T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 26-07-2011, n. 1181 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La E. S.r.l., odierna ricorrente, è proprietaria per acquisto all’esito di una procedura civilistica di esecuzione forzata, di un compendio immobiliare sito in Sorisole, alla via S. Francesco di Assisi 31, distinto al catasto di quel Comune al foglio 11 mappali 2478 e 2479 (doc. 6 ricorrente, lettera 26 luglio 2004 al Comune, ove sono indicati il titolo dell’acquisto e l’ubicazione dei beni, non contestati in causa), per il quale il dante causa, certo G.S., estraneo al presente giudizio, aveva a suo tempo, in data 1 marzo 1995, presentato domanda di "condono edilizio ai sensi della l. 28 febbraio 1985 n°47" e successive modifiche, per abusi descritti come "trasformazione di area agricola in area ad uso deposito rottami e formazione di opere varie non quantificabili" (doc. 2 ricorrente, copia originaria domanda a firma di G.S.). A fronte di tale domanda, G.S. era stato richiesto in data 21 marzo 1996 di presentare documentazione integrativa (doc. 4 ricorrente, copia richiesta, ove la data indicata, che è quella di ricezione), e il successivo 25 novembre 1996 aveva fatto pervenire al Comune una risposta (doc. 5 ricorrente, copia di essa).

Poiché all’epoca del proprio acquisto la citata pratica di condono non era stata definita, la E. ebbe a interloquire con il Comune in merito, e in particolare a inviare allo stesso la citata lettera 26 luglio 2004, nella quale, oltre a render noto l’acquisto in parola, rilevò che "in data 29 marzo 1990 prot. n°3880" era stato richiesto un "completamento della pratica", in ordine al quale fornì una serie di chiarimenti, dichiarandosi comunque a disposizione per offrirne ove necessario di ulteriori (doc. 6 ricorrente, cit.)

A fronte di tutto ciò, la E. ricevette un provvedimento di diniego, prot. n°18103 del 6 dicembre 2006, che respingeva l’originaria domanda "in relazione alla dichiarata modifica di utilizzazione delle aree da agricole a deposito di rottami senza indicazione di opere edilizia funzionali alla modifica di destinazione, per la giuridica impossibilità di fare applicazione della normativa sulla sanatoria edilizia, che contempla esclusivamente le ipotesi riconducibili alla realizzazione di manufatti o ad interventi sugli stessi" e per le altre opere in quanto le stesse ricadono all’interno di una fascia di ritenuta inedificabilità assoluta (doc. 1 ricorrente, copia provvedimento citato).

Avverso tale provvedimento, la E. interpose ricorso giurisdizionale avanti questo Tribunale, ricorso rubricato al n°163/07 R.G. e definito con sentenza sez. I 19 novembre 2009 n°2222, la quale, come da dispositivo, lo annullò "nella sola parte in cui esso nega la condonabilità in astratto della realizzazione del piazzale per la raccolta di rottami"; in motivazione, la sentenza stessa ebbe sul punto specifico ad osservare che "il Comune non avrebbe dovuto limitarsi a sostenere la non rilevanza dell’opera, ma avrebbe dovuto giudicare della sua compatibilità con gli altri vincoli esistenti in zona, ed in genere con i limiti previsti dalla normativa sul condono" (doc. 8 ricorrente, copia sentenza citata; v. p. 12 per il dispositivo e p. 8 per il passo citato dalla motivazione).

In esito a tale sentenza, la E. ottenne quindi, con il provvedimento meglio indicato in epigrafe, il permesso di costruire in sanatoria "limitatamente ai lavori di realizzazione di area adibita a deposito rottami per una superficie di mq 864,16, dato atto che sono stati determinati i contributi di concessione in Euro 41.307,60 come segue: Euro 22.055,19 oneri di urbanizzazione primaria; Euro 15.548,74 oneri di urbanizzazione secondaria; Euro 3.703,67 smaltimento rifiuti" (doc. 1 Comune, copia provvedimento impugnato; il doc. 9 ricorrente, erroneamente indicato come tale, è invece l’avviso dell’avvenuto rilascio del provvedimento in questione, avviso notificato il 14 gennaio 2010).

