Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-07-2011) 20-07-2011, n. 28886 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza in data 2 febbraio 2011, il Tribunale per il riesame di Palermo, respingeva l’appello proposto nell’interesse di B. A., condannato dal Gup di Marsala per il reato di rapina aggravata, avverso l’ordinanza 13/1/2011 con la quale il Gup ha sospeso i termini di durata massima della custodia cautelare durante il termine di 90 giorni per il deposito della motivazione della sentenza, emessa in pari data.

Avverso tale ordinanza propone ricorso l’indagato, per mezzo del suo difensore di fiducia, sollevando deducendo violazione di legge e vizio della motivazione. Al riguardo si duole dell’assenza di ogni motivazione circa l’indicazione delle ragioni che hanno determinato il Gip ad avvalersi del termine di giorni 90 per il deposito della motivazione.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè manca in esso ogni correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione.

I motivi di ricorso sono sostanzialmente coincidenti con i motivi di appello e non una parola e spesa per confutare le argomentazioni del giudice di appello che ha – con dettagliata motivazione – rigettato tali motivi, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di questa Corte che ha statuito che:

"Il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare durante la pendenza del termine per il deposito della sentenza esige solo, come motivazione, il richiamo del disposto dell’art. 304 c.p.p., comma 1, lett. c), e dell’art. 544 c.p.p., comma 3, in cui sono già specificamente enunciati i presupposti che consentono la dilazione dell’ordinario termine di deposito della sentenza e, correlativamente, la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, (complessità particolare della stesura della motivazione per il numero delle parti e/o per il numero e gravità delle imputazioni), senza alcuna necessità di ulteriori esplicazioni da parte del giudice" (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 15145 del 04/04/2006 Cc. (dep. 03/05/2006) Rv. 233966).

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte, il fatto che nessuna argomentazione sia svolta nel ricorso, in ordine alle valutazioni espresse dal giudice di appello sui vari motivi, determina l’inammissibilità del ricorso.

Si richiamano in proposito le seguenti pronunzie: – Sez. 4, sent. n. 5191 del 29.3.2000 dep. 3.5.2000 rv 216473: "E’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità". – Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 rv 230634: "E’ inammissibile il ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso". – Sez. 4, sent. n. 256 del 18.9.1997 dep. 13.1.1998 rv 210157: "E’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità".

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, chi lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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