Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 12-04-2010) 19-07-2011, n. 28488

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto del 30.10.2010, il Giudice per le indagini preliminare presso il Tribunale di Torino convalidava il decreto di sequestro preventivo dell’assegno bancario emesso in via d’urgenza dal pubblico ministero, ritenendo la sussistenza del "fumus" del reato di appropriazione indebita.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, e il Tribunale di Torino, con ordinanza del 24.11.2010, confermava l’ordinanza, affermando che per ciò che riguarda il "fumus commissi delicti" non vi è dubbio che, sulla base degli elementi indicati in querela e non contestati dal ricorrente, sia configurabile a carico di G. il reato di cui all’art. 646 c.p.; quanto al "periculum in mora" è di tutta evidenza che la libera disponibilità del titolo da parte dell’indagato protrae le conseguenze del reato, consentendo tra l’altro l’attivazione della procedura monitoria, e così aggravando il pregiudizio in capo alle parti offese.

Ricorre per cassazione l’indagato deducendo: 1) violazione di legge penale ex art. 606, lett. e) per insussistenza del "fumus" del reato di cui all’art. 646 c.p. con riguardo al deposito per l’incasso dell’assegno ricevuto infatti, nella specie trattasi di un assegno emesso a garanzia di un debito, e l’assegno in questione deve essere restituito al debitore solo qualora questi adempia regolarmente alla propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del creditore, quale promessa di pagamento o titolo esecutivo da far valere in caso di inadempimento. L’avv. G. non ha adempiuto alla obbligazione, e questa circostanza esclude l’illegittimità del comportamento della condotta del creditore, che ponendo all’incasso l’assegno ha legittimamente azionato il titolo esecutivo; 2) la violazione dell’art. 606, lett. e) in assenza di motivazione circa la sussistenza del "periculum in mora" di cui all’art. 321 c.p.p. Le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, che legittimano il sequestro devono avere connotazioni di antigiuridicità e consistere nel volontario aggravarsi o protrarsi dell’offesa del beni. La procedura monitoria è invece strumento processuale appositamente predisposto dal nostro ordinamento giuridico per la tutela del diritto di credito.

Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza.

Ritiene la Corte che il ricorso debba essere rigettato per la non condivisibilità od inammissibilità delle censure articolate nei motivi che lo compongono.

In tema di sequestro preventivo la verifica sulle condizioni di legittimità della misura cautelare d parte della Cassazione non può risolversi in anticipata decisione della questione di merito definitiva, bensì deve limitarsi al controllo della compatibilità fra la fattispecie concreta e quella legale ipotizzata, mediante una delibazione prioritaria dell’antigiuridicità penale del fatto.

Considerato che vi è corrispondenza tra la fattispecie concreta ed il reato in astratto ipotizzato, in quanto integra il delitto di cui all’art. 646 cod. pen. la condotta del prenditore che ponga all’incasso un assegno bancario, appropriandosi della somma riscossa, in violazione del patto di garanzia concluso con l’emittente (v.

Cass. Sez. 2, sent. n. 1151/2000 Rv. 216303; Sez. 2, sent. n. 5499/97 Riv. n. 207781; Sez. 6, sent. n. 757/2006 Rv. 235597), e che il ricorso per cassazione avverso le ordinanze emesse dal Tribunale del Riesame ex art. 324 c.p.p. può essere proposto solo per violazione di legge, ritiene il Collegio che, per quanto riguarda il primo motivo, avente ad oggetto il merito, il ricorso è inammissibile.

Il secondo motivo è infondato.

Il "periculum in mora" che, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 1, legittima il sequestro preventivo, deve intendersi come concreta possibilità che il bene assuma carattere strumentale rispetto all’aggravamento o alla protrazione delle conseguenze del reato ipotizzato o all’agevolazione della commissione di altri reati.

Orbene, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il "periculum" rilevante ai fini dell’art. 321 c.p.p. deve presentare i requisiti della concretezza e dell’attualità e deve essere valutato con riferimento alla situazione esistente al momento della adozione della misura reale e non già in una prospettiva astratta (cfr.

SS.UU. 14 dicembre 1994, Adelio; Cass., Sez. 5, sent. n. 14068/2005, Riv. 231686; Cass., Sez. 4, sent. n. 36884/2007, Riv. ivi 237592); la mera funzione preventiva astrattamente considerata non è, invero, sufficiente a legittimare il provvedimento di sequestro.

Il potere di disporre il sequestro di un oggetto ai sensi dell’art. 321 c.p.p. sussiste, pertanto, quando la libera disponibilità di una cosa possa agevolare la commissione di altri reati della stessa specie, ma tale pericolo deve essere inteso non come una astratta mera eventualità, ma in senso oggettivo, come concreta possibilità, desunta dalla natura del bene e da tutte le circostanze del fatto, che il bene assuma carattere strumentale rispetto alla suddetta agevolazione (v. Cass., Sez. 5, sent. n. 2899/2000, Riv. 216548). E’, infine, del tutto evidente che il periculum che si intende evitare attraverso l’adozione del sequestro preventivo deve essere consequenzialmente connesso al reato oggetto del procedimento (v.

Cass., Sez. 6, sent. n. 2819/ 1995).

Orbene, poichè – nel caso di specie – il bene sottoposto a sequestro ha sicuramente carattere strumentale rispetto alla protrazione delle conseguenze del reato di appropriazione indebita ipotizzato, in quanto dalla disponibilità dello stesso può derivare non solo la potenzialità della res oggetto del provvedimento cautelare di recare una lesione all’interesse protetto dalla norma penale, ma anche la possibilità in concreto di contribuire al perfezionamento del reato, con l’attivazione di tutte le procedure consentite per la riscossione della somma corrispondente all’importo dell’assegno, negoziato in deroga al patto di garanzia, correttamente il Tribunale ha rigettato l’istanza di riesame.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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