Avverso tale provvedimento, nella parte in cui determina nella misura descritta le somme dovute per il suo rilascio, la E. ha proposto in questa sede impugnazione con ricorso notificato il 19 aprile 2010, nel quale, ricordato che la controversia involve diritti soggettivi e non è quindi soggetta a termini di decadenza per proporre l’azione relativa, sviluppa i seguenti tre motivi:

– con il primo di essi, deduce violazione dell’art. 35 della l. 47/1985, poiché, a suo dire, soggetto obbligato a versare al Comune i contributi richiesti sarebbe non ella stessa, attuale proprietaria, ma l’originario presentatore della domanda G.S., presunto autore delle opere abusive;

– con il secondo di essi, eccepisce comunque la prescrizione dei contributi in questione, maturata nell’ordinario termine decennale, che decorre secondo il principio dell’art. 2935 c.c. dal giorno in cui il diritto può farsi valere. Tale termine iniziale, a suo dire, dovrebbe decorrere o dall’originario perfezionamento della domanda di condono, che è fatto coincidere dalla ricorrente con la data del 25 novembre 1996, di cui si è detto, in cui G.S. rispose in merito alle integrazioni richieste, o al di più dal decorso di ventiquattro mesi da tale data, momento in cui si sarebbe perfezionato il silenzio assenso sull’istanza;

– con il terzo motivo, deduce in subordine l’erronea liquidazione del dovuto. Ciò in primo luogo perché il Comune avrebbe dovuto riferirsi non, come fatto in concreto, alle tariffe per gli oneri in vigore al momento in cui ha accolto la domanda di condono col provvedimento impugnato, ma alle tariffe in vigore al momento della presentazione della domanda; in secondo luogo perché, comunque, non si sarebbe potuta considerare l’intera area condonata come deposito di rottami costituente impianto per industria, dato che la stessa non integra volumetria alcuna e per la parte eccedente 50 mq sarebbe adibita a semplice parcheggio.

Resiste il Comune di Sorisole, costituitosi con memoria formale del 16 giugno 2010, e nella successiva memoria 9 giugno 2011 nel merito deduce:

– in linea di fatto, di aver ritenuto non esaustiva la risposta 25 novembre 1996 fatta pervenire da G.S. a fronte della richiesta di integrazione documentale, come da nota 29 marzo 1999, cui però lo stesso Scalzo non aveva dato riscontro alcuno (doc. 6 Comune, copia nota citata);

– sempre in linea di fatto, che nemmeno in seguito né G.S. né la E. avevano ritenuto di far pervenire alcunché o di pagare il contributo di concessione, sì che il silenzio assenso non poteva dirsi formato;

– in diritto, in ordine al primo motivo che obbligato a pagare il contributo di concessione deve ritenersi il proprietario del bene;

– in ordine al secondo motivo, che da un lato, come detto, il silenzio assenso non poteva ritenersi formato, dall’altro che il termine di prescrizione incomincia a decorrere dal rilascio del permesso in sanatoria;

– in ordine al terzo motivo, che la determinazione del contributo in base alle tariffe vigenti al momento del rilascio del permesso in sanatoria deve ritenersi legittima e doverosa, e che nell’applicare tale tariffa si è tenuto conto dell’intera superficie dell’area osservato da un lato che l’opera realizzata determina comunque un aumento del carico urbanistico e dall’altro che la misura dell’area trasformata è quella indicata nell’istanza (memoria cit. p. 10 prime tre righe).

Con memoria 10 giugno 2011 la ricorrente ha ribadito le proprie asserite ragioni; con la replica del 21 giugno 2011 ha poi eccepito la tardività delle difese del Comune, avanzate solo nella memoria finale, e quindi ha chiesto che i fatti da lui dedotti nel ricorso siano ritenuti incontestati.

