Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 01-03-2011) 19-07-2011, n. 28452 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza dell’1.8.2008, emessa all’esito di giudizio abbreviato, il GUP del Tribunale di Milano dichiarava P. A., M.S., Z.A., Z. F., F.C., FA.Gi., M.C., D.G., S.I., PI.Fr. e MO.Pa. colpevoli del delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti agli stessi contestato al capo A) della rubrica accusatoria ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74; e inoltre S.I. del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8; PI.Fr. e MO.Pa. dei reati di detenzione, trasporto e commercio illegali di sostanze stupefacenti del tipo cocaina di cui ai capi D) ed E); Z.F. del reato di detenzione, trasporto e importazione illegali di sostanze stupefacenti del tipo cocaina di cui al capo F); Z.F. e F.C. del reato di detenzione, trasporto e commercio illegali di sostanze stupefacenti del tipo cocaina di cui al capo G); Z. F., MO.Pa., P.A., del reato di detenzione, trasporto e importazione illegali di sostanze stupefacenti del tipo cocaina di cui al capo H); condannava i predetti imputati alle pene per ciascuno di essi specificate in dispositivo, oltre alle pene accessorie di legge; applicava la misura di sicurezza della libertà vigilata per la durata di anni tre nei confronti del M., del P. del MO. e del PI.; condannava tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali e, in solido, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore delle parti civili costituite, la società SOGEMI S.p.a. e PR.Ro.; ordinava la confisca e la distruzione della sostanza stupefacente in sequestro, la confisca della quota di partecipazione di Z.F. nella soc. Vicolo Fiori S.a.s. e di altri beni apparentemente riferibili alla stessa società ma ritenuti riconducibili all’imputato; la confisca di un immobile intestato al MO. e di alcuni immobili intestati alla moglie del predetto, C.G., ma ritenuti riconducibili all’imputato; la confisca di un’autovettura intestata a M.L. ma ritenuta nella disponibilità effettiva di P.A.; e infine, la confisca delle quote sociali della SPAM s.r.l. intestate a M.C..

2. Sull’appello del PM, del PG e degli imputati, la Corte territoriale, con sentenza del 17.7.2009, in riforma della decisione del GUP, assolveva lo S. dal reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8, perchè il fatto non costituisce reato, riducendo la pena allo stesso inflitta; revocava la confisca dei beni intestati a MO.Pa. e a C.G.; confermava, nel resto, la sentenza di primo grado.

3. La Corte di merito identificava i tratti distintivi dell’associazione per delinquere ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, rilevando una serie di elementi sintomatici, quali:

a) la fitta rete di rapporti tra i soggetti coinvolti nell’imputazione, ritenuta espressione di un accordo criminoso destinato a durare nel tempo, anche in considerazione della articolazione internazionale delle attività del gruppo, che aveva contatti con trafficanti esteri operanti in Brasile, Argentina e Bolivia; contatti che avevano portato alla conclusione della spettacolare operazione di importazione di ben 206 kg di cocaina (oggetto dell’imputazione sub h), che già per sè sola richiedeva una stabile organizzazione anche per l’immissione sul mercato e per la distribuzione finale di un così ingente quantitativo di droga. b) La struttura organizzativa caratterizzata da una determinata ripartizione dei ruoli tra gli associati, da rapporti gerarchici e dalla disponibilità di stabili basi logistiche (il ristorante di Z.A.; lo studio professionale di Mo.Iv.;

c) La capacità di reazione mostrata dal gruppo rispetto all’azione di contrasto degli inquirenti;

d) La disponibilità di mezzi finanziari di notevolissima consistenza, che non potevano essere il frutto di apporti isolati nè occasionali.

3.1 I giudici di appello consideravano inoltre punti di riferimento dell’associazione le strutture societarie "parallele" dell’Ortomercato di (OMISSIS) facenti capo a P.A., nelle quali si era ingerito M.S., già condannato in passato per traffici di droga. La compiuta analisi delle vicende della varie società e dei loro collegamenti è contenuta alle pagg.

391 e ss. della sentenza, relative alla posizione del M..

Qui basta ricordare le puntuali notazioni della Corte territoriale sull’improvvisa ripresa finanziaria di cui aveva beneficiato il P., gravato, nei primi anni 2000, da una pesantissima esposizione debitoria, in coincidenza con l’ingerenza del M., che non vantava alcuna specifica esperienza nel settore, avendo in passato espresso professionalità criminali pressochè soltanto nel traffico di sostanze stupefacenti, ed essendo peraltro reduce da recenti esperienze carcerarie; e sulle anomalie contabili rilevate da un’ apposita consulenza tecnica nella gestione delle varie società, caratterizzata da ingiustificati prelievi di contante per grossi importi, tra l’altro nel periodo in cui era in corso l’importazione dell’ingente quantitativo di cocaina di cui al capo h), e da un movimento di false fatturazioni per imponibili complessivamente elevatissimi (vedi ad es., le 38 fatture per operazioni inesistenti riferibili alla sola soc. S.G.A. Service Scarl, per complessivi Euro 1.828.403,10). La Corte riteneva quindi che il M. avesse strumentalizzato organismi societari apparentemente leciti, per gestire le enormi liquidità riferibili al traffico di droga e considerava significativa dell’appartenenza al parallelo sodalizio criminale, non solo l’adesione al programma associativo con compiti direttamente operativi nella gestione del traffico (come nel caso del MO., del P., del PI., del F. e di Z.A. e F.), ma anche i ruoli assunti dagli altri imputati del reato associativo ( FA., MI., D., S.) nelle strutture dell’Ortomercato, con la consapevolezza della strumentalizzazione delle attività societarie agli specifici interessi criminali del M. e degli altri sodali, consapevolezza rilevata da una serie di circostanze, tra le quali i rapporti personali dell’uno o dell’altro con il M. e altri coimputati, l’attiva partecipazione alle frodi contabili (particolarmente rilevante nel caso dello S., che era il consulente contabile delle varie società del gruppo e aveva promosso in prima persona altre spregiudicate operazioni societarie).

3.2 Per quel che riguarda i reati fine come rispettivamente contestati agli imputati ai capi D) E) F) G) ed H), i giudici di appello valorizzavano il sistema di relazioni personali tra gli imputati emerso in occasione di operazioni di polizia che avevano portato al sequestro di droga (vedi i 18 kg di cocaina rinvenuti il (OMISSIS) in un appartamento di via (OMISSIS) risultato nella disponibilità di Pr.Gi. e V. S., giudicati separatamente; il sequestro, operato dalla polizia spagnola di kg 206 di cocaina , provenienti dalla Bolivia e occultati all’interno di un camper, che era stato poi fatto proseguire per la sua prevista destinazione in territorio nazionale con un residuo carico di 24,300 kg di droga, definitivamente sequestrato presso il porto di (OMISSIS)); o i contatti personali degli imputati interpretati come significativi del loro coinvolgimento in altri specifici traffici di droga anche alla luce dei risultati delle attività intercettative (vedi il capo D), relativo alla ipotizzata consegna al PI. e al MO., da parte del Pr., di un kg. di stupefacente presso la stazione di (OMISSIS); il capo F), relativo alla detenzione, al trasporto e all’importazione di un ingente quantitativo di cocaina, fatti per i quali ha riportato condanna Z.F., che avrebbe agito in concorso con G. e T., separatamente giudicati; il capo G), relativo ad una partita di cocaina oggetto di una triangolazione di rapporti tra Z.F. come fornitore, F.C. come addetto alla consegna, R. (separatamente giudicato), come acquirente.

4. Hanno proposto ricorso tutti i predetti imputati, personalmente o per mezzo dei propri difensori. Un motivo ripetutamente dedotto (ricorsi di FA.Gi., P.A., F.C., D.G., MO.Pa., M.S.), denuncia il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 8 c.p.p., per il mancato accoglimento dell’eccezione di incompetenza territoriale sollevata da vari difensori nel corso del giudizio di merito.

5. Per il resto, il difensore di FA.Gi. rileva la contraddittorietà della motivazione e la mancata "correlazione tra la contestazione e la motivazione", per avere i giudici di appello ribadito il giudizio di responsabilità del ricorrente in ordine al reato associativo, in assenza di qualunque contestazione relativa a taluno dei reati fine. I giudici territoriali avrebbero altresì illogicamente ritenuto e valorizzato il presunto ruolo del FA. quale uomo di fiducia del M. nella gestione delle società Job Service operanti nel sistema di Consorzi e Cooperative dell’Ortomercato di (OMISSIS), vagamente indicate come punto di riferimento delle attività degli associati senza il supporto di elementi concreti; e avrebbero inoltre indebitamente attribuito rilievo probatorio al contenuto di alcune conversazioni telefoniche intercettate in cui risulta coinvolto il ricorrente, che si riferirebbero soltanto a prestiti di denaro senza alcun collegamento rispetto ai traffici di droga oggetto del procedimento;

6. Il difensore del D., dopo avere richiamato e riproposto, senza ulteriori puntualizzazioni, "tutte le questioni relative alla competenza per territorio, e le questioni di nullità ed inutilizzabilità già avanzate nel corso del giudizio di merito", ribadendo inoltre la propria adesione alle analoghe questioni sollevate da altri difensori, lamenta il vizio di motivazione della sentenza in punto di responsabilità per il reato associativo.

