T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., 26-07-2011, n. 1539 Procedimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato in data 1216/11/2010 e depositato il successivo 29/11, le ricorrenti espongono, di essere, la prima (A. s.p.a.), azienda leader in Sicilia nel settore della diffusione pubblicitaria e la seconda (A.), a livello regionale, la più rappresentativa associazione degli operatori su spazi ad uso pubblicità esterna, cartellonistica per affissioni ed allestimenti.

Affermano di avere interesse all’annullamento dell’impugnato Piano Generale per gli impianti pubblicitari in quanto determinerebbe una evidente sperequazione tra l’impresa concessionaria della superficie destinata alla pubblica affissione (mq 2.339) e le imprese assegnatarie della superficie destinata alle affissioni dirette (mq 2.161).

Avverso gli atti impugnati espongono le seguenti censure:

1) Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 241/90 e s.m.i. – Violazione e/o falsa applicazione della l.r. n. 10/91 – Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, atteso che nei confronti delle ricorrenti è mancata la comunicazione di avvio del procedimento per l’adozione del Piano generale per gli impianti pubblicitari, né è stato dato corso ad alcuna forma partecipativa delle imprese operanti nel settore delle affissioni esterne.

Richiamano a tal fine la sentenza del T.a.r. Sicilia – Catania, sez. I, 11 marzo 2004, n. 598;

2) Falsa applicazione dell’art. 18 d.lgs. n. 507/1993 – Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria e motivazione – Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 e dei principi di libera concorrenza, di parità di trattamento e di trasparenza, atteso che la superficie destinata alla pubblica affissione, che verrà gestita in concessione, è pari a mq 2.339, mentre la superficie destinata all’affissione diretta è pari a mq 2.161 ed è stata divisa in nove microzone, in ciascuna delle quali può operare, dopo l’aggiudicazione del servizio, solo un imprenditore.

Tutto ciò favorisce l’INPA, concessionaria del servizio pubblico, ovvero, alla scadenza della concessione, altra società iscritta all’albo dei concessionari del servizio di accertamento e riscossione dei tributi comunali.

Ai sensi dell’art. 18, c. 3, d.lgs. n. 507/2003, nei Comuni con più di 30.000 abitanti devono essere destinati alle pubbliche affissioni almeno 18 mq ogni 1000 abitanti; avendo Caltanissetta 60.000 abitanti, la superficie per le pubbliche affissioni avrebbe dovuto essere almeno 1,080 mq. Nel caso di specie l’area è pari a 2,339 mq e quindi a più del doppio del dovuto.

D’altra parte, solo il 10% di tale superficie è destinata alle affissioni di natura istituzionale e sociale, il restante 90 % sarà sfruttato economicamente dal privato concessionario, con indubbia sperequazione dello stesso rispetto alle altre aziende private che gestiranno le aree destinate all’affissione diretta (per effetto dell’applicazione del regolamento impugnato la A. verrebbe a perdere il 70 % degli spazi pubblicitari attualmente gestiti).

Di fatto, 2.105 mq, pari al 49,64% della superficie commerciale prevista nel P.G.I.P., saranno utilizzabili dal concessionario per affissioni commerciali, mentre solo 270,13 mq circa, (pari al 12,5%) saranno utilizzabili da ciascuna delle imprese specializzate nella costruzione, gestione e manutenzione degli impianti pubblicitari divenuta aggiudicataria della singola microzona.

Il concessionario è quindi posto in una posizione commerciale dominante rispetto alle altre imprese. Ciò danneggia, oltre che il libero mercato anche la p.a. (il concessionario non è tenuto a pagare nulla per gli impianti vuoti, a differenza delle imprese private aggiudicatarie nelle zone destinate all’affissione diretta).

Per di più la scelta del concessionario potrà avvenire con regole più elastiche e meno trasparenti (v. art. 30 d.lgs. n. 163/2006), mentre quella dei privati aggiudicatari delle microzone per le affissioni dirette dovrà avvenire secondo le regole proprie dell’evidenza pubblica (v. ult. c. dell’art. 2 del Piano).