La Sezione all’udienza del giorno 13 luglio 2011 tratteneva da ultimo il ricorso in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e va respinto, per le ragioni di seguito precisate.

1. In via preliminare, a mero scopo di chiarezza, va dato atto di quanto correttamente puntualizzato dalla ricorrente, ovvero che l’atto impugnato nella presente sede è atto paritetico, che nel determinare i contributi dovuti va a incidere su posizioni di diritto soggettivo; va quindi contestato nella sede presente non già entro il noto breve termine di decadenza, ma entro i termini di prescrizione, nella specie pacificamente rispettati: sul principio, per tutte, C.d.S. sez. IV 19 dicembre 2007 n°6559.

2. Sempre in via preliminare, va poi ulteriormente chiarito che l’eccezione di tardività delle difese del Comune dedotta dalla ricorrente nella propria replica 21 giugno 2011 di cui in premesse, nel caso di specie non rileva. La ricorrente, come si è accennato, sostiene in sintesi estrema che anche nel presente processo amministrativo, per lo meno ove, come si è detto accadere nella specie, la giurisdizione sia estesa a diritti soggettivi, dovrebbe applicarsi il disposto dell’art. 167 c.p.c., secondo il quale il convenuto ha l’onere, nel primo proprio atto difensivo, di "proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione…".

3. Sempre secondo la tesi della ricorrente, tale norma esprimerebbe un generale principio di non contestazione, valido in tutte le forme di processo civile, e quindi, secondo logica, anche nel processo amministrativo, in forza del richiamo dell’art. 39 comma 1 c.p.a.; comporterebbe quindi che, ove la contestazione fosse mancata, i fatti affermati dal ricorrente nell’atto introduttivo dovrebbero senz’altro ritenersi ammessi. Nel caso di specie, prosegue poi sempre la difesa della ricorrente, ciò si sarebbe verificato, dato che il Comune si è costituito il 16 giugno 2010 con semplice "memoria formale" nella quale si limita ad asserire la infondatezza delle domande avversarie; ha invece sviluppato una compiuta difesa solo in seguito, producendo il 1 giugno 2011 documentazione e depositando il 9 giugno 2011 una articolata memoria.

4. In proposito, il Collegio osserva anzitutto che tanto l’effettiva vigenza nel generale ordinamento processuale del preteso principio di non contestazione, quanto i suoi effettivi contorni sono tutt’altro che pacifici, al di là di quanto prevedono normative certamente di massimo rilievo, ma pur sempre settoriali, come quella del contenzioso lavoristico. A mero titolo di esempio, si è espressa a favore, se pure solo in via di obiter, Cass. civ. S.U. 23 gennaio 2002 n°761, mentre sono espressamente contrarie molte sentenze successive, da ultimo Cass. sez. II 29 aprile 2010 n°10285, in termini generali, se pure pronunciata con riguardo a controversia sorta anteriormente alla entrata in vigore del d.l. 14 marzo 2005 n°35 convertito nella l. 14 maggio 2005 n°80, che ha introdotto il testo dell’art. 167 c.p.c. sopra citato. Si deve poi pur sempre ricordare che nel presente processo amministrativo permane, ai sensi dell’art. 64 comma 3, un potere istruttorio officioso del giudice nei confronti della p.a., concettualmente analogo a quello di cui all’art. 421 c.p.c. Ciò posto, comunque, l’eccezione nel caso concreto non rileva, dato che, come si dirà in prosieguo, la decisione della causa prescinde dai contenuti difensivi prospettati dal Comune con la citata memoria 9 giugno 2011.

5. Tanto premesso, è infondato il primo motivo di ricorso, secondo il quale il soggetto tenuto a pagare il contributo necessario al rilascio della concessione in sanatoria per il cd. condono sarebbe solo colui il quale ha presentato la relativa richiesta, nella specie il citato Scalzo, non già l’avente causa di questi, nella specie la E.. In proposito, il Collegio ritiene di far proprie le approfondite argomentazioni di TAR Puglia Bari sez. II 6 ottobre 2009 n°2364.