I giudici territoriali non avrebbero adeguatamente considerato che al ricorrente non è contestato nessun reato fine; e avrebbero illogicamente valorizzato il presunto ruolo di fiducia del M. dello stesso ricorrente, in realtà del tutto irrilevante in ragione del fatto che tutte le condotte del D. ritenute significative della sua partecipazione al sodalizio, si collocherebbero temporalmente in epoca successiva all’arresto del M.; avrebbero trascurato che numerose pronunce del tribunale del riesame avevano escluso che le attività in cui era impegnato il ricorrente fossero strumentali ad affari illeciti; non avrebbero in alcun modo motivato sulla presunta consapevolezza del ricorrente circa il coinvolgimento in traffici illeciti dei coimputati entrati in contatto con lui, tanto più considerando la mancata contestazione all’imputato di reati fine.

7. Nell’interesse del F., la difesa dopo avere ampiamente sviluppato la questione della competenza territoriale, rileva:

a) il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, e ai criteri legali di valutazione della prova stabiliti dall’art. 192 c.p.p., nonchè l’insufficienza e l’illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e).

La Corte territoriale avrebbe valorizzato ben scarni e inconcludenti elementi di prova per ribadire il giudizio di responsabilità del ricorrente in ordine al reato associativo, tutto risolvendosi sostanzialmente nella rilevazione dell’assidua frequentazione dei coimputati Z.F. e, in minor misura, del di lui fratello A., dalla quale sarebbero scaturiti occasionali contatti anche con l’ Au., ma dal punto di vista dell’imputato soltanto nel quadro della sua ricerca di oneste attività lavorative nel settore dei prodotti tipici alimentari.

Sarebbe del tutto congetturale, inoltre, la valutazione dei giudici di appello del coinvolgimento del F. nel traffico di droga oggetto del capo G), e comunque illogica la sottolineatura dei viaggi effettuati dal F. insieme all’ Au., o della disponibilità in un’altra occasione mostrata, a recapitare una busta al ristorante dello Z.A., come indicazioni dell’affectio societatis; e altrettanto illogica la lettura in chiave accusatoria di alcuni incontri conviviali o del presunto significato criptico di alcune conversazioni intercettate;

b) il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, e ai criteri legali di valutazione della prova stabiliti dall’art. 192 c.p.p., nonchè l’insufficienza e l’illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione al reato di cui al capo G). I giudici territoriali avrebbero fornito del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche, pianamente spiegabili in senso del tutto difforme dall’ipotesi accusatoria, secondo le spiegazioni dell’imputato, un’interpretazione del tutto arbitraria, giungendo a supporre senza alcun reale fondamento che l’accenno a quello che " R. si è preso" fosse riferito non ad una somma di denaro, ma "sicuramente" a sostanza stupefacente.

Risulterebbe peraltro che per il ricorrente l’incontro con il R. fosse stato del tutto occasionale e inaspettato, e che il F. fosse stato incolpevolmente "incastrato" nella vicenda. Ma la Corte di merito avrebbe anche inspiegabilmente svalutato la circostanza che lo Z., pur autore di una scelta di collaborazione nel corso del procedimento, non aveva effettuato alcuna chiamata in reità nei confronti del F. in relazione allo specifico episodio in oggetto.

Infine, la difesa contesta radicalmente il valore indiziante del contenuto della conversazione telefonica nr. 398 delle ore 11.37.07 di 5.4.2006;

c) il difetto di motivazione della sentenza in ordine alla censure difensive avanzate con l’atto di appello sul trattamento sanzionatorio, con riguardo alla personalità dell’imputato, alla marginalità della sua partecipazione ai fatti, e all’assenza di precedenti penali.

8. A favore del P., la difesa, dopo la preliminare questione di competenza territoriale, articola i seguenti motivi:

a) indetenninatezza dell’imputazione di cui al capo H per l’omessa indicazione del ruolo attribuito al ricorrente e conseguente violazione del diritto di difesa; violazione dell’art. 649 c.p.p., per essersi la sentenza pronunciata su un "fatto" escluso dalla sentenza di primo grado. La difesa sottolinea che per rimediare alla carente indicazione del ruolo dell’imputato nel fatto di cui al capo h), i giudici territoriali si sono riferiti al ruolo che lo stesso imputato avrebbe rivestito in seno all’associazione di cui al capo A), operando una indebita trasmigrazione probatoria al reato-fine, delle risultanze istruttorie relative alla fattispecie associativa.

Sarebbe stato così modificato il quadro sostanziale della contestazione di cui al capo h) e pregiudicato il diritto di difesa dell’imputato, che secondo l’originaria impostazione accusatoria doveva difendersi dall’addebito di avere fatto da tramite tra i concorrenti nella stessa vicenda di traffico di droga, e m.

F.. L’inaccettabile valutazione dell’interdipendenza probatoria tra le due ipotesi di reato, comporterebbe inoltre la violazione del giudicato, dal momento che il gup aveva in concreto escluso il ruolo intermediario dell’imputato supposto dall’accusa. All’imputazione sub h) si riferisce anche il successivo motivo di ricorso, incentrato sull’illogica valorizzazione, da parte della Corte di merito, dell’insignificante coincidenza della ripresa dei traffici di droga da parte di tutti i coimputati, una volta restituiti allo stato di libertà, in concomitanza con la liberazione dello stesso ricorrente.

Sarebbe del tutto evanescente anche la portata indiziaria dei contatti tra il ricorrente e il MO., in nessun modo riferibili al traffico di droga sulla base delle circostanze di prova analizzate in sentenza e pianamente spiegabili con i normali rapporti di frequentazione personale tra i due imputati; e del tutto incongrua sarebbe la citazione dei contatti con il M., che non risulta implicato nello specifico reato. Ancora, sarebbe del tutto arbitraria la decodificazione di alcuni termini usati nelle conversazioni intercettate, con particolare riguardo alle parole "documenti" e "leasing" , come nella conversazione del 20.7.2006 tra il ricorrente e il MO.;

b) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine al delitto associativo. c) mancanza di motivazione in ordine alla ritenuta congruità del trattamento sanzionatorio adottato dal giudice di primo grado. Le censure si concretizzano nel rilievo "comparativo" di un’ingiustificata disparità di trattamento tra il ricorrente e i coimputati, nonostante il più marginale ruolo nei fatti del primo. d) mancanza o insufficienza della motivazione in ordine alla confisca dell’autovettura Audi intestata al cognato del ricorrente. La difesa ricorda un arresto giurisprudenziale sui termini dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti giudiziari, e lamenta che la Corte di merito non si sia attenuta ai principi in materia. Al ricorso sono allegati numerosi documenti processuali. Sono stati depositati motivi aggiunti.

9. Nel ricorso proposto nell’interesse di Z.A., la difesa deduce anzitutto il difetto di motivazione della sentenza su alcune questioni proposte con l’atto di appello in relazione ad argomenti di decisivo rilievo ai fini del giudizio. Secondo la Corte territoriale il ricorrente avrebbe consapevolmente messo a disposizione degli altri associati il proprio ristorante come luogo di incontri e di riunioni per la gestione di traffici di droga, ma avrebbe del tutto trascurato di esaminare le dichiarazioni favorevoli alla Z. dei coimputati A.L. e di M. I., per quanto entrambi autori di dichiarazioni confessorie ed eteroaccusatorie, ed entrambi ritenuti attendibili dai giudici territoriali. Così come la Corte di appello non si sarebbe in alcun modo occupata delle censure difensive dirette a sottolineare l’incompatibilità logica della presunta partecipazione del ricorrente all’associazione criminale in questione, con le iniziative giudiziarie contro di lui assunte nei confronti del fratello F., che farebbe parte della stessa associazione. Nessun passaggio argomentativo sarebbe rinvenibile nella sentenza rispetto all’impossibilità che il ricorrente potesse percepire i dialoghi tra i coindagati, che come emerso dai servizi di osservazione non avvenivano all’interno del ristorante ma all’esterno, e in assenza dello stesso ricorrente. Altra doglianza riguarda il rigetto, da parte della Corte territoriale, delle istanze difensive dirette all’esame dell’ Au., del Mo. e di Z. F.. Con il secondo motivo, la difesa denuncia il vizio di violazione di legge della sentenza in relazione alla qualificazione giuridica della condotta del ricorrente, che avrebbe dovuto essere ricondotta alla fattispecie di favoreggiamento personale di cui all’art. 378 c.p., dal momento che emergerebbe dagli atti che il ricorrente si era soltanto prestato ad aiutare il fratello ad eludere le investigazioni in corso dopo la scoperta di alcune microspie all’interno degli uffici del Mo. in via (OMISSIS).

Il difensore di MI.Ca. eccepisce anzitutto il difetto di motivazione della sentenza rispetto alle censure mosse alla sentenza di primo grado con l’atto di appello. Gli altri motivi rilevano sotto vari profili l’incongruità della valutazioni dei giudici di appello sulla responsabilità della ricorrente per il reato associativo.

Sotto un primo aspetto, la sentenza incorrerebbe nel vizio di violazione di legge e nel difetto di motivazione nella misura in cui avrebbe posto a carico della ricorrente elementi di prova tratti da intercettazioni telefoniche storicamente successive all’arco temporale della contestazione associativa, in assenza delle necessarie contestazioni suppletive del PM; i giudici di appello avrebbero avvertito l’incongruenza, rilevando che tali intercettazioni costituivano riscontro di indicazioni di prova riferibili a periodi precedenti, ma di questi ultimi elementi di prova non avrebbero poi contraddittoriamente dato alcun conto, limitandosi ad un rinvio alla motivazione del giudice di primo grado.