L’art. 25 del Piano impone poi l’obbligo di assegnare le microzone con cadenza triennale e l’art. 26 impone la rimozione gratuita degli impianti alla scadenza del periodo di gestione, con indubbio aumento dei costi e, per l’effetto, riduzione del canone offerto al Comune. Il P.G.I.P. non indica invece la durata della pubblica concessione;

3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 507/1993 e degli artt. 23 d.lgs. n. 285/1992 e del d.p.r. n. 495/1992, atteso che gli artt. 2 e 25 del P.G.I.P. prescrivono che la superficie privata per l’affissione diretta sarà assegnata mediante procedura ad evidenza pubblica.

La giurisprudenza dice che ciò è illegittimo in quanto viola il diritto alla libera attività di affissione diretta, attività soggetto solo ad una autorizzazione contro il pagamento di un "prezzo" (la tariffa) (v. C.g.a. 14 settembre 2009, n. 762; 22 ottobre 2009, n. 976; 26 ottobre 2010, n. 1306 e 1307; 10 novembre 2010, n. 1400);

4) Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria e motivazione – Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 e dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e di trasparenza, atteso che in base agli artt. 3, 23, 24 e 25 ai fini della collocazione degli impianti è stata prevista la suddivisione del territorio in 9 microzone.

Le imprese interessate potranno concorrere per tutte le microzone, ma aggiudicarsene solo una.

Tali previsioni sono illegittime:

– perché le microzone non sono omogenee e non consentono la presenza degli aggiudicatari con varie tipologie di impianti nelle varie zone della città;

– il concessionario è invece presente in tutte le zone della città;

– il numero eccessivo delle microzone svilisce la presenza degli operatori privati sul mercato avvantaggiando le piccole imprese in danno di quelle più grandi;

5) Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 – Violazione dei principi di economicità, efficacia, correttezza, libera concorrenza e trasparenza – Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione – Illogicità manifesta, atteso che è illogico che nel caso in cui un’impresa risulti vincitrice di più microzone si debba procedere a sorteggio della microzona da assegnare, dovrebbe invece essere attribuita una facoltà di scelta.

E’ illogico altresì che si debba fare una nuova gara per le microzone non assegnate e che si inibisca la partecipazione alle ditte rinunciatarie o assegnatarie di altre microzone.

Nelle microzone ci sono poi anche spazi destinati all’affissione pubblica e non si comprende chi ne debba curare la manutenzione (v. possibile contrasto tra art. 22 e art. 26 del P.G.I.P.).

Conclude quindi per l’accoglimento del ricorso e della preliminare istanza cautelare.

Si è costituita in giudizio l’I.N.P.A. al fine di ottenere il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 1133/2010, questo T.a.r. ha respinto l’istanza cautelare proposta.

E’ quindi intervenuta ad adiuvadum l’Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (AAPI), asseritamente rappresentante, a livello nazionale, delle principali società operanti nel settore della pubblicità mediante affissioni.

Con successivo ricorso notificato sempre a mezzo posta in data 3031/3/2011 e depositato in data 5/4/2011 le ricorrenti hanno proposto motivi aggiunti avverso il bando e il disciplinare di gara per l’aggiudicazione della concessione di servizio per la pubblicità commerciale sulle superfici individuate dal P.G.I.P., nonché la nota contenente l’ordine di rimozione degli impianti pubblicitari esistenti entro la data dell’112012.

Vengono riproposte le medesime censure dedotte nel ricorso principale avverso il P.G.I.P. e si lamenta altresì la Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, c. 3, d.lgs. n. 163/2006 e degli artt. 43 e 49 Trattato CE – Mancanza di adeguata pubblicità – Eccesso di potere per sviamento dalla causa e difetto di istruttoria – Violazione del principio di libera concorrenza, atteso che il bando di gara è stato pubblicato solo all’albo pretorio e, per estratto, su un quotidiano a diffusione regionale.

