Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-07-2011) 20-07-2011, n. 29079

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. A parziale conferma della decisione del Tribunale, la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza indicata in epigrafe, riteneva B.R.A. responsabile di concussione e di tentativo di concussione. Questi, nella qualità di "tecnico locale" nominato dalla Banca d’Italia filiale di Torino, abusando della propria qualità e dei propri poteri, aveva indotto gli imprenditori N.A. e R.A., aggiudicatali di un appalto pubblico di lavori nella filiale, a versargli la somma di 2500 Euro e aveva tentato di indurre gli stessi a versargli un ulteriore somma corrispondente al 10% del valore economico dell’appalto, dicendo loro che non avrebbe creato ostacoli e che diversamente non avrebbe più agito da passacarte. Nello stesso modo il B., in relazione ad altro appalto, aveva tentato di indurre ad analogo versamento gli imprenditori C.A. e Ne.Ma., i quali anzi aveva invitato a predisporre fatturazioni per importi maggiori in modo poi dividere con lui il sovrafatturato.

2. Ricorre il B. che, in primo luogo, deduce la violazione degli artt. 357 e 358 c.p. in riferimento alla qualificazione giuridica del ruolo da lui rivestito presso la Banca d’Italia.

Premesso che il soggetto addetto alla sorveglianza dei lavori potrà dirsi pubblico ufficiale solo quando le proprie deliberazioni siano idonee a determinare la volontà dell’appaltatore pubblico e non quando siano solo apporti consultivi cui l’ente pubblico ricorra per determinare la propria volontà, aggiunge che tali attività di consulenza non possono nemmeno qualificarsi pubblico servizio quando, come nella specie, sono affidate in base a decisione autonoma e sono estranee alla disciplina legislativa dell’appalto.

In concreto la funzione svolta dal B., secondo la lettera di incarico con la specificazione delle mansioni nell’Allegato A, era diretta solo a consentire alla Banca d’Italia di informarsi dell’adeguatezza e della competenza delle ditte, di conoscere l’adeguatezza dei lavori, le previsioni di spesa e il complessivo svolgimento dei lavori (siccome del resto ricordato dal teste S. il quale aveva definito il tecnico locale "raccordo tra il territorio e la Banca d’Italia"). La Banca d’Italia poi avrebbe adottato i propri atti autoritativi consistenti nell’approvazione del progetto, nell’approvazione del preventivo di spesa, nella retribuzione del lavoro svolto alla chiusura del cantiere.

Ora è vero che il B. ebbe a volte a millantare un ruolo differente e che aveva impiegato questo espediente per rafforzare le richieste alle ditte appaltatrici, ma gli imprenditori avevano dimostrato di essere ben consapevoli dell’effettivo ruolo del B. e dei limiti del suo mandato. Infatti costoro avevano superato gli ostacoli posti dal tecnico locale rivolgendosi direttamente al committente, dimostrazione ulteriore che tale tecnico non aveva alcun potere autoritativo di decidere l’an e il quando del pagamento. Egli non era nemmeno organico alla Banca d’Italia la quale risolse poi la vertenza con gli imprenditori inviando in loco l’ingegnere capo responsabile del servizio e non ebbe bisogno di sostituire o di revocare il B., provvedimenti che nell’ipotesi di un rapporto organico sarebbero stati invece necessari. Insomma le valutazioni di B. non erano in alcun modo vincolanti e l’ente pubblico formava le proprie decisioni in modo autonomo e indipendente. Con la conseguenza che il ricorrente non svolgeva alcuna pubblica funzione o alcun pubblico servizio.

3. Con un secondo motivo il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non abbia ritenuto necessario accertare se tra i soggetti coinvolti vi fosse un disequilibrio tale da coartare la volontà delle vittime.

La Corte invece si è attenuta alle dichiarazioni degli imprenditori affermando peraltro che il B. aveva fatto le sue richieste in modo allusivo. Tanto sarebbe di per sè illogico in un’ipotesi di concussione in cui il richiedente esplicita chiaramente le proprie pretese, quando come nella specie è consapevole di non correre alcun rischio, mentre sarebbe comprensibile nel caso in cui il Tecnico agisse anche nell’interesse degli imprenditori e in realtà chiedesse le somme a titolo di pagamento di parcella. Cosa che del resto potrebbe porsi a riprova del fatto che il B. non era un pubblico ufficiale ma che svolgeva solo un incarico di consulenza dell’ente pubblico, come gli imprenditori ben sapevano, essendo di conseguenza interessati a ingraziarsi i favori del tecnico locale su un piano di parità. Circostanza che doveva riflettersi anche nella valutazione della prova con rivalutazione delle dichiarazioni degli imprenditori a quelle di chiamate in correità, secondo i principi di cui all’art. 192 c.p.p., comma 3. Ciò valendo tanto per la pretesa concussione N. – R. quanto per quella C. – Ne., i quali ultimi erano stati giustamente ripresi dal tecnico locale per la genericità e l’inadeguatezza del Piano Operativo di Sicurezza da loro predisposto.