Gli stessi vizi di legittimità sarebbero riscontrabili riguardo alla motivazione sull’elemento psicologico del reato; i giudici territoriali avrebbero illogicamente valorizzato la consapevolezza dell’imputata circa irregolarità contabili e sistemi anomali di prelievi di contanti e di movimentazioni di cassa come significativi di una corrispondente consapevolezza dei traffici di droga che ruotavano introno alla società, senza nemmeno preoccuparsi di identificare il contributo che l’imputata avrebbe offerto a tali traffici e senza considerare l’assenza di contatti diretti tra la ricorrente il M., o di frequentazioni con altri coimputati che non fossero il suo datore di lavoro. L’ipotesi associativa è peraltro contestata dalla difesa anche sotto il profilo oggettivo, denunciandosi al riguardo in ricorso le insufficienze argomentative della sentenza impugnata sui livelli organizzativi dell’associazione, e la mancata differenziazione tra i soggetti che avrebbero operato consapevolmente a favore del sodalizio e quelli che sarebbero stati al più utilizzati come strumenti inconsapevoli, categoria quest’ultima alla quale apparterrebbe la MI.. I motivi nr. 4 e 5 sviluppano ulteriormente le deduzioni difensive sull’ipotesi associativa con specifico riferimento ai rapporti tra P.A. e il M., per rilevare la carenza di motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza di prove di illeciti accordi tra i due nel settore del traffico di droga, e sulla strumentalizzazione allo stesso traffico delle strutture societarie riferibili ai predetti; e per sottolineare che, comunque, l’implicazione della ricorrente in irregolarità contabili avrebbe potuto al più comportare al più sua responsabilità per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 8. L’ultimo motivo afferisce al trattamento sanzionatorio, lamentando la difesa la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza impugnata in ordine al mancato contenimento della pena nel minimo assoluto, in dipendenza della concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute dai giudici territoriali prevalenti sull’aggravante contestata sulla base di considerazioni che avrebbero dovuto indurli ad attribuirvi il massimo effetto mitigatore della pena. Sono stati depositati motivi nuovi, con produzione documentale.

11. Il difensore di PI.Fr. deduce con il primo motivo, con dichiarato riferimento all’art. 606 c.p.p., lett. e), il difetto di motivazione della sentenza in relazione all’art. 125 c.p.p, commia 3 e art. 546 c.p.p., lett. c) e art. 649 c.p.p..

Riguardo a quest’ultima norma, si tratta più propriamente della denuncia del vizio di violazione di legge in relazione al divieto del ne bis in idem; secondo la difesa i fatti oggetto del presente procedimento sarebbero stati già giudicati, con sentenza irrevocabile nel proc. C.d. "Ciaramella", essendosi esplicati nello stesso ambito spazio-temporale della contestazione associativa di cui al capo a) ed essendo coincidenti anche riguardo all’identità degli associati. La conclusione dell’esistenza della regiudicata dovrebbe discendere anche dalla considerazione della natura permanente del reato associativo, e non potrebbe ritenersi confutata dalla non dimostrata affermazione della corte di merito secondo cui l’associazione già oggetto di sentenza irrevocabile sarebbe cessata con il sequestro di 15 kg di cocaina avvenuto nel gennaio 2004, tanto più che emergerebbe la prosecuzione del sodalizio almeno fino all’arresto dello stesso PI. e del M., avvenuto nell’Ottobre del 2005. In ricorso sono citate Cass. 14.12.2005, Lanzino, e 10.10.1997 Latella.

Con il secondo motivo, la difesa rileva comunque la contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza in ordine all’affermazione della responsabilità del ricorrente in ordine a tutti i reati allo stesso ascritti. Riguardo al capo d), sarebbe arbitraria l’interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate in cui figura implicato il ricorrente, come univocamente riferibile a traffici di droga, come ad es nel caso della conversazione delle ore 13,58 dell’11.12.2004; contraddittoria l’affermazione che il PI., sarebbe stato incaricato di ritirare un partita di droga in occasione del suo incontro con il MO. presso la stazione di (OMISSIS), rispetto alla diversa ricostruzione della vicenda contenuta nella stessa sentenza;

contraddittoria l’affermazione del ruolo di tramite del ricorrente finalizzato ad evitare contatti diretti tra il MO. e il Pr., con il rilievo che il MO. e il PI. si alternavano indifferentemente negli incontri con il Pr.;

carenti le valutazioni sul coinvolgimento del ricorrente nel reato di cui al capo e), riferito ad una partita di 18 kg di cocaina sequestrata il (OMISSIS), non potendosi ritenere sufficienti le conversazioni intercettate a fronte dell’assenza del ricorrente sui luoghi in occasione del sequestro; illogico che il giorno del sequestro un tal B. "utilizzi un camion per scendere in (OMISSIS)", quando il ruolo del P. nel contesto associativo sarebbe stato secondo l’accusa quello di collocare la droga sul mercato milanese e non in Calabria. La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria anche in ordine alla ritenuta partecipazione del ricorrente al reato associativo. Non solo i giudici territoriali da un parte rilevano che l’associazione di cui al capo a) sarebbe autonoma e diversa da quella che aveva operato in (OMISSIS); dall’altra sottolineano i continui spostamenti di alcuni presunti partecipi tra (OMISSIS), con ciò contraddicendosi rispetto all’affermazione dell’autonomia del gruppo milanese e di quello calabrese; ma non offrono un esauriente supporto argomentativo all’individuazione del ruolo del ricorrente come coordinatore dei vari canali di importazione della sostanza stupefacente.

Dalle conversazioni analizzate in sentenza inoltre, sarebbe desumibile che il ricorrente avesse rapporti solo con il Pr., il MO. e il M., quest’ultimo peraltro a lui legato da un rapporto di parentela, mentre i referenti dell’associazione per l’importazione di droga dall’estero sarebbero stati altri soggetti, uno dei quali aveva esplicitamente affermato di avere avuto rapporti soltanto con lo Z.. Al ricorso sono allegati documenti processuali relativi al procedimento "Ciaramella". Sono stati depositati motivi aggiunti.

8. Nell’interesse di M.S. la difesa eccepisce con il primo motivo il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 546 c.p.p., comma 3, per non avere i giudici di appello rilevato la nullità della sentenza di primo grado, non sottoscritta in ogni suo foglio dall’estensore ma soltanto nella pagina finale; solleva la questione di competenza territoriale e lamenta la violazione del principio del ne bis in idem; con il secondo motivo, lamenta la contraddittorietà "della sentenza" e la mancata correlazione tra contestazione e motivazione.

La sentenza avrebbe utilizzato "argomentazioni contraddittorie laddove, al fine di dimostrare la partecipazione al reato associativo di coloro i quali si vedono contestato un solo reato fine, nulla dice per coloro i quali non hanno nessuna contestazione specifica".

La mancata correlazione tra imputazione associativa e sentenza sarebbe ravvisabile nell’utilizzazione da parte della Corte di merito, di "ragionamenti deduttivi e coincidenze telefoniche" per dimostrare il ruolo direttivo, organizzativo e di finanziamento assunto dall’imputato nell’importazione di 206 kg di cocaina di cui al capo h), episodio specifico peraltro nemmeno contestato al ricorrente. La motivazione sarebbe inoltre illogica nella rilevazione del ruolo che l’imputato avrebbe avuto nella organizzazione delle società operanti all’intero dell’Ortomercato di (OMISSIS), vagamente definite in sentenza come punto di riferimento" delle attività degli associati, senza che sia emersa alcuna circostanza utile per dimostrare l’assunto. L’affermazione sarebbe oltretutto in contrasto con l’assenza di qualunque riferimento alle strutture dell’ortomercato in sede di analisi dei singoli episodi di traffico di droga. Sono stati depositati motivi aggiunti.

12. Il difensore di Z.F.A. lamenta il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), in ordine a tutti i capi di condanna. In particolare, dopo ampie enunciazioni di principio sui criteri di giudizio che debbono presiedere all’affermazione di responsabilità penale, lamenta che i giudici di merito abbiano ribadito la decisione di primo grado tanto in ordine al reato di cui al capo F) che al reato di cui al capo G), in difetto di indicatori fattuali di effettivo spessore empirico, attribuendo arbitrariamente ad alcuni dati di prova insuperabilmente ambigui, come i contenuti delle intercettazioni telefoniche, un significato confermativo dell’ipotesi accusatoria, ed altrettanto arbitrariamente avendo sottolineato la mancata giustificazione offerta dal ricorrente e degli altri imputati coinvolti nei fatti, circa l’oggetto dei propri contatti personali. Riguardo al reato di cui al capo F), sarebbe stata poi illogicamente sopravvalutata dalla corte di merito, una conversazione ambientale intercettata a distanza di un anno dagli episodi oggetto dell’imputazione, avendo tra l’altro i giudici di appello attribuito indebito significato di prova al riferimento degli interlocutori al camper sequestrato il 24.1.2007 con all’interno tracce di cocaina, e sarebbe stata illogicamente trascurata la circostanza che le propalazioni auto ed etero accusatorie dello G. non avevano investito il ricorrente. Con specifico riferimento all’ipotesi associativa, la difesa lamenta l’insufficiente approfondimento dei dati di prova analizzati dalla corte di merito, ai fini della discriminazione tra il reato associativo e l’ipotesi del concorso eventuale, censurando la valutazione della Corte di merito circa l’implicazione di un sostrato organizzativo nella complessa realizzazione dell’operazione di importazione di droga di cui al capo h). Altro motivo di doglianza concerne la mancata riqualificazione del fatto di cui al capo h) nei termini del semplice tentativo. Dalle vicende che avevano portato al sequestro di 206,870 gr di cocaina in Spagna, si desumerebbe infatti che l’operazione di importazione della droga in Italia non si sarebbe perfezionata, dal momento che i 24,300 kg di droga ricollocati sul camper che conteneva l’intera partita in esecuzione di un provvedimento di ritardato sequestro adottato dall’autorità giudiziaria spagnola, non erano stati ritirati da alcuno all’arrivo del mezzo in Italia. L’ultimo motivo si sofferma sulla dedotta illegittimità della confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, disposta dai giudici di merito nonostante l’ampia ricostruzione della situazione reddituale dell’imputato risultante dalla consulenza depositata dalla difesa avesse dimostrato la congruità degli acquisti rispetto alle fonti lecite di guadagno. Sono stati presentati motivi aggiunti.

