T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 26-07-2011, n. 1204 Detenzione abusiva e omessa denuncia Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. La Prefettura di Brescia con decreto del 18 agosto 2010 ha vietato al ricorrente I.P. di detenere armi e munizioni e ha imposto al medesimo di venderle o cederle a persona non convivente nel termine di 60 giorni.

2. Il suddetto provvedimento è stato adottato in seguito a una segnalazione del Commissariato di PS di Desenzano del Garda, che ha evidenziato come il ricorrente risulti coinvolto in numerosi episodi di minacce e liti per futili motivi di vicinato. Un fatto specifico è riferito da un vicino di casa nella denuncia presentata il 5 luglio 2010. Secondo la narrazione della denuncia, il 2 luglio 2010 intorno alle 13.00, mentre la figlia (minorenne) del denunciante festeggiava il compleanno in giardino con le sue amiche, il ricorrente ha posizionato l’autovettura nel campo di sua proprietà con le portiere aperte e la radio a tutto volume, e dopo circa 10 minuti ha iniziato a passare a tutta velocità davanti alla casa del denunciante urlando e suonando il clacson, impaurendo così le bambine. Nel verbale di sommarie informazioni redatto il 28 luglio 2010 il denunciante ha aggiunto che i rapporti con il ricorrente non sono buoni, e che in alcune circostanze, nel corso di liti, il ricorrente avrebbe pronunciato frasi come "sta attento, che finisce male, io ti uccido". Il denunciante ha precisato che il contesto in cui tali minacce sono state pronunciate era particolarmente violento, anche se non fino al punto da far temere per l’incolumità personale.

3. Il ricorrente ha presentato impugnazione contro il provvedimento della Prefettura con atto notificato il 27 ottobre 2010 e depositato l’11 novembre 2010. Le censure possono essere sintetizzate come segue: (i) violazione dell’art. 39 del RD 18 giugno 1931 n. 773 e carenza istruttoria, in quanto non sarebbe dimostrato il rischio che il ricorrente possa abusare delle armi (nello specifico una carabina ad aria compressa Diana, un fucile Flobert monocanna SaintÉtienne, e un fucile a canne parallele Beretta, tutte armi appartenute al padre del ricorrente e conservate per ricordo senza mai essere utilizzate); (ii) travisamento dei fatti, in quanto le liti non sarebbero avvenute tra il ricorrente e il vicino denunciante ma tra la sorella del ricorrente, che vive nella stessa casa, e il suddetto vicino, e per colpa di quest’ultimo (in proposito sono allegate al ricorso due dichiarazioni di persone che abitano o lavorano in zona, entrambe concordi nell’affermare che la sorella del ricorrente subisce da anni dispetti, insulti e molestie da parte del vicino).

4. L’amministrazione si è costituita in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.

5. Sulle questioni presentate nel ricorso si possono svolgere le seguenti considerazioni:

(a) in via generale occorre sottolineare che le valutazioni delle autorità di pubblica sicurezza in materia di armi si collocano su un piano autonomo rispetto ai procedimenti penali (v. CS Sez. VI 6 luglio 2010 n. 4280). I decreti che impongono la cessione delle armi, così come quelli che revocano o sospendono il porto d’armi, possono intervenire prima della sentenza penale e indipendentemente da questa, perché hanno finalità essenzialmente cautelari e le relative decisioni richiedono tempi ristretti nell’interesse dell’incolumità delle persone;

(b) la descrizione dei fatti contenuta in una denuncia o querela vale quindi sul piano amministrativo per il suo contenuto intrinseco, ossia per la coerenza della narrazione, la credibilità delle circostanze esposte e l’indicazione di riscontri oggettivi. La sentenza penale sopravenuta che dovesse eventualmente statuire sui fatti già esaminati dalle autorità di pubblica sicurezza costituisce il presupposto per aprire un nuovo procedimento amministrativo a istanza della parte che vi ha interesse. In tale nuovo procedimento l’accertamento contenuto nella sentenza penale risulterà vincolante nei limiti degli effetti del giudicato;

(c) la vicenda in esame si inserisce in un conflitto tra confinanti che sembra datare da lungo tempo e non si presenta di facile soluzione. Mancano accertamenti in sede penale, e quindi le versioni delle parti coinvolte sono inevitabilmente antitetiche senza un preciso punto di raccordo. Tuttavia la presenza di un conflitto interpersonale dovuto a ragioni di vicinato (come tale destinato a durare nel tempo, essendo l’eventuale risoluzione legata alla cessazione dei comportamenti molesti o al trasferimento delle persone) è, secondo la comune esperienza, una base idonea per accendere l’attenzione delle autorità sul pericolo di abuso delle armi;

(d) l’elemento che consente l’adozione di un vero e proprio divieto di detenere armi e munizioni è però di natura qualitativa, e consiste nel passaggio dalle rivendicazioni e contestazioni reciproche alle minacce riguardanti l’incolumità personale. Quando si supera la soglia della minaccia in un contesto conflittuale permanente il rischio che le armi diventino un mezzo di risoluzione del conflitto non può più essere trascurato e l’autorità di pubblica sicurezza ha il dovere di intervenire in via cautelativa allontanando le armi;

(e) se l’uso delle minacce cambia qualitativamente la natura del conflitto interpersonale, vale anche il reciproco, ossia l’esistenza di un conflitto che tutti i protagonisti riconoscono come grave e spiacevole rende verosimile che delle minacce siano state effettivamente indirizzate da una parte all’altra;

(f) dunque la Prefettura ha correttamente dato rilievo alla denuncia del vicino di casa del ricorrente. Non basta a riequilibrare la situazione di allarme il fatto che la condotta del ricorrente sia stata finora irreprensibile sul piano penale, né che le armi in realtà non siano mai state impiegate per alcuno scopo: quando la qualità della convivenza è degradata l’autorità di pubblica sicurezza deve necessariamente muoversi in una logica di prevenzione anticipando lo scenario peggiore (v. TAR Milano Sez. III 9 giugno 2010 n. 1759). Parimenti non assume importanza che il conflitto interpersonale riguardi principalmente la sorella del ricorrente, perché appare verosimile che anche il ricorrente, abitando nello stesso luogo, sia immediatamente coinvolto nella fase più emotivamente intensa (e pericolosa) delle liti, senza il filtro della lontananza fisica.

6. In conclusione il ricorso deve essere respinto. Le spese di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando, respinge il ricorso. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *