Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 16-06-2011) 20-07-2011, n. 28849 Chiusura ed avviso di chiusura delle indagini preliminari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p.1. Con sentenza del 9/10/2009, la Corte di Appello di Perugia confermava la sentenza pronunciata in data 14/06/2006 dal Tribunale di Spoleto nei confronti di D.G. relativamente ai reati di associazione a delinquere e a una serie di reati fine (rapine, sequestri di persona, ricettazioni). p.2. Avverso la suddetta sentenza, l’imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:

1. VIOLAZIONE dell’art. 415 bis c.p.p.: sostiene il ricorrente che "tanto l’udienza preliminare, tanto buona parte dell’istruzione dibattimentale si sono celebrate senza che la difesa fosse stata mai messa in condizione di accedere ai supporti magnetofonici ed esercitare le facoltà previste dall’art. 268 c.p.p., comma 6". Era, infatti successo che le bobine delle intercettazioni telefoniche ed ambientali disposte da altre A.G. nell’ambito di altri processi, nonostante l’eccezione fosse stata sollevata nell’udienza preliminare, non erano state depositate, neppure ai sensi dell’art. 415 bis c.p.p., ma erano state acquisite solo a seguito dell’ordinanza pronunciata dal tribunale in data 28/04/2007. Di conseguenza, poichè era stato violato il disposto dell’art. 415 bis c.p.p., doveva ritenersi l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonchè la nullità del decreto di rinvio a giudizio, secondo quanto ritenuto da una parte della giurisprudenza.

2. Violazione dell’art. 416 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuta la sussistenza del delitto di cui all’art. 416 c.p. senza che ne sussistessero i presupposti oggettivi atteso che gli elementi fattuali valorizzati dalla Corte "oltre a non aver avuto concreto riscontro giudiziale non sono comunque sufficienti a delineare la morfologia giuridica del reato associativo".

Motivi della decisione

p.1. Violazione dell’art. 415 bis c.p.p.: la vicenda processuale, oggetto della doglianza in esame, è stata ricostruita, in punto di fatto, dalla Corte territoriale nei seguenti termini: "le intercettazioni telefoniche che fanno parte del materiale probatorio utilizzato dal giudice di primo grado vennero disposte da Autorità Giudiziarie diverse da quella di Spoleto (Terni, Ancona e Palermo).

All’atto delle richieste istruttorie il P.M. chiedeva procedersi a perizia per la trascrizione di una serie e di conversazioni (telefoniche ed ambientali) debitamente elencate ed autorizzate da quelle diverse Autorità Giudiziarie. In quella sede la difesa dell’odierno appellante fece rilevare come non risultavano presenti in atti i documenti elencati dall’art. 270 c.p.p. (verbali e registrazioni) nonchè le richieste del P.M. i decreti di autorizzazione del G.I.P. e le eventuali proroghe, reiterando una richiesta di acquisizione già formulata nel corso dell’udienza preliminare. Nel corso del giudizio il P.M. depositava le richieste di intercettazioni del P.M. di Terni ed i decreti autorizzativi del G.I.P. afferenti le conversazioni intervenute sull’utenza telefonica intestata a C.A. (dal cui ascolto avevano preso le mosse le indagini) e le conversazioni ambientali che si erano svolte all’interno del carcere di (OMISSIS) tra il D., ivi detenuto, e la convivente. Produceva altresì i decreti di intercettazione tra presenti disposti dal P.M. di Ancona, e i relativi decreti di convalida del competente G.I.P., afferenti le conversazioni tra presenti all’interno del carcere dell'(OMISSIS) (ove era ristretto F.M. arrestato a seguito della rapina di (OMISSIS)), oltre alle richieste di proroga ed ai relativi decreti emessi dal G.I.P.. Produceva, infine, il decreto di intercettazione di urgenza disposto dal P.M. di Palermo, il relativo decreto di convalida del competente G.I.P. e le successive proroghe, finalizzate alla cattura di un latitante; tra le numerose conversazioni intercettate ve ne era infatti una, datata 9/3/2001 di cui il P.M. aveva chiesto la trascrizione al Tribunale di Spoleto in quanto aveva attinenza con la presente vicenda. Dall’esame degli atti emerge ancora come, successivamente al conferimento dell’incarico peritale, non tutte le bobine che necessitavano per l’espletamento dell’incarico fossero nella materiale disponibilità del Tribunale.