Tenuto conto dell’importo complessivo della concessione (Euro 3.763.800,00) non sono stati rispettati i parametri sufficienti dell’adeguata pubblicità e trasparenza (v. Cons. Stato, sez. V, 16/6/2009, n. 3844).

Il bando avrebbe dovuto essere pubblicato sulla G.U.R.I. ai sensi dell’art. 66 d.lgs. n. 163/2006.

Con ordinanza n. 430/2011, il C.g.a. ha accolto l’appello avvero l’ordinanza n. 1133/2010 concedendo la misura cautelare richiesta dalle ricorrenti.

Si è quindi costituito in giudizio anche il Comune di Caltanissetta chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 310/2011 è stata disposta la fissazione dell’udienza pubblica per la discussione del ricorso nel merito.

Sono successivamente intervenute ad adiuvadum la K.S. di P.D.S. & C. s.n.c. e la P. s.r.l., asseritamente titolari di autorizzazioni e contratti per lo sfruttamento degli impianti pubblicitari nel Comune di Caltanissetta.

Le parti costituite hanno infine depositato memorie difensive in vista della discussione del ricorso nel merito.

Alla pubblica udienza del giorno 12 luglio 2011, su richiesta dei difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Rileva in via preliminare il Collegio che il Comune ha eccepito l’inammissibilità degli atti di intervento ad adiuvandum dell’Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane (A.A.P.I.), di K.S. s.n.c. e P. s.r.l.

Ritiene il Collegio che l’eccezione sia fondata nei limiti di seguito indicati.

Secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza amministrativa, che il Collegio ritiene di condividere: "Anche nel processo amministrativo, così come nel processo civile, può distinguersi un interesse adesivo autonomo o litisconsortile (con il quale il terzo interveniente propone una domanda propria, sebbene connessa con quella principale) e l’intervento adesivo dipendente (con il quale il terzo si limita a chiedere l’accoglimento della domanda già proposta dal ricorrente, senza ampliare in alcun modo il thema decidendum, proponendo autonomi motivi di ricorso). È evidente che, mentre il primo tipo di intervento, traducendosi nella proposizione di un vero e proprio ricorso, deve essere spiegato nel termine di decadenza previsto per impugnare in via autonoma; al contrario, il secondo tipo di intervento (quello adesivo dipendente), non consentendo la proposizione di autonomi motivi, può avvenire anche quando il termine per impugnare in via principale è già decorso. In tale ultimo caso, infatti, l’interveniente non propone un autonomo ricorso, ma si limita a chiedere l’accoglimento di quello proposto in via principale, accettando il processo nello stato e grado in cui si trova" (v. Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2011, n. 1843).

Per quanto attiene all’intervento dell’A.A.P.I., in quanto asseritamente rappresentante, a livello nazionale, delle principali società operanti nel settore della pubblicità mediante affissioni, ritiene il Collegio che l’interesse dedotto in giudizio, quale interesse di mero fatto desumibile alla luce dello Statuto prodotto in giudizio in data 9/3/2011, ai sensi dell’art. 50 c.p.a., sia quindi tutelabile mediante lo strumento dell’intervento ad adiuvandum ammissibile nei limiti in cui detta Associazione aderisce alle censure proposte dalle ricorrenti principali, senza proporne di nuove ("intervento adesivo dipendente").

Per quanto attiene invece all’intervento delle soc. K.S. s.n.c. e P. s.r.l., esso va ritenuto in toto inammissibile, non solo per violazione del disposto di cui al citato l’art. 50 c.p.a. (cioè per la mancata allegazione dei documenti sui quali detto intervento si fonda), ma, soprattutto, perché esso è stato proposto da chi ha un interesse diretto ad ottenere l’annullamento degli atti impugnati. Detto intervento ("adesivo autonomo") avrebbe pertanto dovuto essere contenuto in un atto notificato alle altre parti nel rispetto dei termini di decadenza per l’impugnazione degli atti dei quali tende ad ottenere l’annullamento (il che, nel caso di specie non è avvenuto essendo la notifica del giorno 1/6/2011).

