 4 maggio 2010, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, in applicazione del disposto di cui all’art. 314 c.p.p., liquidava a M.G., a titolo di equa riparazione della custodia cautelare ingiustamente sofferta dal 5.8.95 al 15.9.95 (dal 10 agosto in regime di custodia domiciliare), la somma di 5.700,00 Euro.

La corte territoriale, accertato, quanto al diritto all’indennizzo, che il ricorrente non aveva in alcun modo contribuito, nè prima, nè dopo la perdita della libertà personale, a determinare, con una condotta caratterizzata da dolo o colpa grave, l’adozione del provvedimento restrittivo, liquidava, preso atto del protrarsi della detenzione, delle modalità della stessa e delle conseguenze che ne erano conseguite, la somma ritenuta di giustizia.

Avverso tale decisione ricorre, per il tramite del difensore, il M. che deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 314, 315 e 643 cod. proc. pen., mancanza o manifesta illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla individuazione del "quantum" da liquidarsi, per avere la corte territoriale utilizzato solo il parametro aritmetico, senza tener conto di altri parametri valutativi, quali le sofferenze morali e psicologiche patite dall’arrestato, le conseguenze sulla salute nonchè quelle familiari, personali e patrimoniali scaturite dall’ingiusta privazione della libertà.

Ritualmente costituitasi per il Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi il ricorso.

Con memoria depositata in cancelleria, il ricorrente ha ribadito le ragioni di doglianza e la richiesta di annullamento del provvedimento impugnato.

-2- Il ricorso è infondato.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, in particolare di individuazione dei criteri da seguire nella determinazione dell’equo indennizzo, questa Corte ne ha costantemente individuato il carattere indennitario e non risarcitorio, affermando che la liquidazione dello stesso si deve basare su una valutazione equitativa che tenga globalmente conto sia della durata della custodia cautelare sia, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà. Con riferimento alla durata della carcerazione, il criterio di riferimento per il calcolo dell’indennizzo è stato individuato in quello aritmetico, che tiene conto della durata della carcerazione ed è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2, e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303, comma 4, lett. c), espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta restrizione subita. Calcolo grazie al quale si perviene alla individuazione della somma liquidabile di circa 235,00 Euro per ogni giorno di detenzione in carcere, comprensiva di tutte le negative conseguenze generalmente derivanti dalla carcerazione, ridotta alla metà nel caso di arresti domiciliari in vista della loro minore afflittività rispetto alla detenzione in carcere. Detto criterio, che risponde all’esigenza di garantire, nei diversi contesti territoriali, un trattamento tendenzialmente uniforme, non esime, tuttavia, il giudice dall’obbligo di valutare le specificità, positive o negative, di ciascun caso e, quindi, dall’integrare opportunamente tale criterio, innalzando ovvero riducendo il risultato del calcolo aritmetico per rendere la decisione il più equa possibile e rispondente alle diverse situazioni sottoposte al suo esame. La Corte di legittimità ha ulteriormente chiarito "che il giudice è assolutamente libero anche di andare al di là del parametro aritmetico allorchè le conseguenze personali e familiari si rivelino tali – nonostante la modesta durata della privazione della libertà – da meritare un indennizzo senza confini, se non il confine del tetto massimo disponibile", ed ancora che "i parametri aritmetici individuano soltanto di norma o, se si vuole, soltanto tendenzialmente il massimo indennizzo liquidabile relativamente a tutte le conseguenze personali e familiari patibili per ogni giorno di ingiusta detenzione, libero essendo il giudice di discostarsene, sia in meno sia in più, e non solo marginalmente,…dando, però, di quel discostarsi….congrua motivazione (Cass. 8.7.05 sez. 4).

Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, si è attenuta la corte territoriale che, tenuto conto della durata della detenzione, delle modalità di esecuzione della stessa, delle conseguenze determinate dall’applicazione della misura, ha adeguatamente e coerentemente motivato le ragioni della propria decisione, pervenendo ad una liquidazione equa, di poco superiore a quella risultante dall’applicazione del calcolo aritmetico, non avendo riscontrato concreti elementi che giustificassero una significativa integrazione delle somme risultanti dall’applicazione di detto criterio.

E’ pur vero che il M. ha sostenuto che la vicenda che lo ha coinvolto presenta delle peculiarità riconducibili alle gravi conseguenze familiari e personali, anche dal punto di vista della salute, scaturite dalla detenzione, nonchè patrimoniali connesse all’attività commerciale esercitata, ma è anche vero che tali peculiarità risultano solo affermate, non anche dimostrate dall’odierno ricorrente. In particolare, i danni alla salute sono stati genericamente richiamati, e sì che, anche in ragione della notevole risalenza dei fatti in esame e della detenzione sofferta, essi andavano attestati non solo nella loro esistenza ma anche nella loro riconducibilità alla sofferta custodia; mentre non risulta riscontrato in alcun modo il danno patrimoniale causato dalla privazione della libertà. Anche l’eco che l’arresto avrebbe avuto sulla stampa, così come le altre peculiarità richiamate dall’istante, non risultano essere andate oltre le fisiologiche conseguenze che sempre simili vicende, pur dolorose, generalmente determinano nei soggetti che ne sono coinvolti e nelle loro famiglie;

conseguenze già ricomprese nelle somme liquidate con il calcolo matematico, correttamente applicato dalla corte territoriale.

Trattandosi, peraltro, di liquidazione equitativa, la medesima corte non era certo tenuta a specificare le varie voci del danno e l’importo riparatorio per ciascun pregiudizio.

D’altra parte, il controllo di legittimità sulla quantificazione della somma liquidata a titolo di riparazione non può concretizzarsi in un sindacato sulla sufficienza o insufficienza della stessa, essendo tale controllo limitato alla verifica della congruità e logicità della motivazione e della coerenza dei criteri adottati;

caratteri che l’ordinanza impugnata certamente presenta.

Il ricorso deve essere, dunque, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Le peculiarità della vicenda depongono per la compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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