10. Nel ricorso proposto a favore di S.I. si censurano sotto diversi profili la mancanza e contraddittorietà della motivazione della sentenza e il vizio di erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, in relazione alla conferma del giudizio di responsabilità del ricorrente per il reato associativo.

Il fondamento probatorio dell’affermazione di responsabilità sarebbe stato indebitamente ricavato in sentenza dai rapporti professionali del ricorrente, titolare di un avviato studio di commercialista, con il p., senza alcuna indicazione di fatti concreti che potessero evidenziare la consapevolezza dell’imputato di contribuire non alla realizzazione delle frodi contabili originariamente addebitategli in via alternativa, ma agli scopi di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga. Le valutazioni al riguardo della Corte di merito sarebbero soltanto congetturali, e non riuscirebbero nemmeno a dimostrare il presunto ruolo del ricorrente come "uomo di fiducia del p.", nè il suo protagonismo nella costituzione del sistema SKY SERVICE. Peraltro, la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto che alla insuperabile equivocità delle indicazioni di prova a carico del ricorrente desumibili dal suo ruolo professionale, dovrebbe aggiungersi il dato favorevole della mancanza nei suoi confronti di qualunque chiamata in correità.

Altro profilo di censura riguarda la mancata risposta delle Corte di merito agli articolati motivi di appello proposti dalla difesa, largamente ignorati dai giudici territoriali, ed elusi con il ricorso ad argomentazioni soltanto congetturali. Alla stregua dell’ultimo motivo, infine, i giudici di appello sarebbero incorsi nel vizio di violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti, asseritamente riconducibili, nei confronti del ricorrente, proprio al reato fiscale dal quale lo stesso era stato prosciolto.

13. Nel ricorso a firma del difensore del MO., è ampiamente analizzata anzitutto la questione della competenza territoriale, il difensore deduce quindi il vizio di violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), e il difetto di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), in ordine alla ribadita sussistenza del reato associativo sotto il profilo oggettivo, e alla ritenuta partecipazione del ricorrente alla stessa associazione con il ruolo di organizzatore. Dopo un ampio richiamo alle censure svolte contro la sentenza di primo grado, e alle motivazioni della sentenza di appello (pagg. da 9 a 15 del ricorso), la difesa rileva che, pur partendo da principi assolutamente condivisibili sul piano giuridico, in ordine ai tratti distintivi dell’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, la Corte di merito sarebbe incorsa in censurabili vizi logici riguardo alla valutazione della posizione del ricorrente come associato-organizzatore. In sostanza, il ragionamento dei giudici di appello si sarebbe articolato attraverso un’arbitraria e comunque forzata interpretazione in chiave accusatoria di dati di prova in realtà neutri od equivoci, come, ad es., gli incontri tra i coimputati, il contenuto di alcune conversazioni telefoniche o il significato di alcuni termini utilizzati dagli interlocutori ("certificati", "documenti", "leasing", "agnello").

Ciò, a partire dalla sopravvalutazione probatoria del fatto di reato di cui al capo h), caratterizzato peraltro da specifiche modalità operative non riscontrabili negli altri reati fine e quindi non ascrivibile al contesto associativo, e in margine al quale non sarebbe affatto evidenziabile nei confronti del ricorrente, quel ruolo di collegamento tra vari altri associati affermato dalla corte territoriale, anche altre volte incorsa nell’errore logico di supportare le proprie conclusioni procedendo apoditticamente da presupposti di fatto che avrebbero dovuto essi stessi essere dimostrati, come ad es. in ordine alla valutazione in senso "colpevolista" dei contatti del ricorrente con altri coimputati, giustificabili con rapporti di parentela o con risalenti frequentazioni personali di carattere amicale. La Corte di merito non avrebbe inoltre tenuto conto dell’incompatibilità dell’ipotesi associativa nei confronti del ricorrente con il suo profilo personale e professionale di soggetto che avrebbe sempre dedicato la propria vita allo studio e al lavoro, essendosi laureato in medicina ed odontoiatria, attività alla quale oltretutto si riferirebbe il contenuto di molte conversazioni intercettate. Tanto meno sarebbe giustificata la valutazione, da parte dei giudici di appello, del ruolo di organizzatore dell’associazione da parte del ricorrente, considerato che solo in occasione della vicenda di cui al capo h) potrebbe in qualche modo emergere una sua attività diretta a creare un contatto tra Z.F. e M.F. dopo che il primo gli aveva confidato le difficoltà incontrate per reperire lo stupefacente. Infine, l’ipotesi associativa avrebbe trovato momenti di negativa verifica nella sede cautelare, dato che il Tribunale del riesame così come la Suprema Corte avevano escluso la gravita indiziaria per lo stesso reato nei confronti di alcuni coimputati, con valutazioni "estensibili" anche al ricorrente.

Un terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di manifesta illogicità e/o contraddittorietà della sentenza in relazione alla conferma del giudizio di responsabilità del ricorrente per i reati di cui ai capi d) ed e) della rubrica.

Anche in questo caso la Corte di merito darebbe per scontati fatti tutti da dimostrare, procedendo da un’arbitraria interpretazione del contenuto di numerose intercettazioni telefoniche e dall’altrettanto arbitraria riconducibilità di alcuni incontri al traffico di droga.

In realtà, le valutazioni dei giudici di appello poggerebbero su indebite inferenze deduttive tratte dalla personalità di uno dei soggetti frequentati dal ricorrente, il Pr., segnalato da alcune informative di polizia come soggetto a suo tempo inserito nel gruppo calabrese e coinvolto nel fatto di cui al capo h). Nel ricorso si analizzano quindi partitamente i contenuti di alcune conversazioni intercettate.

Con riguardo al reato di cui al capo D), la difesa analizza quelle delle ore 16,34, 19,45, 19,58, 20,03 del 10.12.2004 e delle ore 13,58 dell’11.12.2004, il riferimento delle quali a traffici di droga sarebbe stato ricavato dalla Corte territoriale da tutta una serie di argomentazioni prive di alcun pregio logico-giuridico.

Ugualmente dovrebbe ritenersi per gli incontri tra il ricorrente e altri coimputati, alcuni soltanto programmati, altri avvenuti in luoghi e circostanze diverse da quelle ipotizzate dai giudici di appello, tutti comunque aventi ad oggetto affari assolutamente indecifrabili. In relazione al reato di cui al capo e), l’attenzione della difesa si concentra sui colloqui delle ore 18,31 del 21.12.2004, e delle ore 9,06, 11,16, 11,30 del giorno successivo.

I giudici di appello avrebbero stabilito un collegamento del tutto illogico tra dette telefonate e le circostanze dell’arresto del Pr. nella stessa giornata del (OMISSIS), quando lo stesso era stato trovato in possesso di un quantitativo di cocaina di kg 9,5, custodita a bordo della sua autovettura, all’uscita da un appartamento di (OMISSIS), dove era stata rinvenuta altra sostanza stupefacente dello stesso tipo e con la stessa percentuale di principio attivo.

L’esclusione del coinvolgimento nel fatto del ricorrente si ricaverebbe peraltro anche dalla ricostruzione della vicenda dell’arresto del Pr. contenuta nella sentenza del gup di Milano dell’11.11.2005, ormai irrevocabile.

Alla stregua del quarto motivo, i giudici di appello sarebbero incorsi nel vizio di violazione di legge, denunciato ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all’art. 192 c.p.p., art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, commi 1 e 6, e nel vizio di mancanza e illogicità della motivazione, rilevato ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e), anche con riferimento alla ribadita responsabilità dell’imputato per il reato di cui al capo h). Nel ricorso vengono criticamente riesaminate tutte le risultanze di prova analizzate dalla Corte di merito, per rilevare tra l’altro l’incertezza storica di alcuni dati di prova, come quelli relativi ad alcuni presunti incontri tra il ricorrente e altri soggetti coinvolti nell’episodio;

l’arbitrarietà dell’interpretazione di alcune conversazioni in chiave accusatoria; l’illogica attribuzione del valore di chiamata in correità delle dichiarazioni riguardanti il ricorrente rese dai coimputati Z.F. e dall’ Au.; la significativa assenza di contatti tra il MO. e G. P., personaggio centrale nella vicenda, proprio nel periodo più sensibile dell’organizzazione dell’importazione della cocaina ecc…

In margine all’analisi dello specifico reato fine, la difesa torna peraltro sulla questione della rilevanza probatoria del fatto ai fini dell’ipotesi associativa, rilevando che anche la disputa tra il MO. e lo Z. su chi dei due dovesse anticipare le spese di viaggio del M., dimostrerebbe l’assenza di coordinamento delle singole condotte e l’eccezionalità dell’intervento del ricorrente nella vicenda.

Con l’ultimo motivo, infine, la sentenza viene censurata ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per il vizio di erronea applicazione degli artt. 133 e 62 bis c.p..