Ciò si ricava dalla lettura dei verbali di causa e da una missiva che il Procuratore della Repubblica di Spoleto indirizzava al Presidente del Tribunale, nella quale si comunicava come parte del materiale fosse stato messo a disposizione del perito mentre altre bobine erano allegate, in originale, al procedimento penale n. 102212001 n.r. della Procura della Repubblica di Terni (che le aveva disposte). Alla luce di ciò il Procuratore delle Repubblica chiedeva al Tribunale l’acquisizione dei predetti supporti presso l’Autorità Giudiziaria che li deteneva; acquisizione che veniva disposta con provvedimento fuori udienza in data 28/4/2004 dal Presidente del Collegio, e ciò al fine di consentire l’espletamento delle operazioni tecniche demandate al perito (all’udienza del 6/4/2004)".

Il caso di specie riguarda, quindi, l’omesso deposito delle sole registrazioni avvenuto nell’ambito della chiusura delle indagini ex art. 415 bis c.p.p..

Sul punto, va precisato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, alla quale si ritiene di dare continuità, "l’omissione del deposito di atti dell’indagine preliminare, contestualmente alla notifica dell’avviso di conclusione prescritto dall’art. 415 bis c.p.p., comporta l’inutilizzabilità degli atti stessi, ma non la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio e del conseguente decreto che dispone il giudizio, non esistendo la previsione di un’autonoma sanzione d’invalidità ai sensi dell’art. 429 c.p.p., in conseguenza del mancato deposito degli atti indipendentemente dalla loro utilizzabilità o meno": ex plurimis Cass. 8049/2007 Rv. 236102 – Cass. 21593/2009 Rv. 243899.

Ora, alla stregua della citata giurisprudenza, si può, innanzitutto, ritenere la manifesta infondatezza dell’eccepita nullità del decreto di rinvio a giudizio.

Resta, però, da esaminare se e in che termini sia fondata l’ulteriore eccezione di inutilizzabilità del risultati delle intercettazioni derivanti dalle registrazioni.

Sul punto, occorre specificare quanto segue.

I risultati delle intercettazioni constano di due elementi: a) le registrazioni; b) i verbali delle operazioni (il ed "brogliaccio") dove è trascritto, anche sommariamente, il contenuto delle comunicazioni intercettate ( art. 268 c.p.p., commi 1 – 6; art. 270 c.p.p.): entrambi devono essere depositati come dispone testualmente l’art. 268 c.p.p., comma 4. Nel caso di specie, si è, però, verificata la peculiarità che, secondo quanto accertato dalla Corte territoriale, sono stati depositati, ex art. 415 bis c.p.p., i brogliacci ma non le registrazioni. Il problema, quindi, consiste nello stabilire se e in che termini scatta la sanzione dell’inutilizzabilità nella fase dibattimentale e, eventualmente, quali atti colpisce.

Per la soluzione della questione, occorre rammentare che, nell’attuale sistema processuale, vige il principio immanente dell’interesse ad agire secondo il quale, perchè una parte possa far valere un’invalidità processuale o proporre un’impugnazione deve avere interesse all’osservanza della disposizione violata ( art. 182 c.p.p., comma 1, – art. 591, comma 1, lett. a): tale principio, sebbene non previsto espressamente per le inutilizzabilità ( art. 191 c.p.p.), tuttavia, si deve senza alcun dubbio ritenere anche ad esse estensibile per analogia essendo identica la ratio legis che consiste nell’evitare che il processo, in cui si dibattono questioni concrete riguardanti la libertà dell’imputato, divenga una palestra per discussioni accademiche prive di alcuna ricaduta concreta sul caso in esame.

Ora, applicando il suddetto principio alla fattispecie per cui è processo, ne deriva che, se è vero che l’imputato non ha potuto prendere cognizione delle registrazioni è, però, anche vero che i brogliacci (che riportano, sommariamente, il contenuto delle intercettazioni) furono depositati.

Di conseguenza, l’eccezione di inutilizzabilità non può che riguardare le sole registrazioni e, sarebbe stata fondata, ove l’imputato avesse dedotto e provato che il contenuto delle suddette registrazioni era diverso (e/o ulteriore) da quello risultante dai brogliacci e che era stato condannato a seguito e a causa di intercettazioni non risultanti dai brogliacci ma solo dalle registrazioni successivamente acquisite e trascritte nel corso del dibattimento: ma tale eccezione non è stata mai dedotta, essendosi il ricorrente limitato a chiedere l’inutilizzabilità di tutte le intercettazioni.

La suddetta eccezione, però, deve ritenersi sterile e fine a sè stessa, non avendo il ricorrente spiegato quali elementi di prova a suo carico erano emersi dalla trascrizione integrale che già non erano presenti (e, quindi, utilizzabili) nei verbali ritualmente depositati ex art. 415 bis c.p.p..

Non è, d’altra parte, ipotizzabile che la dedotta (ed in astratto fondata) inutilizzabilità del contenuto delle registrazioni possa travolgere anche i verbali in cui furono sommariamente riportate perchè questi sono documenti cartacei che hanno una loro distinta autonomia rispetto alle registrazioni come desumibile dal fatto che il legislatore ha cura di indicarle separatamente e prescrivere che entrambi siano depositati ( art. 268 c.p.p., comma 4).