4. Il ricorrente infine si duole della determinazione della pena specie con riferimento alle attenuanti generiche e a quella di cui all’art. 323 bis c.p. per la quale ultima andava valutato il contesto ambientale.

Motivi della decisione

1. Il ricorso va respinto.

Muovendo dalla qualificazione giuridica del ricorrente, deve osservarsi che la Banca d’Italia per la sua organizzazione periferica si serve della figura del "tecnico locale", relativamente a tutto ciò che riguarda i lavori in economia fino all’importo di 50.000 Euro su immobili appartenenti all’Istituto. Ciò consente all’Ente di non costituire, nelle novanta Sedi periferiche della banca, postazioni del "Servizio attività immobiliari" esistente nella Sede centrale, svolgendo "il tecnico locale", nei limiti economici già detti e in posizioni sottordinata, la funzione del ricordato Servizio.

In altri termini il "tecnico locale", come pure rileva la sentenza impugnata, è istituzionalmente ufficio periferico della Banca d’Italia e la preposizione a tale ufficio, pure avvenendo con atto negoziale, conferisce al preposto, per la durata di cinque anni rinnovabili, il munus avente ad oggetto la progettazione, la direzione, la contabilizzazione e la liquidazione dei lavori di manutenzione o di intervento incrementativo da eseguire sugli immobili già detti. Si tratta di un munus publicum in quanto il soggetto preposto, relativamente al settore di sua competenza, fornisce all’ente pubblico i necessari dati tecnici e le valutazioni discrezionali del caso, a sostrato della formazione della volontà che verrà espressa dagli organi esterni della Banca.

2. L’affermato carattere pubblico della funzione del tecnico è poi del tutto compatibile con la sottordinazione gerarchica dell’ufficio periferico a quello centrale (anzi quella in parola è una tipica figura organizzativa dei rapporti tra pubblici uffici). E pertanto il "Servizio attività immobiliari" può, se lo ritiene opportuno, avocare a sè una pratica e esprimere su di essa una valutazione diversa, se non opposta, a quella del tecnico locale. Tanto, d’altra parte, senza alcuna necessità di procedere a sostituzioni o a revoche di sorta, come invece si sostiene nel ricorso, in base, implicitamente, ad una pretesa regola vigente tra soggetti pubblici, priva invece di qualunque fondamento.

3. Posto dunque che il B., per la sua carica di tecnico locale, rivestiva la qualifica di pubblico ufficiale, è inammissibile il secondo motivo di ricorso con il quale si suggerisce che le vicende di concussione siano invece da ricondursi o a una legittima richiesta di pagamento di consulenze o al più a una corruzione per atti d’ufficio.

Al riguardo si deve in primo luogo osservare che il ricorrente afferma l’illogicità dell’accertamento operato nella sentenza impugnata facendo valere massime di esperienza insussistenti, perchè prive di comune riconoscimento (il concussore non userebbe termini allusivi). Va poi aggiunto che lo squilibrio di posizione tra il B. e gli imprenditori è stato nel caso in esame dimostrato per tabulas dai comportamenti vessatori che il ricorrente adottò in ritorsione. E va infine rilevato che in realtà con le argomentazioni addotte si tenta questa Corte ad una nuova lettura degli elementi probatori, operazione estranea al controllo di legittimità. 4. Quanto infine alle circostanze del reato e alla loro valenza, la Corte d’Appello ha accolto il ricorso del P.G. circa la mancanza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 323 bis c.p.. Ed appare dotata di ordinaria ragionevolezza la motivazione al riguardo della sentenza, laddove afferma che non può mettersi in dubbio che il B. non fu in nulla inibito nelle sue pretese illecite "ostinato nel pretenderle, testardo nel perseguire il piano ritorsivo minacciato". Non è poi comprensibile la doglianza relativa all’art. 62 bis c.p., dato che questa circostanza è stata riconosciuta e applicata nella massima estensione.

5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna inoltre il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida nella somma di Euro 1540,00 oltre accessori, in favore della parte civile Banca d’Italia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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