La motivazione sul trattamento sanzionatorio applicato nei confronti del ricorrente sarebbe solo apparente; sarebbero evidenziagli evidenti disparità di trattamento rispetto alle pene inflitte ad altri coimputati con posizioni analoghe; sarebbero stati trascurati elementi favorevoli al ricorrente, come quello del suo risalente impegno in un’onesta attività professionale, e la insignificanza dei suoi modesti precedenti penali.

Motivi della decisione

1. Sulla questione di competenza territoriale sollevata da numerose difese, questo collegio non può che richiamarsi all’indirizzo di legittimità ormai consolidato e comunque assolutamente preferibile, secondo cui la relativa eccezione poichè suscettibile di rinuncia da parte dell’interessato, non è più proponibile, anche se in precedenza proposta e decisa in senso negativo, una volta che sia stato chiesto e ammesso il giudizio abbreviato (tra le più recenti, cfr. Sez. 1, Sentenza n. 10399 del 13/01/2010 Amendola e altri).

E’ ricavabile, infatti, dal sistema processuale, la marcata prevalenza attribuita dalle norme che regolano il rito speciale all’interesse dell’imputato ad una decisione sul merito dell’accusa che conduca quanto meno ad un risultato sanzionatorio per lui più favorevole, con l’implicita conseguenza della rinuncia dello stesso imputato a tutte le eccezioni "disponibili". D’altra parte, l’effetto premiale potenzialmente ricollegabile alla scelta del giudizio abbreviato, è previsto come contropartita dell’accelerazione dei tempi processuali, esigenza rispetto alla quale sarebbe chiaramente contraddittoria la proponibilità di eccezioni capaci invece di produrre il risultato opposto anche quando non siano in gioco valori giuridici inderogabili.

2. La questione della nullità della sentenza di primo grado per la mancata sottoscrizione dei fogli intermedi è già stata affrontata e risolta dalla giurisprudenza di questa Corte, sulla base dell’analisi del testuale dato normativo offerto dall’art. 546 c.p.p., comma 1, lett. g), che impone l’apposizione della firma del giudice estensore – e qualora si tratti di giudice collegiale, anche del presidente – solo in calce all’ultima pagina della sentenza; ne deriva che la mancanza della sigla del giudice su ogni foglio non determina alcuna nullità, non prevista da alcuna disposizione di legge configurando, al più, una mera irregolarità (cfr., ad es., Cass. Sez. 5, n. 21052 del 18/12/2003 Mazzaferro).

3. La questione della presunta sovrapposizione dei gruppi associativi oggetto di questo procedimento e del processo c.d. "Ciaramella" , questione in concreto riguardante i soli M.S. e PI.Fr., deve ritenersi infondata alla luce della valutazione della correttezza delle ricostruzione dei fatti da parte della Corte di merito, che ha congruamente sottolineato come l’associazione "milanese" si fosse autonomamente costituita intorno a paralleli nuclei societari "civilistici" deputati in sostanza alla gestione di ben altre attività rispetto a quelle previste dall’oggetto sociale. L’analisi della contabilità delle varie società, molto approfondita in sentenza, ma rimasta priva di significative interlocuzioni difensive, rivela in effetti l’esistenza di un impressionante cash fiow gestito per cassa in modo incontrollabile, e del tutto inspiegabile già secondo le ordinarie procedure contabili, ancor più in considerazione dei ben magri risultati dell’attività "ufficiale". La presunta sovrapposizione delle associazioni criminali calabrese e milanese, che la difesa del PI. sembra intendere pressochè assoluta, non è poi riscontrabile nè sotto il profilo oggettivo, considerato lo specifico impiego di società di comodo da parte del gruppo milanese, nè sotto quello soggettivo, se è vero che a parte il M. e il PI. nessuno degli odierni ricorrenti figura tra componenti del gruppo calabrese negli atti relativi al processo Ciaramella allegati al ricorso dello stesso PI.. Ma è vero anche che è astrattamente configurabile la contemporanea adesione dei medesimi soggetti a più organizzazioni criminali, autonome o anche collegate tra loro (cfr.Corte di Cassazione nr. 25727 del 05/06/2008 SEZ. 1 Micheletti, dove la precisazione che le la simultanea partecipazione a più sodalizi criminosi, deve ritenersi tanto più possibile quando una delle associazioni sia costituita con il consenso dell’altra e operi sotto il suo controllo oppure sia a questa legata da vincolo federativo), circostanza che svaluta tanto l’argomento difensivo della presunta coincidenza temporale del periodo di operatività (per vero soltanto iniziale, dal momento che l’associazione calabrese ha subito ben prima l’azione di contrasto di inquirenti e magistratura), delle due associazioni a confronto, che quello della "mobilità" di alcuni componenti del sodalizio dal territorio milanese a quello calabrese; così come ne risulta conseguentemente svalutata la questione della natura permanente del reato associativo che la difesa del PI. ricollega al dato della coesistenza dei due gruppi criminali per negare ulteriormente la tesi "pluralista". 4. Le questioni di cui ai n.ri precedenti sostanziano gran parte del ricorso del MO.. Nel merito dell’imputazione associativa, la difesa si limita a poche e generiche notazioni, spesso di natura soltanto assertiva, e al riferimento, improprio nei termini letterali espressi, al principio di "correlazione", inteso comunque in sostanza come principio di adeguatezza del giudizio alle prove, in tesi violato dai giudici di appello con l’utilizzazione di ragionamenti deduttivi e "coincidenze telefoniche". Per il resto, soccorre il confronto tra i troppo rapidi appunti difensivi e la ben maggiore articolazione del percorso argomentativo della sentenza impugnata sulla struttura associativa milanese, sulle società "paravento" e sulle clamorose anomalie contabili rilevate nella loro gestione, vicende societarie del tutto ignorate nel ricorso principale, non particolarmente arricchito dai motivi aggiunti.

5. La questione del precedente giudicato è stata proposta anche dal difensore di PI.Fr., che per il resto riguardo all’ipotesi associativa indugia sulla congruità logica delle valutazioni della Corte territoriale con rapide notazioni intese a stigmatizzare l’arbitrarietà dell’interpretazione del contenuto di alcune intercettazioni telefoniche e della lettura in chiave accusatoria dei rapporti tra il ricorrente e alcuni coimputati. In concreto, le censure difensive si risolvono nell’affermazione alquanto sbrigativa che il ricorrente "sembra avere avuto rapporti solo con il Pr. e il MO., oltre che con il M., che è lo zio" e non avrebbe avuto rapporti con i soggetti che costituivano i punti di riferimento dell’associazione all’estero, e in questi termini assertivi e contratti non riescono ad insidiare il costrutto argomentativo dei giudici territoriali, che si articola in modo ben più ampio ed esaustivo. Peraltro, non è nemmeno inverosimile che in strutture organizzative alquanto articolate e complesse, i rapporti tra i vari associati subiscano una più o meno programmata "compartimentazione". Non molto più diffuso è il ricorso in ordine alla motivazione della sentenza impugnata relativa ai reati fine di cui ai capi d) ed e). Riguardo al primo reato, la contestazione della valutazione delle risultanze istruttorie da parte della Corte di merito è alquanto generica.

Non una sola delle numerose telefonate commentate dai giudici di appello (pagg. 261 e ss. della sentenza) è oggetto di specifiche interlocuzioni difensive, poichè nel ricorso è sbrigativamente sintetizzata la conclusione che l’incontro di (OMISSIS) non avrebbe visto la partecipazione attiva del PI., che però risulta in ogni caso pienamente coinvolto nella sua programmazione nei precedenti contatti telefonici con il Pr., che peraltro durante i colloqui si serviva delle false generalità di J. P., a conferma della natura illecita degli affari trattati con il suo interlocutore. La deduzione difensiva circa la presunta contraddizione in cui sarebbe incorsa la sentenza nell’ipotizzare il ruolo di tramite del PI. tra il MO. e il Pr., rispetto all’affermazione che l’alternarsi dei primi due nei rapporti con quest’ultimo "sia indifferente", è poi assolutamente imprecisa quanto ai riferimenti processuali (a pag. 219 della sentenza impugnata si dice altro), ma in ogni caso lo scopo di evitare contatti diretti tra il MO. e il Pr. bene potrebbe essere inteso come esigenza di limitare rapporti personali altrimenti troppo compromettenti, non di escluderli in modo assoluto.

Ancora meno apprezzabili sono le censure relative al reato di cui al capo E). La sentenza impugnata motiva adeguatamente sul significato probatorio delle intense interazioni tra il ricorrente e gli altri soggetti coinvolti nell’episodio in concomitanza con le fasi culminanti dell’operazione di polizia che portò al sequestro di cocaina nell’abitazione del R., episodio che offre alle valutazioni dei giudici di appello un più che solido ancoraggio fattuale. Che il ricorrente non fosse stato trovato sui luoghi significa poi ben poco, rispetto alla possibilità del suo precedente coinvolgimento nella detenzione dello stupefacente, com’è ovvio che le indicazioni di prova a suo carico dovessero emergere solo successivamente rispetto a quelle dei soggetti colti in flagranza di reato.