Ciò trova conferma non solo nella giurisprudenza citata da parte resistente nella prima memoria difensiva, ma soprattutto nel disposto di cui all’art. 28, c. 2, c.p.a.; la violazione del termine di decadenza impedisce peraltro di riqualificare l’atto di intervento in un ricorso autonomo connesso a quello principale.

2. Nel merito ritiene il Collegio che il ricorso e, per l’effetto, l’intervento adesivo dipendente dell’A.A.P.I., siano infondati.

2.1. Con il primo motivo di ricorso (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 7 l. n. 241/90 e s.m.i. – Violazione e/o falsa applicazione della l.r. n. 10/91 – Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento), si deduce la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento per l’adozione del Piano generale per gli impianti pubblicitari ovvero di qualsiasi altra forma partecipativa delle imprese operanti nel settore delle affissioni esterne.

Si richiama a tal fine la sentenza del T.a.r. Sicilia – Catania, sez. I, 11 marzo 2004, n. 598.

La questione è stata già affrontata dal Collegio con le sentenze 10/6/2010, n. 7319 e 7320 ove si legge: "Rileva al contrario il Collegio che il Piano Generale degli impianti pubblicitari previsto dal d.lgs. n. 507/93 costituisce atto amministrativo generale di pianificazione del territorio, come tale sottratto, per espressa previsione di legge (v. art. 13 l. n. 241/90) al regime normativo in materia di partecipazione degli interessati al procedimento. D’altra parte, la sentenza del T.a.r. Sicilia – Catania, sez. I, 11 marzo 2004, n. 598, sul punto, è stata espressamente riformata dal Cons. di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia. Il giudice dell’appello, con sentenza 9 maggio 2005, n. 336, ha affermato: "nella specie, trattandosi della formazione di un atto amministrativo generale con contenuto pianificatorio e programmatorio, l’unica norma direttamente applicabile è quella a contenuto negativo di cui all’art. 13 della legge n. 241, che esclude l’applicabilità di tutte indistintamente le disposizioni contenute nel medesimo capo legislativo, in caso di attività amministrativa diretta all’emanazione di atti appartenenti alla tipologia suindicata.".

Tale principio è ribadita anche dall’art. 14 l.r. n 10/1991.

D’altra parte, nel caso di specie (per come emergerà della disamina degli ulteriori motivi di ricorso), risulta altresì applicabile il principio di cui all’art. 21 octies, c. 2, l. n. 241/90, di talché la violazione dell’obbligo di partecipazione non sussiste tenuto conto che il contenuto dei provvedimenti impugnati non avrebbe potuto essere diverso (v. Cons. di Stato, sez. V, 29 aprile 2009, n. 2723).

Segue da ciò l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

2.2. Con il secondo motivo di ricorso (Falsa applicazione dell’art. 18 d.lgs. n. 507/1993 – Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria e motivazione – Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 e dei principi di libera concorrenza, di parità di trattamento e di trasparenza), si lamenta che:

a) viene favorita l’INPA, concessionaria del servizio pubblico alla quale sarebbe conferita una posizione dominante sul mercato atteso che:

– in violazione del disposto di cui all’art. 18, c. 3, d.lgs. n. 507/2003 l’area destinata alle pubbliche affissioni è pari al doppio di quella che avrebbe dovuto essere (2.339 mq anziché 1.080); invero, la superficie destinata alla pubblica affissione, che verrà gestita in concessione, è pari a mq 2.339, mentre la superficie destinata all’affissione diretta è pari a mq 2.161 ed è stata divisa in nove microzone, in ciascuna delle quali può operare, dopo l’aggiudicazione del servizio, solo un imprenditore;

– solo il 10% di tale superficie è destinata alle affissioni di natura istituzionale e sociale, mentre il restante 90 % (pari a quasi il 50% del totale) sarà sfruttato economicamente dal privato concessionario; a ciascuna delle singole imprese, aggiudicataria delle nove microzone, resterà solo il 12,50% della superficie commerciale.

– la scelta del concessionario potrà avvenire con regole più elastiche e meno trasparenti (v. art. 30 d.lgs. n. 163/2006), mentre quella dei privati aggiudicatari delle microzone per le affissioni dirette dovrà avvenire secondo le regole proprie dell’evidenza pubblica (v. ult. c. dell’art. 2 del Piano);

b) le previsioni del P.G.I.P. sono comunque illogiche in quanto:

– l’art. 25 del Piano impone l’obbligo di assegnare le microzone con cadenza triennale e l’art. 26 impone la rimozione gratuita degli impianti alla scadenza del periodo di gestione, con indubbio aumento dei costi e, per l’effetto, riduzione del canone offerto al Comune. Il P.G.I.P. non indica invece la durata della pubblica concessione;

Ritiene il Collegio che tutte le censure dedotte, peraltro in palese violazione del principio di sinteticità degli atti processuali, siano infondate:

– l’art. 18, c. 3, d.lgs. n. 507/1993 recita: "La superficie degli impianti da adibire alle pubbliche affissioni deve essere stabilita nel regolamento comunale in misura proporzionale al numero degli abitanti e comunque non inferiore a 18 metri quadrati per ogni mille abitanti nei comuni con popolazione superiore a trentamila abitanti, e a 12 metri quadrati negli altri comuni". Segue da ciò che il limite di 18 mq ogni 1000 abitanti (che, per il Comune di Caltanissetta -che ha circa 60.000 abitanti- determina una superficie complessiva di 1.080 mq da destinare all’affissione diretta) è un limite minimo e non certo un limite massimo (la norma usa l’espressione "non inferiore a");

– è infondata l’affermazione che il 90% della superficie di competenza del concessionario è destinato alla pubblicità commerciale in quanto si deve tenere conto, oltre che del 10% destinato alle affissioni di natura istituzionale, sociale e priva di rilevanza economica, anche di un ulteriore 10% destinato alle comunicazioni di enti e associazioni non aventi scopo di lucro (v. art. 20 d.lgs. n. 507/1993);

– il Collegio condivide i principi espressi dal T.a.r. Calabria – Catanzaro nella sentenza n. 541/2010 (richiamata dalla difesa del Comune), secondo cui: "… il PGIP, nel disciplinare l’attività autorizzatoria in maniera coerente con l’esigenza di un’equilibrata protezione della variegata trama dei molteplici interessi – di natura urbanistica, edilizia, economica, culturale, viaria – tra loro interferenti e che in diversa misura vengono in rilievo nell’attività pubblicitaria, ben può circoscrivere anche l’affissione diretta, da parte dei privati, sugli impianti privati, ad una determinata superficie dell’intera superficie affissiva. D’altronde, l’affissione diretta deve, in via tendenziale, consentirsi per un’estensione minore rispetto a quella affidata alla gestione pubblica, anche attraverso il concessionario, atteso che tra gli scopi perseguiti con l’istituzione del servizio delle pubbliche affissioni è compreso l’obiettivo, di natura perequativa, di assicurare, nonostante l’esistenza di una risorsa scarsa (quale la superficie affissiva), lo svolgimento dell’attività di affissione diretta, anche da parte di coloro che non dispongono di impianti propri, ponendo così le condizioni per un’effettiva concorrenza, sia pur limitata, tra le imprese operanti nel settore della pubblicità commerciale". Nel caso di specie, ad avviso del Collegio, le scelte effettuate dall’Amministrazione comunale nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, non sono né irragionevoli, né sproporzionati (v. in tal senso anche Consiglio di Stato, sez. V, 29 aprile 2009, n. 2723);

– l’Amministrazione comunale ha stabilito che la scelta del concessionario avvenga secondo le norme di legge (v. art. 30 d.lgs. n. 163/2006, che rinvia all’art. 143, c. 7, quanto alla disciplina della durata della concessione) e che la scelta dei privati titolari del servizio di affissione diretta avvenga secondo le regole proprie dell’evidenza pubblica, il che appare perfettamente legittimo (v. oltre la motivazione sul terzo motivo di ricorso);