6. Come osserva la sentenza citata, la norma che prevede l’obbligo di pagare il contributo in parola è l’art. 37 della l. 47/1985, secondo il quale "Il versamento dell’oblazione non esime i soggetti di cui all’art. 31, primo e terzo comma, alla corresponsione al comune, ai fini del rilascio della concessione, del contributo previsto dall’art. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, ove dovuto". Se poi si consulta l’art. 31 richiamato, si ricava che la domanda di condono può essere presentata da "proprietari di costruzioni e di altre opere" (primo comma) nonché da "coloro che hanno titolo, ai sensi della legge 28 gennaio 1977, n. 10, a richiedere la concessione edilizia o l’autorizzazione nonché, salvo rivalsa nei confronti del proprietario, ogni altro soggetto interessato al conseguimento della sanatoria medesima".

7. In base alle norme citate, la sentenza in parola afferma l’obbligo nei confronti del Comune anche dell’avente causa nella proprietà dell’immobile, in base a due argomenti letterali e due sistematici. In primo luogo, sotto il profilo letterale, fa rilevare che, se il legislatore avesse voluto stabilire l’obbligo in capo al solo richiedente, avrebbe redatto di conseguenza l’art. 37, senza includervi il generale richiamo alla pluralità di soggetti dell’art. 31. In secondo luogo, sempre sotto il profilo letterale, osserva che fra i "proprietari" contemplati nel richiamato primo comma dell’art. 31 vi è senza dubbio l’avente causa nel diritto. Sotto il profilo sistematico, si deve poi argomentare anzitutto dall’art. 31 comma 3, che "nel consentire ad ogni soggetto interessato la possibilità di presentare la sanatoria facendo salvo il diritto di rivalersi nei confronti del proprietario, già di per sé istituisce un collegamento tra obblighi derivanti dalla sanatoria e titolo di proprietà dell’immobile", nonché dall’autonomia, prevista dalla legge, fra il "procedimento per il rilascio del titolo edilizio in sanatoria e quello relativo alla predeterminazione del contributo concessorio", da cui si desume la non necessaria "coincidenza tra richiedentedestinatario della sanatoria soggetto obbligato al pagamento del contributo concessorio".

8. A tali argomenti, il Collegio ritiene di aggiungerne uno proprio: ove, come nella specie, si tratti di riscuotere un’entrata pubblica, il dubbio fra due possibili interpretazioni in merito ai soggetti obbligati va risolto nel senso di moltiplicare i soggetti passivi, e non di ridurli, poiché in tal senso si tutela con maggiore intensità l’interesse pubblico all’incasso. E’ infatti di tutta evidenza che, specie a distanza di qualche tempo dalla domanda, l’originario suo presentatore il quale abbia ceduto l’immobile potrebbe essere irreperibile ovvero insolvente.

9. A fronte di ciò, cedono le contrarie argomentazioni di TAR Marche sez. I, 27 settembre 2006 n°589 citata dalla ricorrente, la quale argomenta soltanto in forza del citato obbligo di rivalsa, che secondo l’interpretazione proposta attiene ad una vicenda possibile, ma non necessaria, quella in cui in fatto abbia pagato un soggetto non proprietario. Va poi ricordato, per completezza, quanto osserva ancora TAR Puglia Bari n°2364/2009, ovvero che C.d.S. sez. V 23 marzo 1996 n°294, citata anche da TAR Marche n°589/2006, è non pertinente alla fattispecie, in quanto riguarda il caso generale di contributi concessori, e prescinde quindi dalle norme speciali della l. 47/1985.

10. Il secondo motivo di ricorso è invece infondato in fatto, poiché, come si ricava a semplice lettura dello stesso, presuppone nel suo sviluppo che sull’originaria domanda di G.S., nella parte che interessa, relativa all’area deposito, si sia formato un silenzio assenso. Tale assunto è invece positivamente escluso dall’accertamento contenuto nella sentenza di questo TAR sez. I 2222/2009 citata in premesse, che il ricorrente ha allegato ritenendola a sé favorevole e che è stata resa fra le medesime parti di questo processo, quindi fra di esse fa stato secondo i principi generali, non risultando impugnata.

