Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 20-07-2011, n. 28852 Motivazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 10/02/2010, la Corte di Appello di Lecce confermava la sentenza pronunciata in data 16/05/2006 con la quale il Tribunale di Brindisi aveva ritenuto L.G. e B. A. responsabili di una rapina ai danni di M.A.. p.2. Avverso la suddetta sentenza, entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori, hanno proposto ricorso per cassazione. p.3. L. ha dedotto i seguenti motivi:

1. violazione dell’art. 192 c.p.p., per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del ricorrente sulla base di una serie di elementi indiziari privi dei requisiti della precisione, concordanza e gravità richiesti dall’art. 192 c.p.p., comma 2. In particolare, la Corte non aveva motivato sul fatto che la descrizione fisica del rapinatore (altezza e fattezze), data dalla persona offesa, non era coincidente con quella del ricorrente che risulta molto più alto di mt. 1,71 rispetto a quanto dichiarato dalla M. (mt 1,65). La Corte, poi, non aveva chiarito il particolare del cappello utilizzato da uno dei due rapinatori. La M., infatti, aveva parlato di un cappello nero, ma, quello sequestrato dalla Polizia (e sul quale era stata ritrovato un capello del ricorrente) era diverso perchè recava la scritta bianca "Energy". 2. violazione dell’art. 62 bis c.p., per avere la Corte, con motivazione apparente, negato la concessione delle attenuanti generiche. p.4. B. ha dedotto i seguenti motivi:

1. ILLOGICITA’ DELLA motivazione: sostiene il ricorrente che di tutti gli elementi indiziari valutati a suo carico a) uso del dialetto brindisino; b) amicizia con il L.; c) fuga al momento della perquisizione della Polizia; d) ritrovamento di una scatola di calze da donna contenente solo uno delle due paia; e) prova del Dna; f) ritrovamento di due pistole giocattolo a forma di accendini; g) ritrovamento di un cappello quelli sub c-e-f- non lo riguardavano attenendo al L.. L’elemento sub a) doveva ritenersi neutro;

quello sub b) era stato "supervalutato" senza adeguata motivazione;

il ritrovamento della scatola di calze era poco significativo in "assenza di qualche prova scientifica che ricollegasse quella scatola allo strumento usato per il travisamento"; anche il ritrovamento degli accendini a forma di pistola era poco significativo "in assenza di qualche elemento identificativo che possa collegare quanto ritrovato presso l’abitazione del B. con l’arma utilizzata per la rapina". Infine, la Corte non aveva speso alcun argomento sul documento prodotto dalla difesa (ed libretto di firma) dal quale si evinceva che alla data della rapina, alle ore 19,20, il ricorrente si trovava presso la Questura di Brindisi.

2. violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p., per avere la Corte negato le attenuanti generiche e ritenuto la pena irrogata dal primo giudice congrua, con argomentazioni di puro stile.

Motivi della decisione

p.1. L.. p.1.1. violazione dell’art. 192 c.p.p.: la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, è infondata.

Il ricorrente, infatti, in questa sede, torna a riproporre i due argomenti difensivi già oggetto di specifici motivi di appello e secondo i quali egli non poteva essere il rapinatore sia perchè la sua statura era più alta di quella descritta dalla teste sia perchè il cappello ritrovato dalla Polizia abbandonato sul luogo della rapina non poteva essere quello sul quale venne rinvenuto un capello a lui appartenente, perchè quest’ultimo cappello era quello che era stato sequestrato dalla Polizia il giorno successivo e che recava la scritta bianca "Energy". In altri termini, la Polizia avrebbe sostituito il cappello nero trovato sul posto della rapina con quello sequestratogli il giorno dopo.

Sennonchè, la suddetta tesi difensiva è stata ampiamente confutata dalla Corte territoriale con un profluvio di argomenti di natura logica e fattuale (cfr pag. 4-5-7-8) sicchè la tesi riproposta in questo grado di giudizio va ritenuta nulla più che un tentativo di introdurre, in modo surrettizio, una nuova valutazione di quegli elementi di natura fattuale già presi in esame e disattesi da entrambi i giudici di merito con motivazione congrua adeguata e logica e, quindi, insuscettibile di alcun censura di legittimità.

