Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-03-2011) 19-07-2011, n. 28811 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

-1- D.B.G. propone, per il tramite del difensore, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Bari, del 21 luglio 2009, che ha respinto l’istanza, dallo stesso proposta, di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in carcere dall’8 marzo 2001 al 5 gennaio 2002 nell’ambito di procedimento penale che lo ha visto destinatario di ordinanza restrittiva, in quanto imputato del reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso; delitto dal quale, è stato poi assolto dal Tribunale di Bari.

I giudici della riparazione sono pervenuti alla decisione di rigetto dell’istanza riparatoria, avendo ravvisato profili di colpa grave nella condotta dell’istante, rappresentati: a) dai contenuti di due conversazioni telefoniche intercorse, l’una, tra D.R. – convivente del capo cosca P.S. e fittizia intestataria del bar presso il quale il D.B. lavorava – e tale " B." (nel corso della conversazione, la D. si era lamentata del fatto che il convivente avesse incaricato il D. B. di occuparsi dei rapporti con le banche relativi all’attività commerciale del bar), l’altra, tra la stessa D. e tale L.S., ritenuto uomo del clan (nel corso della quale l’uomo aveva riferito alla donna quanto da lui detto al D.B. circa la partecipazione di costui alla famiglia ed alla specificazione allo stesso di "determinate cose perchè tu sei lì dentro"; b) dalle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, secondo il quale l’istante non era un affiliato, però stava nel bar come ragazzo di fiducia; c) dalle frequentazioni assidue con componenti la cosca mafiosa.

Elementi ritenuti non bastevoli dal giudice penale ai fini dell’affermazione di responsabilità del D.B. e tuttavia ritenuti dalla corte della riparazione manifestazione di una condotta gravemente imprudente, integrante gli estremi della colpa grave, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ostativa all’accoglimento della istanza di equa riparazione, poichè essa aveva concorso a dar causa alla misura custodiale.

Avverso tale decisione ricorre, dunque, il D.B. che deduce vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata con riguardo sia alla condotta ascrivibile all’istante, sia alla sussistenza di una colpa valutabile nei termini indicati nella norma sopra indicata.

-2- Il ricorso è fondato.

In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia, o meno, determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Viceversa, l’indennizzo deve essere accordato a chi, ingiustamente sottoposto a provvedimento restrittivo, non sia stato colto in comportamenti di tal genere.

Ovviamente, nell’un caso e nell’altro, il giudice deve valutare attentamente la condotta del soggetto, indicare i comportamenti esaminati e dare congrua e coerente, sotto il profilo logico, motivazione delle ragioni per le quali egli ha ritenuto che essi debbano, ovvero non debbano, ritenersi come fattori condizionanti e sinergici rispetto all’adozione del provvedimento restrittivo.

Condotte di tal genere possono essere di tipo extra processuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione, silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal giudice della cognizione.

Orbene, nel caso di specie la corte distrettuale non si è attenuta a tali principi, nel senso che non ha indicato quali concreti comportamenti, caratterizzati da colpa grave o dolo, ostativi all’accoglimento dell’istanza riparatoria, abbia posto in essere il D.B., nè ha precisato quale significativo contributo tali comportamenti abbiano dato alla formazione del quadro indiziario che ha provocato l’adozione, o anche solo la conferma, dell’ordinanza restrittiva. La stessa corte ha posto a fondamento della decisione impugnata i contenuti delle conversazioni telefoniche sopra richiamate che, nei termini in cui sono state riportate, non si presentano significative nel senso ritenuto nel provvedimento impugnato. Ciò oltre che per il fatto che esse coinvolgono solo indirettamente il D.B., rimasto estraneo alle conversazioni, anche perchè in esse è stato solo fatto riferimento alle mansioni dallo stesso svolte all’interno del bar presso il quale svolgeva la propria attività lavorativa; mansioni, del tutto ordinarie e perfettamente compatibili con la posizione dello stesso di dipendente dell’esercizio.

Ancor meno significative si presentano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia che, seppure ha indicato il D. B. quale "ragazza di fiducia", evidentemente del proprietario dell’esercizio, non solo non ha chiarito il senso di tale fiducia, ma ha sostenuto che lo stesso era estraneo al gruppo mafioso.

Altro rilievo avrebbero le richiamate conversazioni e dichiarazioni se da esse fosse stato possibile trarre la convinzione che il D. B. abitualmente ed imprudentemente fosse solito frequentare, per ragioni non connesse con l’attività lavorativa espletata, soggetti appartenenti al gruppo mafioso indagato. Per vero, nella parte terminale dell’ordinanza impugnata la corte territoriale ha sostenuto che dagli atti sarebbe emersa l’abitudine del D. B. di frequentare assiduamente esponenti di detto gruppo – condotta che, se realmente accertata, connoterebbe di colpa grave, nel senso inteso dalla richiamata disposizione di legge, la condotta dell’odierno ricorrente – e tuttavia, il giudice della riparazione si è limitato a richiamare, a sostegno del proprio assunto, le "annotazioni di polizia", i cui contenuti non ha, tuttavia, esplicitato, come pur sarebbe stato necessario ai fini della verifica, non solo della reale esistenza di incontri del richiedente con tali soggetti, ma anche delle modalità, dei luoghi, delle occasioni di tali incontri, dai quali legittimamente si sarebbe eventualmente potuto trarre argomento per ritenere gravemente imprudente, seppur non penalmente rilevante, la condotta dell’istante.

L’ordinanza impugnata, dunque, presenta una motivazione illogica e non in linea con i principi di diritto elaborati da questa Corte, di guisa che essa deve essere annullata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Bari.

P.Q.M.

Annulla con rinvio alla Corte d’Appello di Bari.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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