Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-07-2011) 20-07-2011, n. 28866 Giudizio d’appello sentenza d’appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 4/2/2010, la Corte di appello di Catania, confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Catania, in data 13/2/2003, che aveva condannato L.S. alla pena di anni sette e mesi quattro di reclusione ed Euro 918,00 di multa per il reato di estorsione continuata e pluriaggravata.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato per mezzo del suo difensore di fiducia, dolendosi della violazione delle regole che governano la formazione della prova fondata sulle dichiarazioni di persone coimputate o imputate in un procedimento connesso. A seguito dell’assegnazione del procedimento alla 7^ Sezione, il difensore ha depositato una memoria con motivi nuovi.

Con il primo motivo deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 192 cod. proc. pen.. Al riguardo si duole che la Corte territoriale abbia eluso le dettagliate censure difensive sollevate con i motivi d’appello in punto di inaffidabilità delle dichiarazioni rese dai vari propalanti e di assenza di riscontri esterni di carattere individualizzante, applicando all’imputato una sostanziale presunzione di colpevolezza, derivante da una sua precedente condanna per associazione a delinquere di tipo mafioso.

Con il secondo motivo deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, dolendosi che la Corte non abbia assolutamente motivato in merito alla sussistenza, nelle condotte imputate al ricorrente, degli estremi dell’aggravante in questione, nè sotto il profilo del metodo mafioso, nè sotto il profilo dell’agevolazione del gruppo mafioso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Non v’è dubbio che la sentenza impugnata sia caratterizzata da povertà motivazionale, tuttavia. In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola entità logico-giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del 28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n. 11421 del 25/11/1995 (ud.

29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar luogo ad una diversa decisione, semprechè tali elementi non siano muniti di un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè, obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000), Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud. 23/9/2003) Rv. 226230, Fabrizi;

Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999 (ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di annullamento la motivazione incompleta nè quella implicita quando l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria, tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da ribaltare gli esiti della valutazione delle prove. In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di secondo grado recepisce la sentenza di primo grado, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice, alla quale sostanzialmente bisogna fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Quanto al secondo motivo, in punto di aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, le censure sono inammissibili in quanto la questione non è stata proposta con i motivi d’appello. Pertanto, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, nessuna motivazione doveva essere svolta sul punto dalla Corte territoriale.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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