6. Riguardo alla questioni processuali sollevate dal difensore di P.F. con riferimento alla presunta indeterminatezza, nei suoi confronti, del fatto contestato al capo h) della rubrica, e dell’illegittimità dei presunti interventi "ortopedici" della Corte territoriale, si deve rilevare, sotto il primo profilo,la correttezza delle valutazioni dei giudici territoriali in quanto sottolineano, in sostanza, che il capo di imputazione descrive un preciso ambito di rapporti personali del ricorrente nella realizzazione dell’impresa criminale, e circoscrive puntualmente il fatto nella sua complessa articolazione spazio temporale, in modo da consentire alla difesa di interloquire sugli aspetti essenziali dell’ipotesi concorsuale, dovendosi d’altra parte tener conto dell’ampiezza della previsione dell’art. 110 c.p., sulle forme che può assumere la compartecipazione di più soggetti nel medesimo reato. In realtà, la presunta genericità della contestazione nei riguardi del P. potrebbe essere apprezzata non in sè, ma nel confronto con la estrema focalizzazione dei contributi degli altri complici, essendo ovvio però che la questione non possa essere risolta con il ricorso ad indebiti criteri comparativi. Sotto il secondo profilo, va rilevato che il giudicato si forma sui profili decisoli (capi e punti della sentenza) e non sulla motivazione; per quest’ultima la regola è quella della rivalutabilità degli elementi di causa da parte del giudice dell’impugnazione al fine di individuare la più corretta motivazione della decisione. Pertanto, gli elementi logico argomentativi riferiti a circostanze di fatto o a valutazioni di diritto possono essere utilizzati ai fini della motivazione della decisione in ciascun grado del giudizio senza che le valutazioni espresse da un giudice, a sostegno della propria decisione, possano condizionare quelle del giudice funzionalmente preposto a rivedere e riconsiderare la decisione medesima, nei limiti dei punti e dei capi attinti dall’impugnazione della parte, (Corte di Cassazione nr. 01147 del 15/12/1999 SEZ. 4 Corcione).

Le altre censure si risolvono in un diverso apprezzamento di merito delle risultanze istruttorie, o in valutazioni che oltre a rivelarsi alquanto generiche, non trovano in realtà riscontro nella motivazione della sentenza impugnata, come ad es. quella relativa alla presunta trasmigrazione delle prove del reato associativo nel tema di prova del reato fine. Ma è poi vero che tutte le circostanze che la Corte di merito avrebbe indebitamente valorizzato, si rivelano alquanto secondarie rispetto alla ben più significative risultanze istruttorie analizzate dai giudici di appello, che si riportano tra l’altro ampiamente alle motivazioni della sentenza di primo grado (vedi pagg. 36 e ss della sentenza impugnata), ricostruendo in modo puntuale i modi concreti del coinvolgimento dell’imputato nella vicenda con riferimento alle sue interazioni con gli altri complici, assolutamente significative anche nelle loro cadenze temporali. Sotto questo profilo, le censure articolate in ricorso si rivelano alquanto riduttive e in larga misura aspecifiche, indugiando in sostanza più che altro sulle considerazioni "aggiuntive" e di contorno della Corte di merito, che comunque sottolinea non infondatamente, tra l’altro, i rapporti del ricorrente con il M., in quanto rivelatori del generico, comune interesse dei due nel settore del traffico di droga.

7. Quanto alle censure, per molti aspetti analoghe, svolte dalle difese del FA. e del D., è agevole la confutazione dell’argomento difensivo relativo al mancato coinvolgimento dei due ricorrenti in taluno dei reati fine dell’associazione, circostanza che non insidia affatto la logicità della motivazione della Corte territoriale sull’inserimento di entrambi nella struttura associativa descritta al capo a), tipicamente caratterizzata da connotati programmatici rilevabili anche indipendentemente dalla concreta realizzazione degli scopi associativi. Per il resto, si è visto della correttezza delle valutazioni della corte territoriale in ordine alla strumentalizzazione delle società milanesi "ispirate" dal M. ai traffici di droga, sicchè il rapporto fiduciario tra i due ricorrenti e il M. non illogicamente è stato valorizzato dalla corte territoriale, non essendo apprezzabile la generica osservazione della difesa del D. secondo cui le prove del suo presunto coinvolgimento nelle attività del sodalizio daterebbero da epoca successiva all’arresto del M.. La diversa "lettura" delle intercettazioni telefoniche che riguardano il FA., proposta dalla difesa dello stesso ricorrente, è poi chiaramente contaminata da inammissibili profili di merito, mentre appare generico e inconferente il riferimento della difesa del D’AGOSTINO all’esito favorevole per il ricorrente di qualche incidente cautelare.

8. Il ricorso proposto nell’interesse di MI.Ca. è alquanto generico rispetto al rilievo della mancata risposta della corte di merito ai motivi di appello.

Per il resto, le deduzioni difensive sono chiaramente caratterizzate, anzitutto, da un’evidente sovrapposizione della cronologia dell’emergenza di alcuni dati di prova, alla datazione dei fatti in contestazione, perchè le intercettazioni a cui si riferisce il ricorso e che concorrono non secondariamente a fondare le valutazioni della Corte territoriale, sono bensì successive alle condotte "associative" della ricorrente ma chiariscono "retrospettivamente" , secondo la puntuale replica della sentenza, i termini dell’effettivo coinvolgimento della stessa ricorrente nelle vicende delle società milanesi che costituiscono secondo l’accusa il sostrato organizzativo dell’associazione per delinquere di cui al capo a). Nell’impropria deduzione della necessità del ricorso al meccanismo delle contestazioni suppletive ai fini della legittimità della considerazione di alcune risultanze istruttorie, è trasparente piuttosto il tentativo difensivo di disarticolare la contestazione dal materiale di prova di riferimento, che è stato correttamente assunto dai giudici di appello a fondamento del ribadito giudizio di responsabilità della MI., dovendosi ritenere del tutto infondata è la deduzione difensiva relativa al mancato sviluppo argomentativo della valenza probatoria "retroattiva" delle prove in questione.

A prescindere dalla considerazione che in questi termini si conferma l’estraneità della questione alla problematica delle contestazioni suppletive, tutto risolvendosi, in sostanza, nell’effettiva valenza probatoria delle intercettazioni in quanto riferibili o meno al periodo della contestazione (non ad "altre" contestazioni), va rilevato infatti che la risposta dei giudici di appello è contenuta nella più che approfondita analisi delle vicende non solo contabili relative alle società del gruppo milanese nelle quali peraltro la MI. aveva finito per assumere compiti e poteri decisionali insoliti rispetto alle sue mansioni ufficiali, interloquendo ad es. nelle assunzioni di personale in modo che la compagine societaria non venisse "infiltrata" da soggetti non adeguatamente "referenziati" sotto il profilo della personale affidabilità fiduciaria.

Non infondatamente pertanto, la Corte di merito ha ricollegato la prova della consapevolezza della ricorrente circa i traffici illeciti che si muovevano intorno alla società sia alle impressionanti evidenze contabili sottolineate in sentenza, che si rappresentavano alla MI. con assoluta immediatezza, grazie alle sue mansioni, che agli interventi della ricorrente, desumibili dalle intercettazioni telefoniche, diretti a "pilotare" le dichiarazioni processuali di altri soggetti coinvolti nei fatti.

9. Il ricorso dello S. sconta un’evidente debolezza argomentava di fondo nel mancato approfondimento dei temi di prova relativi alle evidenze contabili delle società milanesi riferibili al MO. o a persone a lui legate, in favore delle quali il ricorrente aveva prestato la propria opera professionale.

Si tratta invece di una questione che in sentenza assume un rilievo assolutamente decisivo, unitamente alla considerazione dei rapporti personali dell’imputato con altri soggetti, di cui la difesa propone in sostanza soltanto una lettura riduttiva e corrispondente ad alternative opzioni di merito.

Del tutto logicamente la Corte territoriale ha in definitiva valorizzato lo specifico ruolo anche professionale dello S. nelle società in oggetto, per l’evidente anomalia delle eccezionali movimentazioni di contante gestite "per cassa", anche in coincidenza con l’organizzazione di traffici di droga internazionali. E in considerazione dello specifico ruolo del ricorrente, la Corte di merito ha potuto condivisibilmente prescindere da specifici contributi dichiarativi, sottolineati invece "in negativo" dalla difesa, che rileva la mancata indicazione del nominativo dello S. da parte dei collaboranti autori in questo processo di propalazioni eteroaccusatorie, potendosi aggiungere che per la sussistenza del dolo nel reato di associazione per delinquere è sufficiente la coscienza che la propria azione individuale sia radicata in una struttura organizzativa, senza la necessità che ogni associato conosca la identità degli altri ed abbia concreti rapporti con gli stessi (Corte di Cassazione nr 05146 del 29/10/1987 MELIS, proprio in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti). Considerato il peculiare ruolo delle società di cui lo S. curava la contabilità, è poi del tutto plausibile che non se ne facesse cenno nelle conversazioni dei soggetti che operavano "sul campo" e che nella fase del concreto svolgimento dei traffici di droga dovevano ovviamente curare i contatti "personali" risultanti dalle intercettazioni telefoniche e dai convegni presso i luoghi all’uopo stabiliti, come il ristorante di Z.A..

10. Le censure articolate nell’interesse di Z.A. sono alquanto generiche rispetto alla doglianza concernente la mancata risposta della Corte territoriale ai motivi di appello.

In ogni caso, in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del vizio di preterizione (cfr. SENT. Nr 29434 del 19/05/2004 SEZ. 2 Candiano ed altri).

Ma sotto questo profilo la sentenza di appello giustifica convenientemente le proprie conclusioni nei confronti dello Z. A., riguardo al supporto logistico dallo stesso assicurato ai sodali mettendo loro a disposizione il proprio ristorante per incontri deputati alla gestione di traffici di droga e facendo anche da tramite nei contatti tra i vari imputati.