Le registrazioni hanno una funzione di controllo di quanto verbalizzato dall’operatore, sicchè, per questo motivo, rivestono una notevole importanza per la difesa che, attraverso l’ascolto prima e la trascrizione poi, possono avere accesso al contenuto integrale delle comunicazioni intercettate, e, svolgere, quindi, al meglio, la difesa. Di conseguenza, sono destinate a prevalere sui brogliacci (travolgendo quanto in essi l’operatore ha ritenuto di trascrivere) solo ove risulti che abbiano un contenuto sostanzialmente diverso da quello riportato nei suddetti verbali.

Infine, neppure è configurabile una compressione della facoltà di chiedere il giudizio abbreviato.

Invero, come è stato ritenuto da questa Corte, la facoltà di instare per il giudizio abbreviato, "deve naturalmente fondarsi sul compendio conosciuto all’indomani del deposito ex art. 415 bis c.p.p., e prima del termine dettato all’art. 438 c.p.p., comma 2 per la richiesta di ammissione a detto procedimento speciale. Non sfugge, invero, che la procedura dettata dall’art. 438 c.p.p. e ss., addebita alla difesa scelte connotate da non irrilevante margine di rischio, ben potendosi ipotizzare – successivamente alla scelta del rito – l’alea di evoluzioni processuali, sul piano probatorio, non agevolmente pronosticabili e che fanno fisiologicamente parte del rischio connesso al tipo di procedimento speciale. In questo novero di accadimenti può iscriversi anche il potere di integrazione probatoria ex officio attribuito al giudice dall’art. 441 c.p.p., comma 5, e art. 507 c.p.p., esercitabile in un momento successivo al limite entro cui può manifestarsi l’opzione processuale": Cass. 21593/2009 cit. in motivazione. Il che è quanto sostanzialmente ha sostenuto la Corte territoriale che, nel rigettare l’eccezione difensiva ha osservato che "nè nel caso di specie tale mancanza ha comportato una violazione del diritto di difesa. Non risulta infatti che tra gli atti depositati dal P.M. a conclusione delle indagini, mancassero i brogliacci delle conversazioni di cui è stata chiesta la trascrizione (tanto che il D. mai si è lamentato di tale ipotizzata mancanza) così che la difesa è stata in grado di apprezzare il contenuto delle conversazioni. La difesa, inoltre, ha potuto partecipare nella pienezza del contraddittorio alle operazioni peritali, poteva nominare un proprio consulente e chiedere la trascrizione di conversazioni diverse ed ulteriori rispetto a quelle elencate dal P.M.. Nè può ipotizzarsi come il mancato deposito delle bobine abbia condizionato la possibile scelta dell’imputato di chiedere di essere giudicato a mezzo rito abbreviato, richiesta che, alla luce degli atti messi a disposizione di questa Corte, non risulta essere mai stata avanzata".

Il che consente di rilevare non solo la manifesta infondatezza della doglianza ma anche l’aspecilicita rispetto alla motivazione addotta dalla Corte territoriale atteso che il ricorrente, lungi dal confutare in via di fatto quanto affermato dalla Corte, si è limitato a ribadire la sua tesi: da qui, l’inammissibilità della dedotta censura.

2. violazione dell’art. 416 c.p.: la censura, nei termini in cui è stata dedotta, è manifestamente infondata. Infatti, a fronte di un’amplissima motivazione con la quale la Corte territoriale ha illustrato i dati fattuali e le ragioni, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, per le quali l’imputato doveva ritenersi colpevole del contestato reato (cfr pag. 16 ss – 20 ss), il ricorrente, in questa sede si è limitato ad una generica doglianza con la quale, lungi dall’evidenziare pretese illogicità o carenze motivazionali, in realtà, a ben vedere, ha introdotto, in modo surrettizio, una nuova valutazione di quegli stessi elementi fattuali già ampiamente valutati dalla Corte territoriale che li ha disattesi con motivazione congrua, logica ed adeguata.

Anche la suddetta doglianza, quindi, deve ritenersi manifestamente infondata.

Quanto, infine, all’eccepita prescrizione dei reati di cui ai capi a- c-d-h-m-p-s (a parte ogni considerazione sul fatto che è stato impugnato il solo capo a), va osservato che, essendo stati tutti i motivi del ricorso dichiarati inammissibili, trova applicazione il principio di diritto secondo il quale "l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto d’impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.": ex plurimis SSUU 22/11/2000, De Luca, Riv 217266 – Cass. 4/10/2007, Impero.

3. In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *