Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 21-06-2011) 20-07-2011, n. 28878

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza del 20.12.2010, il Tribunale della Libertà di Catania, rigettava l’istanza di riesame proposta da P.R. avverso l’ordinanza applicativa della misura cautelare della custodia in carcere emessa nei suoi confronti dal gip dello stesso Tribunale il 29.11.2010 per il reato di ricettazione di svariati oggetti preziosi e orologi, rinvenuti all’interno dell’abitazione del suocero dell’imputato, F.P., in uso allo stesso imputato e alla di lui moglie e sequestrati insieme a munizioni di arma da fuoco.

In altra abitazione in uso al ricorrente era stata inoltre rinvenuta una borsa di plastica contenente la somma di Euro 19.850, occultata sotto il lavabo del bagno.

Ricorre personalmente il P., rilevando con il primo motivo, rispettivamente ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c) e dell’art. 606 c.p.p., lett. e), il vizio di violazione di norme processuali in relazione all’art. 273 c.p.p. e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c bis, e il difetto di motivazione dell’ordinanza impugnata in punto di valutazione della gravità indiziaria.

I giudici territoriali si sarebbero contraddetti rispetto all’affermazione che nè l’imputato nè la moglie disponevano di risorse finanziarie idonee a giustificare l’acquisto dei beni in questione, riconoscendo che l’indagato aveva venduto in epoca coincidente con quella dell’accertamento del fatto di reato, due autovetture e aveva ricevuto in prestito delle somme di denaro, così come la moglie.

Peraltro, nel corso del procedimento di riesame la difesa avrebbe dimostrato l’esercizio da parte dell’imputato, di un’attività commerciale nel settore della compravendita di autoveicoli, di cui ingiustificatamente il tribunale aveva negato la plausibilità, sulla base dell’inesistenza di idonea documentazione contabile dell’attività. Nemmeno sarebbe provata la riconducibilità dei beni in oggetto all’imputato, posto che nell’immobile dove egli risiedeva soggiornavano stabilmente altre persone, non avendo quindi il tribunale dato conto dell’affermazione secondo cui il possessore dei medesimi beni dovesse ritenersi proprio il ricorrente.

Con il secondo motivo, il ricorrente censura il provvedimento sotto gli stessi profili di legittimità, in ordine alla valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari, almeno in termini non adeguatamente fronteggiabili con misure meno gravose.

Sarebbe in sostanza del tutto apodittica l’affermazione del tribunale circa lo stabile inserimento del ricorrente in pericolosi ambienti criminali, peraltro rilevabili, secondo le testuali indicazioni del provvedimento, soltanto "presumibilmente", alla stregua di una inammissibile presunzione.

Il ricorso è manifestamente infondato.

– sulla riconducibilità degli oggetti rinvenuti nell’abitazione del F. all’imputato, il tribunale correttamente rileva che essi erano custoditi nella camera da letto sicuramente utilizzata dal P. e dalla moglie;

– sulla non disponibilità, da parte dell’indagato e della moglie, di mezzi finanziari occorrenti per l’acquisto di preziosi e valori, i giudici territoriali osservano non infondatamente che della somma ricavata dalla vendita di due autoveicoli non v’è nessuna documentazione, nonostante l’elevato prezzo che sarebbe stato pattuito, così come nessuna documentazione l’imputato aveva prodotto a prova dei prestiti asseritamente ricevuti da tale M.G., ancora una volta in contrasto con le prassi negoziali usuali per tali rapporti; del pari appaiono condivisibili sul piano logico le considerazioni del tribunale sull’inverosimiglianza dell’attività commerciale addotta dall’imputato, che per sua natura è inevitabilmente accompagnata da documentazione, non solo fiscale, di supporto;

– in ogni caso, il tribunale rileva che le giustificazioni addotte dall’imputato coprirebbero solo una parte del valore degli oggetti rinvenuti in suo possesso, anche considerando l’ulteriore prestito concesso alla moglie dell’imputato dalla di lei sorella.

– Il Tribunale rileva, ancora, che una parte del compendio dei beni è sicuramente proveniente da una rapina e ricorda le incongrue spiegazioni offerte dal F. sulla presenza di preziosi e orologi nella sua abitazione;

– In punto di esigenze social preventive, infine, il Tribunale non arbitrariamente sottolinea, nei termini appropriati alla valutazione del profilo cautelare, l’ipotizzabile collegamento dell’imputato con ambienti criminali non in virtù di conclusioni apodittiche, ma per la stessa quantità e per il valore dei beni sequestrati, come indicativi di costanti contatti criminali capaci di assicurare al ricorrente gli un rapporto costante di beni di provenienza delittuosa; ma sottolinea, anche, il rilievo innegabile dei numerosi precedenti penali anche specifici del ricorrente.

In definitva, le censure del ricorrente si limitano a riproporre temi di indagine già analizzati e convenientemente valutati dal Tribunale, senza che il ricorrente riesca a cogliere alcun vizio logico giuridico nella motivazione del provvedimento impugnato.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00, commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00; si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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