T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 26-07-2011, n. 1988

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con provvedimento del 17.7.2006, il Responsabile del Servizio Tecnico del Comune di Cambiago rigettava la domanda di condono edilizio, ai sensi dell’art. 32 del decreto legge n. 269/2003, presentata dal sig. L.M. per la sanatoria della costruzione di una villetta unifamiliare in via Matteotti.

Contro il citato diniego era proposto il presente ricorso, affidato ad un solo ed articolato motivo, vale a dire la violazione degli articoli 3 e 117 della Costituzione, dell’art. 32 del DL 269/2003 convertito con legge 326/2003, dell’art. 2 della legge regionale 31/2004, oltre che l’eccesso di potere sotto svariati profili (illogicità, ingiustizia manifesta, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, carenza di istruttoria e di motivazione).

Si costituiva in giudizio il Comune intimato, concludendo per il rigetto del ricorso.

Alla pubblica udienza del 7.7.2011, la causa era trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

1. Il Comune di Cambiago ha negato il condono dell’immobile dell’esponente, dando applicazione all’art. 2 della legge della Regione Lombardia n. 31/2004, in forza del quale (comma 1°), "…non sono suscettibili di sanatoria le opere abusive relative a nuove costruzioni, residenziali e non, qualora realizzate in assenza del titolo abilitativo edilizio e non conformi agli strumenti urbanistici generali vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge" (la LR 31/2004 è entrata in vigore il 6 novembre 2004).

Nel caso di specie, risultano pacificamente sussistere i presupposti per il diniego di condono di cui alla legge indicata: l’opera di cui è chiesta la sanatoria è – infatti – un edificio destinato ad abitazione, trattandosi di una villetta unifamiliare ad uso residenziale (cfr. la copia dell’istanza di condono, doc. 4 del ricorrente), avente superficie utile di 83 metri quadrati, realizzata ex novo su terreno avente destinazione agricola, contraddistinto al catasto al foglio 24, mappale 223 (cfr. ancora il citato doc. 4, in particolare la documentazione tecnica allegata alla domanda del ricorrente).

L’area su cui sorge il manufatto abusivo ha destinazione agricola normale (E1), in relazione alla quale le Norme Tecniche di Attuazione (NTA) del Piano Regolatore Generale (PRG) ammettono le sole opere destinate alla residenza dell’imprenditore agricolo e dei dipendenti dell’azienda (cfr. il certificato di destinazione urbanistica, doc. 4 del resistente e l’art. 22.2 delle NTA, doc. 2 del ricorrente; si ricordi che la previsione delle NTA ricalca l’art. 59 della legge regionale 12/2005, sugli interventi edilizi nelle zone agricole).

L’esponente non è però – circostanza assolutamente incontestata – imprenditore agricolo, per cui non avrebbe potuto ad alcun titolo realizzare un’abitazione sull’area di cui è causa.

Peraltro il ricorrente, di fronte alla chiarezza della prescrizione legislativa regionale, che non lascia margini di dubbio all’Amministrazione comunale, chiede al Collegio di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1°, della legge regionale 31/2004, per presunto contrasto della stessa con gli articoli 3 e 117 della Costituzione e con i principi fondamentali della legislazione statale desumibili dall’art. 32 del decreto legge 269/2003.

La questione appare però manifestamente infondata, per le ragioni che seguono.

La Corte Costituzione ha già affrontato la questione di legittimità costituzionale prospettata in questa sede, attraverso la propria sentenza n. 49 del 10.2.2006, nella quale – fra l’altro – ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, commi 1° e 2°, e dell’art. 3, comma 1°, della legge della Regione Lombardia 3 novembre 2004, n. 31, sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri, per violazione degli artt. 3, 81, 97, 117, secondo comma, lettere a), e) ed l), 117, terzo comma, e 119 Cost.

Nella sentenza (cfr. punto 8 della parte in diritto), la Corte ha escluso l’incostituzionalità delle previsioni normative regionali volte a ridurre l’ambito applicativo della sanatoria, in quanto si tratta di previsioni rientranti nella potestà legislativa concorrente regionale di cui all’art. 117, comma 3°, della Costituzione.

Ancora, nella suddetta decisione i giudici delle leggi hanno richiamato la loro pregressa pronuncia sul condono del 2003, vale a dire la sentenza n. 196 del 28.6.2004, nella quale la Corte Costituzionale riconobbe che le questioni inerenti il c.d. terzo condono, al di là degli aspetti attinenti in via esclusiva alla potestà legislativa statale (si pensi agli effetti penali del condono), sono attribuite alla potestà legislativa concorrente StatoRegioni, in quanto ricomprese nella materia del "governo del territorio", con collegamenti con l’ulteriore materia (anch’essa oggetto di potestà concorrente), della "valorizzazione dei beni culturali e ambientali".

In conclusione, il presente ricorso deve essere respinto, siccome infondato, in ogni sua domanda.

2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di causa, che liquida in euro 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori di legge (IVA, CPA e spese generali).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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