– la durata della concessione al privato del diritto di privativa relativo al servizio commerciale per l’affissione diretta a seguito della pubblica gara volta all’aggiudicazione della singola microzona, così come l’obbligo della rimozione degli impianti alla scadenza della concessione, è congruente rispetto alle previsioni della durata della singola autorizzazione contenuta nel Regolamento 27/4/2004 costituente atto presupposto di quelli impugnati, ma rispetto al quale non è stata mossa alcuna doglianza; e comunque si tratta di un criterio logico in quanto volto a garantire una rotazione dei privati nell’assegnazione delle microzone e quindi una maggiore concorrenza tra di loro;

Segue da ciò l’infondatezza anche del secondo motivo di ricorso.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso (Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 d.lgs. n. 507/1993 e degli artt. 23 d.lgs. n. 285/1992 e del d.p.r. n. 495/1992), si sostiene che illegittimamente gli artt. 2 e 25 del P.G.I.P. prescrivono che la superficie privata per l’affissione diretta sarà assegnata mediante procedura ad evidenza pubblica.

Viene al riguardo richiamata quella giurisprudenza secondo cui ciò è illegittimo in quanto viola il diritto alla libera attività di affissione diretta, attività soggetta solo ad una autorizzazione contro il pagamento di un "prezzo" (la tariffa) (v. C.g.a., 14 settembre 2009, n. 762; 22 ottobre 2009, n. 976; 26 ottobre 2010, n. 1306 e 1307; 10 novembre 2010, n. 1400).

Il Collegio non sconosce i precedenti richiamati dalle ricorrenti ed evidentemente posti alla base della decisione dell’appello cautelare, ma ritiene che detti precedenti siano meritevoli di un ripensamento da parte dello stesso giudice dell’appello.

Invero, il Collegio ritiene di aderire al diverso orientamento espresso dal Consiglio di Stato nella sopraccitata decisione sez. V, 29 aprile 2009, n. 2723, nonché in quella sez. V, 2 febbraio 2009, n. 529.

Afferma testualmente il Consiglio di Stato che:

– l’installazione di impianti pubblicitari è un’attività economica "contingentata", stante la limitatezza degli spazi a ciò destinati. Siffatto contingentamento non si pone in contrasto con la tutela costituzionale della libera iniziativa privata, giacché lo stesso art. 41 Cost. ammette la possibilità di limitare tale libertà onde contemperarla con l’utilità sociale (decisione 29 aprile 2009, n. 2723);

– gli interessi economici delle imprese operanti nel campo della pubblicità vanno pertanto ponderati assieme agli altri interessi superindividuali, a vario titolo coinvolti nella specifica regolazione (decisione 29 aprile 2009, n. 2723);

– secondo la giurisprudenza (prevalente) non sarebbe consentito alle amministrazioni comunali, tanto meno attraverso il meccanismo della gara, l’affidamento in concessione a privati di spazi per l’esercizio di attività pubblicitaria; i punti di approdo di quella giurisprudenza vanno rimeditati se rapportati al problema dell’accesso al mercato degli spazi pubblici da destinare agli impianti pubblicitari; in tale ambito appare infatti evidente che le amministrazioni comunali devono avere un ruolo di regolazione ai fini della assegnazione concorrenziale, tra tutti i potenziali soggetti interessati, degli spazi pubblici ove allocare gli impianti (decisione 2 febbraio 2009, n. 529);

– anche il mercato relativo all’uso degli impianti pubblicitari privati in ambito cittadino è, allo stato attuale, un mercato contingentato e regolamentato. Il contingentamento è un portato vuoi della naturale limitatezza territoriale degli spazi destinati ad ospitare gli impianti all’interno della cintura urbana vuoi della consequenziale prescrizione, imposta dal regolamento sulla imposta della pubblicità (art. 3 comma 3 del d.lgs. 1993 n. 507), secondo cui i Comuni devono tra l’altro determinare "la quantità degli impianti pubblicitari" (decisione 2 febbraio 2009, n. 529);

