Cass. civ. Sez. VI, Sent., 12-12-2011, n. 26654 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- C.F., c.A., C.R., V.F., T.M., Ro.Cl., R. L., Re.Di., Q.A., Pa.

G. e P.C. ricorrono per cassazione (con distinti ricorsi) nei confronti del decreto della Corte d’appello di Trento depositato in data 2.12.2009 che, liquidando Euro 1.650,00 per anni cinque e mesi sei di ritardo, ha accolto parzialmente i loro ricorsi (proposti separatamente e successivamente riuniti) con i quali avevano formulato domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al TAR del Lazio dal 26.4.2000 al 19.11.2008.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso nei confronti dei ricorrenti T.M., Ro.

C., R.L..

Nei termini di cui all’art. 378 c.p.c. i ricorrenti T.M., Ro.Cl., R.L., Re.Di., Q. A., Pa.Gi., V.F., Ca.

F. e C.R. hanno depositato memoria. I ricorsi sono stati riuniti perchè proposti contro il medesimo provvedimento.

1.1.- La presente sentenza è redatta con motivazione semplificata così come disposto dal Collegio in esito alla deliberazione in camera di consiglio.

2.- L’unico motivo di ricorso con il quale si deduce violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nonchè difetto di motivazione in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che il giudice del merito ha determinato in Euro 300,00 per ogni anno eccedente il periodo di tre anni ritenuto ragionevole è fondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito come la valutazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale resti soggetta – a fronte dello specifico rinvio contenuto nella L. n. 89 del 2001, art. 2 – all’art. 6 della Convenzione, nell’interpretazione giurisprudenziale resa dalla Corte di Strasburgo, e, dunque, debba conformarsi, per quanto possibile, alle liquidazioni effettuate in casi similari dal Giudice europeo, sia pure in senso sostanziale e non meramente formalistico, con la facoltà di apportare le deroghe che siano suggerite dalla singola vicenda, purchè in misura ragionevole (Cass., Sez. Un., 26 gennaio 2004, n. 1340); in particolare, detta Corte, con decisioni adottate a carico dell’Italia il 10 novembre 2004 (v., in particolare, le pronunce sul ricorso n. 62361/01 proposto da Riccardi Pizzati e sul ricorso n. 64897/01 Zullo), ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno la base di partenza per la quantificazione dell’indennizzo, ferma restando la possibilità di discostarsi da tali limiti, minimo e massimo, in relazione alle particolarità della fattispecie, quali l’entità della posta in gioco e il comportamento della parte istante (cfr, ex multis, Cass., Sez. 1, 26 gennaio 2006, n. 1630). Da tali principi consegue che non è giuridicamente rilevante, ai fini dell’attribuzione di una somma apprezzabilmente inferiore rispetto a detto standard minimo, il riferimento alla sola modestia della posta in gioco.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti sopra precisati. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto la causa può essere decisa nel merito e pertanto, in applicazione della giurisprudenza della Corte (Sez. 1, 14 ottobre 2009, n. 21840) a mente della quale l’importo dell’indennizzo può essere ridotto ad una misura inferiore (Euro 750,00 per anno) a quella del parametro minimo indicato nella giurisprudenza della Corte europea (che è pari a Euro 1.000,00 in ragione d’anno) per i primi tre anni di durata eccedente quella ritenuta ragionevole in considerazione del limitato patema d’animo che consegue all’iniziale modesto sforamento mentre solo per l’ulteriore periodo deve essere applicato il richiamato parametro, il Ministero intimato deve essere condannato al pagamento di Euro 4.750,00 a titolo di equo indennizzo per il periodo di anni cinque e mesi sei di irragionevole ritardo quale determinato dal giudice del merito. In relazione a quanto dedotto dai ricorrenti nella memoria difensiva, peraltro, va precisato che questa Corte applica i criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale stabiliti dalla CEDU (Sez. 2, 16 marzo 2010, Volta et autres c. Italie, Ric. 43674/02) e da questa Corte (Sez. 1, n. 13019/2010), in relazione alla durata irragionevole di processi amministrativi, o pensionistici di durata complessiva superiore ai dieci anni.

Quindi il precedente menzionato dai ricorrenti (Sez. 1, n. 21923/2011) non si è discostata affatto dal menzionato orientamento, in quella fattispecie (come nella presente) inapplicabile.

Le spese del giudizio di merito possono essere compensate nella misura di un mezzo in considerazione del parziale accoglimento della domanda mentre quelle di questa fase debbono far carico all’Amministrazione soccombente.

Nella liquidazione delle spese, peraltro, va applicato il principio per il quale in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine (Sez. 1, Ordinanza n. 10634 del 03/05/2010).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa in parte qua il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Economia e delle Finanze al pagamento in favore di ciascun ricorrente della somma di Euro 4.750,00, oltre interessi nella misura legale dalla data della domanda, nonchè alla rifusione del 50% delle spese del giudizio di merito che, per l’intero, liquida in complessivi in Euro 1.570,00 per diritti, Euro 600,00 per onorari e Euro 50,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge; spese distratte in favore del difensore antistatario.

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