T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 26-07-2011, n. 1481 Demolizione di costruzioni abusive Sanzioni amministrative e pecuniarie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso introduttivo, notificato il 11/4/2009 e depositato il 30/4/2009, il ricorrente impugna l’ordinanza di demolizione impartita dal Comune di Santa Flavia in relazione ai lavori abusivi eseguiti ritenuti dall’Amministrazione in contrasto con la precedente concessione edilizia n.6 del 29/5/79, già rilasciata dal Comune per il "risanamento statico e conservativo di un vecchio magazzino sito in Porticello Largo Trizzanò, rappresentato in Catasto al foglio di mappa n.5 part.542.

Il ricorso è affidato alle seguenti doglianze:

1)Eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti determinazioni assunte dalla stessa P.A., per illogicità e per lesione del canone di comportamento di buona fede.

In relazione alla parte degli abusi asseritamente realizzati sul fronte lato porto, trattasi di semplice piattaforma debitamente autorizzata ex art.55 cod.nav. sormontata da tubi in ferro e coperta a mezzo tende da asservire al ristorante l’Approdo, sulla quale lo stesso Ente si era espresso con autorizzazione del 22/2/1995 n.886 quanto alla occupazione permanente per l’attività della suddetta trattoria della superficie pari a mq.166,50. Quanto agli altri abusi, il ricorrente contesta sia l’asserito aumento di volumetria, sia la contraddittorietà con i precedenti provvedimenti della P.A..

2)Violazione di legge ex art. 3 L.241/90, eccesso di potere per contraddittorietà e travisamento dei fatti.

Non sono evidenziati le ragioni di interesse pubblico a sostegno della misura repressiva avversata in questa sede, considerata la risalenza nel tempo dei suddetti abusi.

3)Violazione art.21 D.P.R.380/2001.

È stato omessa l’indicazione del termine entro il quale il ricorrente dovrebbe procedere alla suddetta demolizione.

4)Violazione artt.7 e 8 L.241/90.

Non è stata effettuata alcuna comunicazione di avvio del procedimento.

Ha chiesto parte ricorrente l’annullamento, previa sospensione del provvedimento impugnato, avanzando al contempo domanda istruttoria.

Con ordinanza n.521 del 20/5/2009 la domanda cautelare è stata respinta e quindi confermata in seconde cure dal C.G.A. su appello cautelare proposto dal ricorrente, giusta ordinanza n.972/2009.

Con ricorso per motivi aggiunti il ricorrente ha impugnato gli ulteriori atti emessi dalla P.A. in relazione agli abusi di che trattasi, meglio individuati in epigrafe, articolando le censure dell’eccesso di potere per ingiustizia manifesta.

Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2011, presenti i procuratori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato introitato per la decisione.

Il ricorso non è meritorio di accoglimento e va quindi respinto per le considerazioni che seguono.

La prima censura è infondata.

Osserva il Collegio come il ricorrente confonda tra loro due piani tra loro del tutto distinti. Ed invero, in disparte l’autorizzazione all’occupazione di suolo pubblico e le ulteriori questioni relative alla consistenza dell’immobile in proprietà, ferma restando la labiale confutazione da parte del ricorrente della realizzazione della maggiore superficie di mq.25 contestata dal Comune (indipendentemente dalla effettiva consistenza dell’immobile in proprietà), viene qui in rilievo quanto realizzato dal ricorrente in assenza di regolare titolo abilitativo su suolo comunale ed in parte su demanio marittimo. La consistenza e la tipologia di quanto realizzato non può infatti sottrarsi al regime concessorio.

Sul punto va considerato l’orientamento espresso dal giudice d’appello (cfr. C.g.a., 15 ottobre 2009, n. 923), e già condiviso da questo Tribunale Amministrativo (cfr. T.A.R. Palermo sent. n. 1913/2009), secondo cui l’apprezzamento della cd. precarietà, seppur diversamente disciplinata in ambito regionale, non possa comunque prescindere dalla presenza di specifiche connotazioni di fatto che caratterizzano l’intervento edilizio e dall’uso cui lo stesso è preordinato. Anche in tema di strutture precarie o di facile rimuovibilità, come quelle realizzate in parte qua del ricorrenti, va ribadito che non sia necessaria alcuna concessione edilizia soltanto quando l’opera non costituisca trasformazione urbanistica del territorio e sia costituita da intelaiature non infisse né al pavimento né alla parete dell’immobile cui può (e deve) essere semplicemente addossata, né deve essere chiusa in alcun lato (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2005, n. 6193). Secondo la giurisprudenza sopra richiamata, occorre avere anche riguardo alla destinazione d’uso dell’opera: sicché una struttura che sia destinata a dare una utilità prolungata nel tempo non può considerarsi precaria e, quindi, come tale realizzabile senza autorizzazione.