– gli impianti pubblicitari destinati alle affissioni dirette, sia per la parte in titolarità comunale, destinata al servizio delle pubbliche affissioni, sia per la parte di titolarità privata e gestita, anche per conto terzi, direttamente e liberamente da soggetti privati, rappresentano complessivamente un numerus clausus (decisione 2 febbraio 2009, n. 529);

– in conclusione, la scelta di molti comuni di assegnare in concessione detti spazi di territorio comunale a mezzo di gara non soltanto non appare incompatibile – come pure si legge in alcuni passaggi motivazionali di varie pronunce – con il principio costituzionale di libera iniziativa economica, ma risulta semmai funzionale al concretizzarsi di quel principio, mercé lo strumento concorrenziale proprio della gara (decisione 2 febbraio 2009, n. 529).

Nulla vi è da aggiungere, ad avviso del Collegio, a questa precisa e meditata ricostruzione.

Segue da ciò l’infondatezza anche del terzo motivo di ricorso.

2.4. Con il quarto motivo di ricorso (Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, illogicità manifesta e difetto di istruttoria e motivazione – Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 e dei principi di libera concorrenza, parità di trattamento e di trasparenza), si afferma:

– che in base agli artt. 3, 23, 24 e 25 ai fini della collocazione degli impianti è stata prevista la suddivisione del territorio in 9 microzone.

– che le imprese interessate potranno concorrere per tutte le microzone, ma aggiudicarsene solo una.

Si deduce l’illegittimità di tali previsioni perché:

– le microzone non sono omogenee e non consentono la presenza degli aggiudicatari con varie tipologie di impianti nelle varie zone della città;

– il concessionario è invece presente in tutte le zone della città;

– il numero eccessivo delle microzone svilisce la presenza degli operatori privati sul mercato avvantaggiando le piccole imprese in danno di quelle più grandi.

Rileva in via preliminare il Collegio l’inammissibilità delle censure dedotte perché impingono nel merito delle scelte dell’Amministrazione comunale.

D’altra parte, quand’anche fossero ammissibili le citate censure, sarebbero comunque infondate atteso che:

– la non omogeneità delle microzone costituisce una affermazione meramente labiale e sprovvista di prova;

e comunque la determinazione di individuare i nove concessionari ai quali concedere, per la durata di anni tre, il diritto di privativa di effettuare la pubblicità commerciale sulla superficie delle nove microzone, in base ad una procedura di evidenza pubblica ed in virtù del criterio della maggiore offerta, costituisce la miglior garanzia del rispetto della par condicio di talché ciascuna impresa potrà concorrere per quella che reputa la miglior microzona ed aggiudicarsela offrendo il maggior prezzo possibile per la durata di anni tre;

– la presenza del concessionario in tutte le microzone non appare una scelta illogica alla luce delle considerazioni di cui al punto 2 della motivazione;

– il numero elevato delle microzone favorisce una maggior presenza di imprese diverse nel mercato delle affissioni private e quindi garantisce il rispetto del principio della concorrenza.

Anche il quarto motivo è quindi infondato.

2.5. Con il quinto motivo di ricorso (Violazione dell’art. 2 d.lgs. n. 163/2006 – Violazione dei principi di economicità, efficacia, correttezza, libera concorrenza e trasparenza – Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione – Illogicità manifesta), si afferma che è illogico:

– che nel caso in cui un’impresa risulti vincitrice di più microzone si debba procedere a sorteggio della microzona da assegnare, dovrebbe invece essere attribuita una facoltà di scelta;

– che si debba fare una nuova gara per le microzone non assegnate e che si inibisca la partecipazione alle ditte rinunciatarie o assegnatarie di altre microzone.

Si sostiene poi che nelle microzone ci sono anche spazi destinati all’affissione pubblica dei quali non si comprende chi ne debba curare la manutenzione (v. possibile contrasto tra art. 22 e art. 26 del P.G.I.P.).