I giudici di appello rilevano tra l’altro che nel locale del ricorrente gli incontri tra i vari imputati avevano assunto una frequenza maggiore dopo la scoperta di microspie nello studio del Mo., inizialmente prescelto come sede delle riunioni;

sottolineano poi, come dato di incisiva rilevanza probatoria, lo svolgimento di incontri particolarmente significativi in concomitanza con le fasi dell’operazione di importazione di droga di cui al capo h), incontri organizzati anche direttamente dall’imputato con telefonate all’ A. e al fratello Z.F.;

evidenziano i contatti del ricorrente con lo G., uno dei principali protagonisti dell’importazione; la sua conoscenza dei personaggi svizzeri implicati nel traffico ecc…

La notazione difensiva, che si vorrebbe trascurata dai giudici di appello, circa la presunta incompatibilità del legame associativo tra i fratelli Z., con le controversie giudiziarie che li dividevano, può poi senz’auto ritenersi assorbita dalla rilevazione in sentenza dei contatti personali tra i due desumibili dalle intercettazioni telefoniche, significativi di una frequentazione non impedita da più o meno gravi dissidi, ma è comunque manifestamente infondata dal momento che comuni interessi criminali non escluderebbero certo la possibilità di contrasti personali, una simile massima di esperienza non essendo in alcun modo codificabile.

Non è chiaro, infine, nelle deduzioni difensive, quale sarebbe in concreto il rilievo scagionante delle dichiarazioni del Mo., dell’ A. e di Z.F., autori, come ricorda la sentenza impugnata, di ammissioni molto limitate e parziali, che per ciò stesso non potrebbero rilevare "in negativo" per la parte in cui non coinvolgono questo o quell’altro coimputato. Peraltro, la stessa doglianza difensiva sul mancato accoglimento della richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento in appello per l’esame dei predetti Mo., A. e ZA. è significativa della scarsa rilevanza delle loro dichiarazioni nella direzione di un effettivo "alleggerimento" della posizione del ricorrente. Si tratta peraltro di doglianza del tutto infondata, essendo evidente il carattere soltanto "esplorativo" della richiesta, a fronte di un ampio materiale probatorio complessivo che registra anche le dichiarazioni degli stessi soggetti che avrebbero dovuto essere (nuovamente) esaminati, con la conseguenza condivisibilità delle motivazioni del rigetto dell’istanza di rinnovazione da parte della Corte territoriale.

11. Ugualmente infondati sono i motivi di ricorso articolati nell’interesse di Z.F.. Riguardo al capo F), le censure difensive non riescono ad insidiare la coerenza e la logicità delle motivazioni dei giudici di appello, che sottolineano la chiarezza dei riferimenti a sostanze stupefacenti nel corso delle conversazioni tra il G. e il T. intercettate in ambiente nel giugno del 2006. I due interlocutori accennano anche chiaramente al ricorrente e alla perdita di parte di precedenti carichi di droga per i quali non erano stati pagati interamente. Non illogicamente, poi, è stato valorizzato dai giudici di merito, il riferimento ad un camper che compare nella conversazione, a dispetto delle sfasature temporali rilevate dalla difesa, perchè contribuisce comunque ad illuminare il contesto comunicativo come riferibile a traffici di droga, dal momento che l’impiego di un camper nell’illecito traffico è stato sicuramente accertato in relazione al fatto di cui al capo h.; così come conferisce all’ipotesi accusatoria ed è in sostanza convenientemente apprezzato in sentenza come ulteriore elemento di conferma dell’implicazione del ricorrente negli affari illeciti evocati nelle conversazioni, il contesto delle relazioni criminali dello Z. emerso in occasione dei fatti di cui al capo h. La notazione difensiva (concernente, peraltro, una sola delle conversazioni intercettate) sull’incertezza dell’identificazione nel ricorrente del "(OMISSIS)" di cui lo G. e il T. parlerebbero nella conversazione del 27.6.2006, è poi espressa in termini generici, con un riferimento soltanto parziale e per relationem al contenuto del colloquio e senza alcuna confutazione specifica del suo collegamento con le conversazioni precedenti, indubbiamente capace di contribuire all’identificazione del "(OMISSIS)", trattandosi di diminutivo certamente compatibile con il nome di battesimo ( F.) del ricorrente.

Analoghe considerazioni valgono per il reato di cui al capo G, rispetto al quale la posizione del ricorrente è approfondita dai giudici di appello in modo molto più ampio di quanto non sarebbe rilevabile dal limitato ambito delle censure difensive.

L’interpretazione del contenuto di alcune intercettazioni e dello scopo dei contatti personali tra i vari soggetti implicati nei fatti, è poi effettuata ancora una volta dalla Corte territoriale in modo logico e coerente, anche con incisivi riferimenti a quanto emerso in occasione del sequestro di droga che costituì l’antefatto dell’imputazione di cui al capo h., preceduto da interlocuzioni tra i vari imputati coinvolti nelle quali compariva la stessa terminologia criptica, in particolare il termine "documenti". Tali collegamenti e coincidenze, in quanto ancorati anche ad episodi criminosi indiscutibili nella loro storicità, e mai smentiti da plausibili alternative, forniscono in effetti adeguato supporto logico alle valutazioni dei giudici di merito, tenendo presente anche l’incondizionata utilizzabilità dei contenuti di intercettazioni telefoniche pur nella parte riguardante gli accenni degli interlocutori diretti a terze persone (cfr. Corte di Cassazione nr 38413 del 7/02/2003 SEZ. 5 Alvaro ed altri, secondo cui le dichiarazioni compiute da persone che conversino tra loro – se captate nel corso di attività di intercettazione regolarmente autorizzata ed a loro insaputa – sono liberamente valutate dal giudice secondo gli ordinari criteri di apprezzamento della prova, anche quando presentino valenza accusatoria nei confronti di terzi che avrebbero concorso in reati commessi dagli stessi dichiaranti, non trovando in questo caso applicazione la regola di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3).

Quanto al reato di cui al capo h), la difesa non va molto al di là della questione sull’effettiva qualificazione giuridica del fatto, oggetto di sostanziali ammissioni da parte del ricorrente, attinto comunque dai numerosi elementi prova convenientemente analizzati nei suoi confronti dalla sentenza impugnata.

Del tutto correttamente poi i giudici di appello ribadiscono la responsabilità dell’imputato per il reato associativo, considerando anche il suo ripetuto coinvolgimento in specifici reati fine e le inferenze probatorie desumibili in ordine all’esistenza dell’associazione per delinquere, dalle particolari modalità dell’operazione di importazione di droga di cui al capo h), in effetti significative, per l’estrema complessità dell’operazione, di una rete di collegamenti criminali implementata nel tempo e proiettata anche verso future imprese delittuose (cfr. Cass 28/03/2001 SEZ. U RIC. Cinalli e altri, dove l’affermazione che in tema di associazione per delinquere è consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalità esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operatività dell’associazione medesima; con più specifico riferimento al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, vedi Cass. Pen. 12/11/1997 SEZ. 1, RIC. P.M. e Cuomo ed altri, anche per il rilievo che il patto associativo non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale, ma può essere anche non espresso e costituirsi di fatto fra soggetti consapevoli che le attività proprie ed altrui ricevono vicendevole ausilio e tutte insieme contribuiscono all’attuazione dello scopo comune. La Corte ribadisce quindi che la prova in ordine al delitto associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati-scopo, dalla loro ripetizione, dai contatti fra gli autori, dall’uniformità delle condotte, specie se protratte per un tempo apprezzabile; (vedi, ancora, nello stesso senso, Cass. 13/12/2000 RIC. Coco G e altri, secondo cui, in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti, la prova del vincolo permanente, nascente dall’accordo associativo, può essere data anche per mezzo dell’accertamento di facta concludentia, quali i contatti continui tra gli spacciatori, i frequenti viaggi per il rifornimento della droga, le basi logistiche, le forme di copertura e i beni necessari per le operazioni delittuose, le forme organizzative, sia di tipo gerarchico che mediante divisione dei compiti tra gli associati, la commissione di reati rientranti nel programma criminoso e le loro specifiche modalità esecutive). Più in generale, la Corte di merito sottolinea adeguatamente, nei confronti del ricorrente, tutti gli indici rivelatori della sua appartenenza al sodalizio nel senso indicato dalle massime citate in parentesi. Quanto al motivo concernente la qualificazione giuridica del reato di cui al capo h), la Corte di merito ha esattamente rilevato che si tratta di reato consumato e non tentato.

Quel che conta, infatti, è che il carico di droga fu comunque introdotto nel territorio italiano (che costituiva del resto la sua prevista destinazione finale (cfr. Corte di Cassazione 34116 del 13/06/2007 SEZ. 4, Vilardelli – Bonadona dove l’affermazione che anche il semplice transito sul territorio nazionale di droga destinata ad altri paesi, il delitto di importazione di sostanze stupefacenti deve ritenersi comunque consumato in Italia con conseguente attribuzione della giurisdizione al giudice italiano, individuato, sotto il profilo della competenza territoriale). Nè rileva che la droga non sia stata consegnata agli acquirenti, nè che l’inoltro nel territorio italiano di parte del carico sequestrato dalla polizia spagnola sia avvenuto nell’ambito di un’operazione di "consegna controllata" (Con riferimento al reato di cessione di sostanze stupefacenti, vedi Corte di Cassazione nr. SENT. 10302 09/01/2009 SEZ. 4, RIC. Fanelli e altro). Del tutto generiche sono infine le censure in merito al capo concernente la confisca ex L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies, essendosi la difesa limitata a richiamare per relationem i contenuti della consulenza di parte depositata nel corso del giudizio, opponendoli alle contrarie e condivisibili valutazioni dei giudici di merito senza alcun supporto argomentativo.