In particolare, quanto all’omessa motivazione in ordine al preteso contrasto fra quanto dichiarato dalla parte offesa circa l’altezza di uno dei rapinatori (descritto come alto mt. 1,65) e l’altezza del ricorrente ("più alto di 1,70 mt."), va osservato che la doglianza dedotta è infondata atteso che:

– è generica perchè, nei motivi di appello, il L. sosteneva solo di essere "più alto di 1,70 mt." senza dare indicazioni più precise;

– è, comunque, poco significativa perchè la prova principale del suo coinvolgimento nella rapina è data dal ritrovamento sul posto di un cappello sul quale furono rinvenuti capelli a lui appartenenti.

Di conseguenza, trova applicazione quella pacifica giurisprudenza secondo la quale "in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione il giudice non è tenuto, nella motivazione, a confutare, analiticamente, tutti gli elementi addotti dalla difesa, sempre che non siano di natura decisiva ai fini dell’assoluzione":

Cass. 29434/2004. riv 229220.

Nel caso di specie, il mancato esame di un marginale elemento fattuale (che trova logica spiegazione nella circostanza che vi è una modesta differenza di altezza fra quanto dichiarato dalla teste e quanto asserito dal ricorrente) non è tale da inficiare nelle sue linee portanti la fondatezza e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. La censura, poi, mostra tutto il suo limite nella parte in cui parcellizza i numerosi indizi a carico del ricorrente per meglio confutarli, evitando, quindi, una valutazione unitaria complessiva così come correttamente, invece, ha fatto la Corte territoriale. p.1.2. violazione dell’art. 62 bis c.p.: non migliore sorte ha la censura relativa al trattamento sanzionatorio atteso che la motivazione addotta dalla Corte territoriale, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non è affatto apparente ma è congrua ed aderente agli evidenziati elementi fattuali: di conseguenza, dovendosi ritenere che il potere discrezionale che la legge attribuisce al giudice di merito, sia stato correttamente esercitato, la censura va ritenuta manifestamente infondata. p.2. B.. p.2.1. illogicità della motivazione: si tratta della stessa censura proposta dal L.. Di conseguenza, non possono che ripetersi le stesse cose ossia che:

– si tratta di censure di merito che la Corte ha ampiamente preso in esame e disatteso con motivazione congrua, logica ed adeguata;

– l’imputato ricorre al noto espediente retorico della parcellizzazione degli elementi indiziar al fine di meglio confutarli isolandoli l’uno dagli altri. Sennonchè il suddetto metodo va censurato dovendosi ritenere corretto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, la motivazione addotta dalla Corte che, con ragionamento immune da vizi di natura logica, ha valutato nel loro insieme i numerosi indizi a carico dei due imputati.

Quanto, infine, al preteso alibi, è vero che la Corte non ha speso alcuna parola in proposito ma, sul punto, si deve rilevare che la censura proposta in questa sede è generica per essere scrutinata:

infatti, il ricorrente, pur affermando che alle ore 19,20 si trovava presso la Questura di Brindisi per la firma del libretto, non chiarisce nè l’orario in cui la rapina avvenne (si afferma genericamente "all’orario di chiusura") nè quanto dista la Questura dal luogo della rapina. Invero, la produzione della copia del libretto non risulta essere stata accompagnata da deduzioni specifiche (scritte o raccolte a verbale) che consentano di verificare in questa sede la fondatezza o meno della dedotta censura di omessa motivazione in ordine a specifiche doglianze difensive.

Il che consente di ritenere che la Corte territoriale, a fronte di un corposo ed univoco quadro probatorio, non ha ritenuto di prendere espressamente in esame il preteso alibi proprio perchè si trattava di un alibi privo di alcun concreto riscontro. p.2.2. violazione degli artt. 62 bis e 133 c.p.: vale, in proposito, mutatis mutandis, quanto detto in relazione all’identico motivo dedotto dal L.. p.3. In conclusione, entrambe le impugnazioni devono ritenersi infondate con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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