11. La sentenza in questione, come pure si è detto in narrativa, è stata pronunciata in sede di impugnazione di un provvedimento che respingeva per intero la domanda di condono presentata da G.S., sia quanto all’area deposito che interessa, sia quanto ad altre opere; essa ha poi annullato in parte il provvedimento in parola, ritenendo che il Comune avrebbe dovuto scindere i due oggetti della domanda originaria, e decidere autonomamente per quanto riguardava l’area deposito (v. doc. 8 ricorrente, cit.; v. p. 12 del dispositivo e p. 8 della motivazione): ne è seguito il provvedimento impugnato nella sede presente.

12. E’ allora del tutto chiaro che siffatto accertamento contenuta nella sentenza si estende al suo inequivocabile presupposto logico: che alla data della sentenza stessa sulla domanda di G.S. non si fosse formato alcun silenzio assenso, nemmeno per quanto concerne l’area deposito, perché diversamente sarebbe bastato darne atto e nessun senso avrebbe avuto sancire l’obbligo del Comune di provvedere in proposito.

13. Corretta o no che sia tale conclusione, tale accertamento non può essere rimesso in discussione nella presente sede: ne consegue che il termine di prescrizione del contributo per cui è causa nel caso di specie non ha incominciato a decorrere se non dal provvedimento esplicito che si è impugnato, e quindi non è maturato. Irrilevanti sono così tutte le deduzioni in fatto tramite le quali il Comune ha in sintesi sostenuto che il silenzio assenso non si sarebbe potuto comunque formare.

14. Da ultimo, il terzo motivo di ricorso risulta infondato in entrambi i profili di censura che prospetta. Il primo di essi sostiene, in ossequio ad una pretesa regola generale, che il contributo per cui è causa si sarebbe dovuto determinare non come avvenuto nella specie al momento di rilascio della concessione in sanatoria, ma al momento di presentazione della relativa domanda, ovvero secondo criteri più favorevoli. In proposito, è necessaria una ricostruzione dell’istituto.

15. In termini generali, all’epoca dei fatti le quote di contributo dovuto per il rilascio di una concessione edilizia al di fuori dei casi di sanatoria erano determinate in forza dell’art. 11 della l. 27 gennaio 1977 n°10 con riguardo al momento di rilascio del provvedimento; sul punto specifico, nulla invece disponeva la l. 47/1985 con riguardo al rilascio della concessione in sanatoria a seguito di condono edilizio, che indubbiamente come fatto storico rappresenta un’ipotesi diversa. Come notato anche dalla giurisprudenza di cui appresso, infatti, la concessione edilizia ordinaria precede la realizzazione dell’opera, mentre quella in sanatoria la segue. Nel silenzio della legge, si sono allora formati gli orientamenti contrastanti di cui pure si dirà.

16. Una disposizione esplicita è invece contenuta, come ricordato dalle stesse parti, nella legislazione regionale lombarda: si tratta dell’art. 4 comma 6 della l.r. Lombardia 3 novembre 2004 n°31, che, con riguardo al condono edilizio del 2003, quindi ad una fattispecie diversa, se pure analoga, a quella per cui è causa, dispone "Gli oneri di urbanizzazione e il contributo sul costo di costruzione dovuti ai fini della sanatoria sono determinati applicando le tariffe vigenti all’atto del perfezionamento del procedimento di sanatoria".

