Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 19-07-2011, n. 28807 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza in data 25.3.2009 la Corte di appello di Catania respingeva la richiesta di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da F.J. in relazione alla custodia cautelare dal medesimo subita per un periodo di un anno e 27 giorni (dal 22 maggio 2007 al 17 giugno 2008) in relazione alla imputazione di concorso nel reato di sfruttamento della prostituzione.

2. Avverso tale ordinanza ricorre per cassazione l’interessato, attraverso il difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e difetto della motivazione per aver escluso la riparazione ritenendo che il medesimo avesse dato causa per colpa grave alla detenzione, ma senza specificare in che cosa siano consistiti i comportamenti ostativi.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato.

Ai fini dell’accertamento del requisito soggettivo ostativo al riconoscimento dell’indennizzo in questione, il giudice del merito, investito dell’istanza per l’attribuzione di una somma di danaro a titolo di equa riparazione per l’ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314 cod. proc. pen., ha il dovere di verificare se la condotta tenuta dall’istante nel procedimento penale, nel corso del quale si verificò la privazione della libertà personale, quale risulta dagli atti, sia connotabile di dolo o di colpa grave. Il giudice stesso deve, a tal fine, valutare se certi comportamenti riferibili alla condotta cosciente e volontaria del soggetto, possano aver svolto un ruolo almeno sinergico nel trarre in errore l’autorità giudiziaria; ciò che il legislatore ha voluto, invero, è che non sia riconosciuto il diritto alla riparazione a chi, pur ritenuto non colpevole nel processo penale, sia stato arrestato e mantenuto in detenzione per aver tenuto una condotta tale da legittimare il provvedimento dell’autorità inquirente (sez. 4 7.4.99 n. 440, Min. Tesoro in proc. Petrone Ced 197652).

Le sezioni unite di questa Corte (sentenza 13.12.1995 n. 43, Sarnataro rv.203638) hanno poi ulteriormente precisato che "Nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è necessario distinguere nettamente l’operazione logica propria del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo operare, eventualmente, sullo stesso materiale, deve seguire un "iter" logico- motivazionale del tutto autonomo, perchè è suo compito stabilire non se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma se queste si sono poste come fattore condizionante (anche nel concorso dell’altrui errore) alla produzione dell’evento "detenzione" ed in relazione a tale aspetto della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione (di natura civilistica), sia in senso positivo che del tutto evidente, rispondendo ad un principio generale, che), sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza di una causa di esclusione del diritto alla riparazione".

Nella specie il provvedimento impugnato non assolve all’obbligo di motivazione dal momento che, come esattamente rilevato dal Procuratore Generale presso questa Corte con la sua requisitoria scritta, più che rivalutare, come consentito, il materiale oggetto del giudizio penale nella anzidetta prospettiva, si è concentrato sulla verifica della sussistenza di indizi di colpevolezza nel momento della privazione della libertà, rilevando che "al momento dell’intervento delle forze dell’ordine intervenute nella struttura abbandonata sita in questo (OMISSIS) ove era stata condotta con la forza la giovane rumena A., sono stati arrestati i rumeni, compresi il F." ed attribuendo valore al dato, di per sè neutro, che la misura non fosse stata revocata dal Tribunale del riesame; inoltre la Corte di Potenza, pur riferendo di comportamenti osservati dagli stessi agenti operanti che indicavano una costrizione sulla ragazza, non ha precisato le modalità e circostanze di tali comportamenti e la riferibilità degli stessi anche all’attuale ricorrente, in modo da individualizzarne la posizione come richiesto dalla necessità di valutarne la colpa grave, anche tenuto conto del fatto che la ragazza ha poi ritrattato le accuse inizialmente formulate.

3. Si impone dunque l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Catania per una ulteriore valutazione che tenga conto di quanto sopra osservato.

P.Q.M.

annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello di Catania.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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