Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 10-03-2011) 19-07-2011, n. 28761 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Venezia ha confermato la responsabilità di A.I. per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 per aver concorso nella detenzione a fine di spaccio di gr. 25 di cocaina, reato consumato il (OMISSIS); in applicazione della L. 21 febbraio 2006, n. 49 ha ridotto la pena inflitta in primo grado a due anni ed otto mesi di reclusione ed Euro 120000,00 di multa.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato. Con il primo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e dagli atti del procedimento in punto di asserita prova della finalità di spaccio, art. 606 c.p.p., lett. E) – nonchè inosservanza della norma processuale di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 in quanto, secondo il ricorrente, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ne ha fondato l’affermazione di responsabilità esclusivamente sulla base della chiamata in correità da parte della coimputata N.G. A., senza esaminare il motivo di appello con il quale era stata censurata la violazione, da parte del Giudice di I grado, della norma di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3 e in particolare dei criteri valutativi che il legislatore ha dettato per valutare l’efficacia probatoria della chiamata di correo. Con il secondo e terzo motivo deduce mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e dagli atti del procedimento in ordine alla mancata concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità e di quella della collaborazione previste, rispettivamente, da comma 5 a comma 7 dell’art. 73. Lamenta ancora che è stata omessa ogni valutazione sulla mancata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6 e che la pena finale, alla luce delle attenuanti sopra richiamate dovrà essere rideterminata e ridotta.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto deduce motivi manifestamente infondati e non specifici.

2. Secondo il combinato disposto dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) e art. 581, comma 1, lett. c), l’impugnazione deve infatti contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono la richiesta. La previsione ha ragion d’essere nella necessità di porre il giudice della impugnazione in grado di individuare i capi e i punti del provvedimento che si intendono censurare e presuppone che le censure stesse siano formulate con riferimento specifico alla situazione oggetto di giudizio e non già con formulazioni che, per la loro genericità, si attagliano a qualsiasi situazione. La sanzione trova applicazione anche quando il ricorrente nel formulare le proprie doglianze nei confronti della decisione impugnata trascura di prendere nella dovuta considerazione le valutazioni operate dal giudice di merito e sottopone alla Corte censure che prescindono da quanto tale giudice ha già argomentato. Nel presente caso il ricorrente censura la sentenza impugnata sulla base della mera prospettazione dei vizi denunciati, senza riguardo a quanto motivatamente e del tutto correttamente la sentenza impugnata ha già osservato in ordine ai vari profili ancora riproposti. Deve in particolare ricordarsi che la responsabilità del ricorrente è stata ritenuta sulla base di un compendio probatorio più ampio delle sole dichiarazioni della coimputata, e precisamente sulla base della diretta osservazione del contegno tenuto dal medesimo nel periodo di controllo attuato dagli agenti e nella inverosimiglianza della tesi circa la sua inconsapevolezza della natura delle "palline" che la coimputata gli lanciava. Anche il diniego delle attenuanti è stato correttamente motivato dalla corte di appello con riferimento al dato quantitativo, tale da escludere di per sè un giudizio di lieve allarme sociale, ed all’assenza di quel contributo determinante alle indagine che è richiesto per la collaborazione. Alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore delle cassa delle ammende che, in considerazione dei motivi dedotti ed anche dopo la sentenza della Corte Cost. n. 186 del 2000, stimasi equo fissare in Euro mille.

P.Q.M.

– dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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