12. Riguardo alla posizione del MO., vanno senz’altro disattese le deduzioni difensive che vorrebbero trarre dal vissuto personale del ricorrente un generale e preventivo giudizio di incompatibilità con il suo coinvolgimento nei fatti.

A prescindere dalla considerazione che nessuna esperienza professionale o di vita può essere tipizzata come antidoto una volta e per tutte contro pulsioni criminali, basta ricordare che nella vicenda dell’importazione di droga di cui al capo h) il ricorrente risulta pesantemente coinvolto, tanto che in merito si registrano, come ricorda la sentenza impugnata, anche le sue parziali ammissioni, e d’altra parte sulla specifica imputazione il ricorso appare alquanto "sfumato", soprattutto a fronte dell’ampia motivazione del provvedimento (pagg. 193 e ss.). La stessa difesa finisce peraltro in qualche modo per assumere (nemmeno in termini espressamente ipotetici) la partecipazione al fatto del ricorrente, sia pure per trame indicazioni contrarie all’ipotesi associativa, sul rilievo che il contrasto tra il MO. e lo Z. su chi dei due dovesse anticipare le spese del viaggio del m., il coimputato incaricato di prendere contatto con i fornitori boliviani, escluderebbe un preesistente patto criminale "strutturato". Ma anche sotto questo profilo le deduzioni difensive non appaiono particolarmente apprezzabili, non essendo dato di comprendere perchè occasionali divergenze dovrebbero escludere la stabilità di comuni interessi criminali, mentre va senz’altro confutata anche la generica e tutt’altro che concludente notazione relativa alla presunta atipicità dell’organizzazione di quella importazione di droga rispetto alle modalità operative riscontrabili negli altri reati fine oggetto di contestazione. Non solo, infatti, la reiterazione di condotte criminali in un analogo contesto di relazioni personali protratte nel tempo può costituire prova del reato associativo indipendentemente dalle variabili modalità dei singoli reati fine, ma le osservazioni difensive sono infondate anche in fatto, perchè a proposito del reato di cui al capo F), la sentenza rileva modalità operative del tutto analoghe all’importazione di cocaina dalla Bolivia di cui al capo h), compreso l’uso di un camper per il trasporto della droga, ancora una volta di provenienza boliviana (nella prospettiva di analisi inerente al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, poco importa poi che il reato di cui al capo F) non sia stato contestato all’imputato).

Si è già detto inoltre come siano condivisibili le valutazioni della Corte territoriale sul riflesso probatorio che già la sola l’operazione di cui al capo h) riverbera sull’ipotesi associativa, senza dire che le deduzioni difensive appaiono infondate anche riguardo alla censurata illogicità della motivazione della sentenza relativamente al ribadito giudizio di responsabilità dello stesso per i reati di cui ai capi D) ed E), a conferma della stabilità dell’inserimento del MO. nel traffico di droga in accordo con altri coimputati.

Ed invero, per quel che riguarda il capo D), la Corte di merito si impegna in un’ampia ricostruzione dei numerosissimi contatti personali del ricorrente con il PI. e il Pr., relativi a "cassette", DVD o ad un "coso", cioè o ad oggetti che per la loro natura sarebbe in effetti inverosimile supporre che potessero essere trattati con un così articolato e complesso intreccio di contatti e appuntamenti tra persone che peraltro non risulta ne facessero commercio, o a merce (il riferimento è al "coso"), troppo ambiguamente indicata per non lasciare intendere l’uso di termini convenzionali intesi a dissimulare il reale oggetto delle trattative.

I giudici di appello sottolineano inoltre la personalità del Pr., interamente assorbita nel profilo criminale del trafficante di droga, e altrettanto logicamente stabiliscono un collegamento tra i fatti di cui al capo D) e quelli di cui al capo E), dal momento che quest’ultima imputazione trova un preciso e inequivocabile ancoraggio concreto nel sequestro di droga nell’appartamento di (OMISSIS), preceduto da contatti tra il MO. e il M. che rivelano l’implicazione del P. nei fatti in stretto contatto con il primo, in un contesto criminale in cui compare, ancora una volta, la figura del Pr., utilizzatore dell’appartamento di (OMISSIS).

In definitiva, le censure difensive in punto di responsabilità penale si risolvono in un diverso apprezzamento di fatto delle risultanze istruttorie, ma non colgono vizi logico giuridici nella motivazione della sentenza impugnata.

Non sono poi allo stato apprezzabili gli esiti delle parallele vicende giudiziarie concernenti gli imputati giudicati separatamente, mentre per i "precedenti" cautelari intervenuti nel corso del procedimento va ribadita l’osservazione altrove fatta circa il loro carattere non vincolante, tanto più nei riguardi del MO., non direttamente coinvolto nei relativi incidenti processuali, il cui esito sarebbe a lui soltanto "estensibile".

Generiche e inconferenti rispetto al complessivo apprezzamento, da parte dei giudici di merito, dei criteri direttivi fissati dall’art. 133 c.p., sono infine le doglianze attinenti al trattamento sanzionatorio, che si risolvono nell’impropria valorizzazione della scarsa rilevanza sintomatica dei precedenti penali dell’imputato, che lo segnalano comunque come soggetto non incensurato, e potrebbero al più costituire dato neutro di valutazione, e del suo vissuto professionale, che semmai aggrava i profili di gravità dei fatti dal punto di vista dell’intensità del dolo, implicando la "gratuità" delle scelte di vita criminale dell’imputato.

13. La difesa di F.C. propone in sostanza una diversa lettura di merito delle risultanze istruttorie rispetto alle valutazioni della Corte territoriale, che con riguardo al capo G) sottolinea il linguaggio criptico usato dall’imputato nel corso delle sue interlocuzioni telefoniche con Z.F. e il R., destinatario finale della droga, fra l’altro con l’uso di alcuni degli stessi termini che ricorrono nelle intercettazioni relative all’importazione di droga di cui al capo h). I giudici di appello sottolineano inoltre che in alcune occasioni il significato criptico della terminologia usata è esplicitato dallo stesso tono chiaramente allusivo degli interlocutori, come nel caso di "quel pesce" di cui il R. chiede notizie allo Z. nella telefonata delle ore 19,49 del 2.12.2006, con accenti ilari che rivelano la comune consapevolezza dei due di parlare in realtà di ben altro. E sottolineano, ancora che negli affari trattati dal F. con gli altri due soggetti coinvolti nella vicenda non compare mai un qualche accenno ai prodotti tipici oggetto dell’attività commerciale del il ricorrente, rilevando ancora che nemmeno il F. avrebbe mai chiarito quale fosse l’oggetto dei "rogiti" o dei "documenti" o di "un mutuo" che vengono citati in alcune conversazioni, per quanto tipicamente riferibili ad affari negoziali di un certo rilievo ovviamente suscettibili di più che agevole dimostrazione. Non è apprezzabile poi la considerazione difensiva secondo cui la corte territoriale avrebbe ingiustificatamente trascurato che Z. F., autore di una scelta di collaborazione nel corso del procedimento, non aveva formulato una chiamata di correo nei confronti del ricorrente in ordine al reato di cui al capo G;

risulta, infarti, dalla sentenza, che lo Z. aveva formulato sostanziali ammissioni solo in ordine al coinvolgimento proprio e di altri nei fatti oggetto dell’imputazione sub h, non giungendo però nemmeno ad una confessione piena nè ad una vera e propria scelta di collaborazione. D’altra parte, non sarebbe neanche ravvisabile in astratto la necessità logica che le ammissioni dell’imputato dovessero investire tutte le imputazioni a suo carico, scelte processuali "differenziate" potendo dipendere anche dalla percezione della diversa concludenza delle prove relative all’uno o all’altro reato. Non sono infine allo stato apprezzabili gli esiti del separato procedimento nei confronti dei coimputati oggetto dei motivi aggiunti, che potranno semmai essere invocati ai sensi e nei limiti di cui all’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a). Quanto all’ipotesi associativa, essa trova congruo riferimento probatorio, alla stregua delle valutazioni della Corte di merito, nei frequenti rapporti del F. con L’ A. in occasione dei viaggi quest’ultimo da e per il Sud america, nella frequenza dei contatti del ricorrente con altri coimputati anche nel ristorante di Z.A., che costituiva un punto di riferimento dell’associazione criminosa, nelle preoccupazioni rivelate per i pericoli connessi all’eccessivo uso del mezzo telefonico, nell’episodio della consegna di una busta di denaro destinata allo G. ecc…

Da tutte le circostanze indicate è infatti autorizzata l’inferenza logica di un sistema di stabili relazioni personali e criminali del ricorrente nel sodalizio, che la difesa confuta sulla base di una considerazione isolata delle singole indicazioni di prova, che solo nella loro disarticolazione dal contesto istruttorio complessivo potrebbero apparire in una certa misura depotenziate. I motivi sul trattamento sanzionatorio sono alquanto generici e assertivi; i giudici di merito hanno già considerato gli elementi favorevoli all’imputato ai fini della concessione delle attenuanti generiche, infliggendogli una pena non lontana dal minimo edittale a fronte della indubbia gravita dei fatti, e l’esclusione della più intensa valorizzazione delle attenuanti non può considerarsi illogica e arbitraria..

Alla luce delle precedenti considerazioni, tutti i ricorsi devo pertanto essere rigettati con le conseguenti statuizioni sulle spese.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsa e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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