Rileva al contrario il Collegio:

– che il criterio oggettivo del sorteggio (peraltro espressamente previsto dagli artt. 77 e 85 r.d. 827/1924 applicabili nella Regione Siciliana ai sensi dell’art. 95, c. 1, l.r. n. 16/1963) garantisce la possibilità di individuare un concessionario in caso di offerte identiche, mentre il criterio della scelta, da parte dello stesso concessionario, può determinare una impossibilità di fatto di assegnare una o più microzone;

– il criterio dell’indizione di una nuova pubblica gara – quale criterio di carattere generale – non può che presiedere l’assegnazione delle microzone per le quali non sia stato possibile individuare un concessionario; se poi la necessità di indire una nuova gara deriva dalla circostanza che il concessionario ha rinunciato all’assegnazione di quella microzona, non si vede alcuna illogicità nella previsione che inibisce la partecipazione alla nuova gara a colui il quale, da un lato, con la rinuncia, ha manifestato di non aver più interesse all’assegnazione di quella microzona, e, dall’altro lato, ha cagionato, con il proprio comportamento, la necessità di rinnovare la procedura ad evidenza pubblica, determinando anche un aggravio per le casse dell’Amministrazione;

– nessuna incertezza deriva dall’applicazione degli artt. 21 e 26 P.G.I.P. posto che lo stesso P.G.I.P. individua per ogni microzona la superficie complessiva pubblica e quella privata ed anche la disposizione dei singoli impianti pubblicitari in base ad apposita planimetria (v. artt. 21 e 24); il concessionario pubblico e quello privato dovranno farsi carico della gestione e manutenzione degli impianti rispettivamente assegnati.

E’ pertanto infondato anche l’ultimo motivo di ricorso.

3. Con l’unico motivo aggiunto (Violazione e falsa applicazione dell’art. 30, c. 3, d.lgs. n. 163/2006 e degli artt. 43 e 49 Trattato CE – Mancanza di adeguata pubblicità – Eccesso di potere per sviamento dalla causa e difetto di istruttoria – Violazione del principio di libera concorrenza), si sostiene che il bando di gara è stato pubblicato solo all’albo pretorio e, per estratto, su un quotidiano a diffusione regionale.

Si afferma che, tenuto conto dell’importo complessivo della concessione (Euro 3.763.800,00), non sono stati rispettati i parametri sufficienti dell’adeguata pubblicità e trasparenza (v. Cons. Stato, sez. V, 16/6/2009, n. 3844): il bando avrebbe dovuto essere pubblicato sulla G.U.R.I. ai sensi dell’art. 66 d.lgs. n. 163/2006.

L’infondatezza della censura dedotta emerge, da un lato, dal rilievo – in diritto – che la procedura di cui trattasi non è una gara di appalto vera e propria, ma una procedura ad evidenza pubblica (per la natura della quale si rinvia alla decisione del Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2009, n. 529), e, dall’altro lato, dal rilievo – in punto di fatto – della avvenuta pubblicazione dell’estratto del bando sulla G.U.R.S. e su quattro quotidiani a diffusione nazionale e regionale.

4. Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso e, per l’effetto, l’atto di intervento adesivo dipendente, deve quindi essere rigettato previa declaratoria dell’inammissibilità dell’atto di intervento delle soc. K.S. di P.D.S. & C. s.n.c. e P. s.r.l.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia – Sede di Palermo, Sezione terza, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato:

1) dichiara inammissibile l’atto di intervento delle soc. K.S. di P.D.S. & C. s.n.c. e P. s.r.l.;

2) rigetta il ricorso e, per l’effetto, l’atto di intervento dell’A.A.P.I. – Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane;

3) condanna A. s.p.a., A.- A.P.E., A.A.P.I. – Associazione Aziende Pubblicitarie Italiane, K.S. di P.D.S. & C. s.n.c. e P. s.r.l., in persona dei rispettivi legali rappresenti pro tempore, al pagamento, in solido, in favore del Comune di Caltanissetta, in persona del Sindaco pro tempore, e di I.N.P.A. – Impresa Nazionale Pubblicità Affissioni, in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese e degli onorari del giudizio che liquida in Euro 3.000,00 (Euro tremila e zero centesimi), ciascuno, oltre accessori, come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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