Ciò posto, quanto agli ulteriori profili di doglianza articolati con il primo motivo di ricorso, si osserva che:

1) del tutto non conducente alla questione qui agitata è il richiamo alla sentenza del Consiglio di Stato n.473/2009, afferente a tutt’altra fattispecie in cui la controversia verteva sulla richiesta di finanziamenti pubblici e sull’affidamento ingenerato dall’Amministrazione circa la ripresa del procedimento una volta reperiti nuovi fondi;

2) del pari non pertinente è il precedente evocato dal ricorrente (T.A.R. Abruzzo Pescara, sez. I, 04 dicembre 200, n. 924), atteso che in quella fattispecie il Comune aveva dismesso la strada occupata dal ricorrente;

3) differentemente, secondo l’orientamento giurisprudenziale qui condiviso, occorre evidenziare come "Il potere di reprimere abusi edilizi non è soggetto a prescrizione né a decadenza, stante il carattere d’illecito permanente dell’abuso edilizio medesimo, per cui non è configurabile alcun possibile "affidamento" del privato sulla legittimità di opere edilizie in realtà abusive e, di conseguenza, il doveroso provvedimento demolitorio non necessita di alcuna specifica motivazione circa l’esistenza di un interesse pubblico alla rimozione dell’opera abusiva, trattandosi d’interesse pubblico sussistente "in re ipsa""(T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 24 settembre 2010, n. 7898).

Anche al seconda doglianza è priva di pregio.

L’ordinanza di demolizione di opere edilizie abusive è sufficientemente motivata con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività delle opere e alla sicura assoggettabilità di queste al regime concessorio. I provvedimenti che ordinano la demolizione di manufatti abusivi, secondo l’orientamento ormai granitico della giurisprudenza, non abbisognano di congrua motivazione in ordine all’attualità dell’interesse pubblico alla loro rimozione che è in re ipsa, consistendo nel ripristino dell’assetto urbanistico violato (cfr.T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 06 settembre 2010, n. 17306).

Né costituisce profilo di illegittimità l’omessa indicazione del termine entro il quale il ricorrente avrebbe dovuto procedere alla demolizione dei contestati abusi edilizi, giacché l’indicazione del termine entro il quale provvedere autonomamente è normativamente fissato dalla legge ex art. 31 comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380), come tale presuntivamente conosciuto dal destinatario dell’ingiunzione: elemento quindi che non risulta riconducibile all’illustrato contenuto minimo necessario dell’ordinanza di demolizione e, pertanto, la sua omissione non è da considerarsi, di per sé, suscettibile di infirmare quest’ultima (cfr sul punto T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 03 settembre 2010, n. 17302 emessa in relazione ad una fattispecie in cui si contestava la mancata indicazione delle conseguenze connesse all’inottemperanza alla ingiunzione di demolizione). Anche la terza censura deve quindi essere disattesa in quanto infondata.

In ultimo, prova di fondamento è altresì anche la quarta censura, siccome si è affermato in giurisprudenza che "Il provvedimento conclusivo del procedimento sanzionatorio in materia edilizia è un atto avente natura del tutto vincolata in quanto conseguente ad un accertamento tecnico della consistenza delle opere abusive realizzate, per cui, in tali casi, non residua spazio alcuno per la partecipazione procedimentale dei soggetti incisi dalla misura sanzionatoria" (così T.A.R. Palermo, Sez.III, sent.1913/2009 cit.; cfr. anche Cons. St., IV, 15 maggio 2009, n. 3029; Cons. St., VI, 18 settembre 2006, n. 5419; C.g.a., 10 giugno 2009, n. 504).

Per altro osserva altresì il Collegio come sulla questione qui dedotta si sia formato il silenzio rigetto sulla domanda di sanatoria ex art.13 avanzata dal ricorrente, per quanto è utile dedurre alla perizia di parte depositata il 07/07/2010 (pag.3), per le opere eseguita in difformità alla concessione edilizia z.1803 del 29/05/1979. Ed in ogni caso risulta incontestato che prima dell’emanazione del provvedimento qui impugnato sia stato eseguito un accertamento da parte dell’U.O.A.E. comunale n.1499 del 21/01/2009 che ha accertato la realizzazione di abusi in "totale difformità alla predetta concessione…".

Passando all’esame del ricorso per motivi aggiunti, deve essere disatteso, siccome infondato, l’unico motivo di gravame articolato dal ricorrente con detto mezzo con il quale si censura l’illegittimità dei provvedimenti impugnati per eccesso di potere.

Va infatti osservato che trattasi, come sopra evidenziato, di opere realizzate in totale difformità alla concessione edilizia già rilasciata. Costituisce ius receptum che nei casi di totale difformità dell’opera realizzata rispetto alla concessione rilasciata "… ogni conseguenza della sanzione resta a carico del responsabile…" (cfr. C.g.a. 2 marzo 2009, n. 60). Anche la recente giurisprudenza ha affermato a tal fine che "Secondo il meccanismo previsto dall’art. 31, comma 3, d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, l’oggetto dell’acquisizione gratuita da parte del comune è costituito, oltre che dall’opera abusiva e dall’area di sedime, anche dalla ulteriore superficie occorrente secondo le norme urbanistiche vigenti alla realizzazione di opere analoghe a quella realizzata, nel limite massimo di dieci volte la superficie dell’opera abusiva…" (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 15 febbraio 2011, n. 151).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso introduttivo, ed i successivi motivi aggiunti, vanno respinti in quanto infondati.

Nessuna statuizione è da assumere in ordine alla spese stante la mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge unitamente ai relativi motivi aggiunti.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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