17. La norma regionale in questione, che la ricorrente sospetta di incostituzionalità (v. p. 14 ricorso prime tre righe), è stata invece oggetto della pronuncia di manifesta inammissibilità della questione di cui all’ordinanza C. cost. 17 marzo 2010 n°105, che sull’argomento ha svolto altresì considerazioni di ordine generale rilevanti per la presente causa. Secondo la Corte infatti determinare il contributo di concessione in sanatoria con riguardo al momento in cui il procedimento si perfeziona "costituisce non già l’unica regolamentazione conforme a Costituzione, ma solo una delle opzioni astrattamente praticabili… la scelta di privilegiare l’interesse pubblico all’adeguatezza della contribuzione ai costi reali da sostenere rispetto a quello, ad esso antitetico, del cittadino alla sua piena previsione dei costi al momento della formazione del consenso – ugualmente meritevole di protezione – sembra essere il frutto di una scelta discrezionale implicante un bilanciamento di interessi rimesso al legislatore" (così la massima). In altre parole, la soluzione fatta propria dalla legge regionale e adottata dal Comune nel caso di specie non è di per sé contrastante con la Costituzione, e pertanto potrebbe essere raggiunta, non ostandovi il dato testuale, anche in via di interpretazione per il condono del 19851994 che qui rileva.

18. A tale ultimo proposito, come accennato, si sono formati orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Il primo è quello sostenuto dalla ricorrente, che determina il contributo con riguardo al momento di presentazione della domanda ed è condiviso, fra le molte, da TAR Puglia Lecce sez. III 24 marzo 2006 n°1725, TAR Lombardia Milano sez. II 5 maggio 2004 n°1620, C.d.S. sez. V 17 settembre 2002 n° 4716 e 6 settembre 2002 n°4562 e TAR Puglia Bari sez. I 15 novembre 2000 n°4442. Tale orientamento fa leva sul dato già riferito, e in sé non discutibile, per cui in caso di sanatoria si controverte di una costruzione già realizzata.

19. Il secondo orientamento, condiviso nei fatti e nelle proprie difese dal Comune, è sostenuto dalla giurisprudenza maggioritaria, per non citare che alcune pronunce da TAR Lazio Roma sez. II 3 febbraio 2009 n° 1059, ove plurime citazioni di precedenti conformi, e da C.d.S. sez. V 26 marzo 2003 n° 1564; esso fa centro su un rilievo di principio, ovvero la necessità che il potere pubblico di rilascio della concessione segua le norme vigenti al momento del suo esercizio e non quelle superate, e per ciò solo ritenute non più rispondenti all’interesse generale, nonché su un rilievo di giustizia sostanziale, per cui il condono "già costituisce un’eccezione destinata a privilegiare l’autore delle opere abusive; sicché non è dato vedere la ragione per cui il medesimo, già avvantaggiato dalla mancata sottoposizione alla norma penale e dalla mancata rimozione o perdita dell’opera realizzata, dovrebbe essere anche beneficiato dall’assoggettamento ad oneri urbanistici ormai da molto tempo "storicamentè superati", così come si esprime in motivazione C.d.S. 1564/2003 cit.

20. Il Collegio ritiene di far propri tali argomenti sostanziali e di seguire l’interpretazione seguita dal Comune, che oltretutto ha il pregio di trattare in maniera uniforme tutti i soggetti che abbiano beneficiato dei condoni succedutisi negli anni.

21. Infondato è da ultimo anche il secondo profilo di censura contenuto nel terzo motivo, poiché il Comune, come risulta negli atti di causa, ha considerato l’intero piazzale come area deposito, e quindi come trasformazione del territorio che integra costruzione da assoggettare a contributo, in conformità all’originaria domanda di G.S. (v. doc. ti ricorrente 2 e 3 cit.), che la ricorrente non ha mai ritenuto di emendare (sul principio per cui la realizzazione di un piazzale, anche non adibito a deposito, comporta trasformazione del territorio che necessita di titolo edilizio v. da ultimo C.d.S. sez. IV 13 gennaio 2010 n°41).

22. La reiezione della domanda di annullamento comporta la reiezione anche della domanda risarcitoria.

23. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, avuto riguardo al limitato valore della causa.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la E. S.r.l. a rifondere al Comune di Sorisole le spese del giudizio, spese che liquida in Euro 1.500 (millecinquecento), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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